Merchandising e musei: un settore tutto da rilanciare

Come superare l’idea (spesso veritiera) che i prodotti in vendita nei bookshop dei musei siano di cattivo gusto? Investendo sulla tecnologia e su nuove strategie di mercato

Negli ultimi anni si è assistito a un proficuo avvicendarsi di riflessioni sul ruolo dei musei, sulle loro economie, sull’importanza dei servizi aggiuntivi e su tutte quelle dimensioni che collegano i musei con i loro frequentatori. Molte sono state anche le riflessioni legate al merchandising: dal valore delle immagini delle opere d’arte al dibattito che c’è recentemente stato sugli NFT. In effetti, il merchandising museale rappresenta uno dei massimi misteri della cultura: oggetti di cattivissimo gusto inseriti in contesti in cui il gusto dovrebbe regnare sovrano e che, nonostante siano oggettivamente e irrimediabilmente brutti, trovano sempre visitatori disposti ad acquistarli.

TECNOLOGIA E MERCHANDISING MUSEALE

Al di là delle facili ironie, da un punto di vista economico il merchandising è un oggetto estremamente interessante, perché ha una struttura del valore alquanto peculiare, che merita forse di essere approfondita. Nella maggior parte dei casi, infatti, di certo non è il valore estetico a definire l’attrattività di quegli oggetti, né tantomeno lo è l’utilità. Ciò che nella maggior parte dei casi spinge le persone ad acquistare un oggetto è il suo valore simbolico, concetto ben espresso dal francese souvenir (che significa appunto ricordo). La matita o l’agendina del museo hanno quindi, sostanzialmente, un ruolo di supporto esattamente il ruolo che aveva il Compact Disc con il prodotto culturale. Questa evidenza pone in luce due possibili riflessioni: la prima riguarda il potenziale processo di smaterializzazione del merchandising; la seconda, invece, guarda con più attenzione alla domanda, e alla domanda potenziale, che questa categoria di oggetti potrebbe soddisfare. Le nuove tecnologie, come il metaverso e, più in generale, la realtà virtuale, possono infatti assumere un ruolo anche in questa speciale nicchia di mercato: se la matita è semplicemente il supporto per un ricordo, con il tempo le innovazioni tecnologiche potranno elaborare prodotti ed esperienze che siano in grado di svolgere la stessa funzione, senza il ricorso a un vettore fisico. Di certo ciò non sostituirà completamente l’assortimento di bellissimi oggetti di cattivo gusto, come direbbe Kundera, che abitano gli scaffali dei bookshop dei nostri musei. L’avvento della tecnologia potrebbe però sostituire alcuni di tali oggetti, configurando quindi un’opportunità di mercato per prodotti e servizi che oggi non hanno ancora intercettato la propria domanda di riferimento.

“Il merchandising museale rappresenta uno dei massimi misteri della cultura: oggetti di cattivissimo gusto inseriti in contesti in cui il gusto dovrebbe regnare sovrano”.

Anche l’altra riflessione è strettamente correlata al concetto di domanda potenziale: atteso che, presso i bookshop museali, come dimostrano anche i dati di vendita, gli oggetti vengono acquistati più per il loro valore simbolico che oggettivo, rimane quindi scoperta una fetta di mercato che, invece, potrebbe essere interessata ad acquistare oggetti nati dalla collaborazione tra un museo e artisti e designer emergenti, associando quindi il valore simbolico al valore estetico e funzionale dell’oggetto in sé. Certo, questa tipologia di collezione è già presente in molti dei principali bookshop ma, probabilmente, non è il canale distributivo corretto, così come probabilmente non lo è nemmeno la previsione (sempre più frequente nelle gare di concessione) dei cosiddetti fuori-book, vale a dire quei canali che i concessionari si impegnano ad attivare per vendere i prodotti editoriali e di merchandising anche al di fuori del bookshop del museo.
Andrebbe, al riguardo, forse ripensata l’intera struttura produttiva delle collezioni di ricerca: magari definendo un brand, presentando progetti di sviluppo imprenditoriale, e definendo dei canali di vendita ad hoc, sulla base della fascia di prezzo che si vuole andare a coprire. Una soluzione di questo tipo potrebbe rappresentare un’altra strada attraverso la quale estendere la propria influenza, magari raggiungendo pubblici che al museo non andrebbero, e potenzialmente incrementando i ricavi derivanti dalle vendite. Una cosa è certa: il settore del merchandising potrebbe essere molto più sviluppato di quanto sia oggi. È la prassi a imbrigliarlo all’interno di schemi soliti. È la prassi in uso che ci costringe ad acquistare orribili tazze per amici e parenti. È forse giunto il momento di provare qualcosa di nuovo.

Stefano Monti

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Stefano Monti

Stefano Monti

Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

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