I criptoartisti si raccontano. Parola a Giuseppe Lo Schiavo

Giuseppe Lo Schiavo, artista digitale e tradizionale, legato alla scienza e alla tecnologia, descrive la sua visione dell’arte, il suo processo creativo e i suoi progetti

Giuseppe Lo Schiavo (1986), originario di un paese della Calabria, ha frequentato la facoltà di Architettura alla Sapienza di Roma e si è specializzato in Visual Design. Durante gli studi si è avvicinato alla fotografia e in essa ha trovato il suo primo mezzo espressivo, grazie al quale indagare il mondo ed esprimere i suoi pensieri e le sue considerazioni. Pur non avendo mai immaginato di diventare un artista, quando ha cominciato a “fare arte” ha trovato la sua strada. Si è trasferito a Londra e qui ha dato inizio a un percorso individuale di ricerca artistica. Ha iniziato a sperimentare come artista e concept designer e a esplorare con i suoi lavori il rapporto tra scienza e arte.
Negli ultimi anni ha frequentato corsi di biologia e microbiologia per approfondire e supportare la sua ricerca e ha cominciato a lavorare come artista in residenza nei laboratori di microbiologia presso University College of London (UCL).
Nel 2021 ha vinto il premio europeo BioArt Challenge, organizzato dal Museo delle Scienze MUSE di Trento. Grande appassionato di storia dell’arte, nelle sue opere utilizza spesso riferimenti all’arte del passato, soprattutto all’arte classica; ama molto legare il passato e il futuro e giocare con il passato antico e un futuro distopico e tecnologico.

Still from Sintetica, digital organism in collaboration with the Museum of Science in Trento, courtesy Giuseppe Lo Schiavo

Still from Sintetica, digital organism in collaboration with the Museum of Science in Trento, courtesy Giuseppe Lo Schiavo

INTERVISTA A GIUSEPPE LO SCHIAVO

Come e perché sei arrivato a realizzare opere NFT?
La mia carriera da artista è partita dalla fotografia, che per me, però, non è mai stata un modo per analizzare la realtà. La realtà non mi è mai interessata. Anche all’interno delle mie prime opere fotografiche è sempre stato presente un concetto surrealista, che andasse al di fuori della realtà. La mia prima serie di opere è stata Levitation, un progetto ibrido tra computer graphic e fotografia, con opere surrealiste ispirate a Magritte. È un progetto di dieci anni fa e a quel tempo l’unico modo per esporlo è stato stampare le opere e presentarle in una galleria.
L’anno scorso, quando per la prima volta ho capito che, grazie alla tecnologia NFT, c’era la possibilità di rimanere nel digitale e non dover trasformare obbligatoriamente i miei lavori digitali in qualcosa di fisico, ho pensato che fosse una rivoluzione incredibile. Le mie opere realizzate con il digitale potevano rimanere all’interno del mondo digitale e mantenere la loro natura. Potevano avere una propria certificazione, essere collezionate ed essere fruite, senza che ne fosse snaturata la matrice. Per me questo è un aspetto rivoluzionario, forse un po’ in ritardo, dal momento che viviamo già in un mondo digitale e certificato, ma comunque rivoluzionario.

Continui a lavorare anche come artista nel mondo dell’arte tradizionale. Che rapporto senti tra questi due mondi?
Secondo me tutto è arte, non vedo una distinzione tra mondo dell’arte tradizionale e mondo dell’arte digitale NFT. Il medium non può essere un modo per delineare due differenti parti del mercato dell’arte. Credo che le due manifestazioni artistiche siano assolutamente compenetrabili. La maggior parte delle realtà che vedo nascere in questo periodo, per esempio a New York, sono infatti mostre ibride in cui sono presenti opere fisiche con NFT creati da esse, o viceversa. Questa separazione esiste perché l’NFT è una tecnologia nuova, ma tra venti o trent’anni penso che nessuno vedrà più la distinzione tra i due mondi.

Levitation, proserpina 2020, courtesy Giuseppe Lo Schiavo

Levitation, proserpina 2020, courtesy Giuseppe Lo Schiavo

GLI NFT SECONDO GIUSEPPE LO SCHIAVO

Il mondo NFT ti ha cambiato o ha cambiato il tuo lavoro tradizionale?
Sì, il mondo NFT ha cambiato il mio lavoro. Prima, ogni volta che creavo delle opere dovevo passare dalla galleria e, solo nel caso in cui si dimostrasse interessata, selezionare i miei lavori e poi arrivare sul mercato. Questo ecosistema, invece, mi ha dato molta più libertà, dal momento in cui ho un’idea, la porto avanti dalla A alla Z ed è già sul mercato. Lavorare a un progetto di arte digitale senza intermediari mi dà la possibilità di sperimentare e avere una libertà creativa che prima avrei ottenuto con molte difficoltà.

Come parleresti della tua poetica?
Nelle mie opere è sempre presente un po’ di ironia, distopia e anche un po’ di ottimismo.
A me interessa molto il concetto di unione dell’arte con la scienza e la tecnologia.
Mi piace esplorare la scienza e la ricerca scientifica perché sono l’unico modo per guardare al futuro e averne delle previsioni.
Ho una narrativa abbastanza postumana, in cui uomo, tecnologia e macchina si fondono in un’unica entità. Esiste un rapporto mutualistico tra l’uomo che crea la macchina e la macchina che crea l’uomo. Penso che l’uomo e la tecnologia si trovino in un unico processo evolutivo e siano già fusi in un’unica dimensione. In questa mia visione postumanista, gli umanoidi sono gli attori delle mie opere, ideate come se fossero spettacoli teatrali, e veicolano un messaggio scientifico. Per esempio, nell’opera Orgasmica, gli attori sono umanoidi che rappresentano cellule spermatiche.
La scienza, l’arte e la robotica hanno aiutato a espandere le condizioni di vita dell’uomo e io vedo un futuro pacifico e integrato con la tecnologia.

Spiegati meglio.
Non credo alla paura del futuro, al timore che la tecnologia prenda il sopravvento e i robot prendano sempre più posto nella nostra vita. Ritengo, anzi, che siamo noi gli artefici della tecnologia, saremo noi a controllarla, ed essa ci potrà aiutare a rendere la vita migliore.
Inoltre, all’interno della mia narrativa inserisco sempre dei riferimenti all’arte classica, mia grande passione, perché credo che sia importante indagare il futuro con una conoscenza del passato e interessante creare ponti temporali tra i due mondi.

Cosa significa per te fare arte?
È difficile comprendere la ragione che muove l’uomo a fare arte. Credo che sia una sorta di risposta alla sua mortalità: creando arte si ha la sensazione di riuscire in qualche modo a produrre qualcosa che ha a che fare con l’origine della vita, di poter creare nuova vita, anche se non propriamente biologica. L’arte potrebbe essere l’unica eredità che lascerò su questo pianeta.

Copy of Copy of Onirica, first scene, courtesy Giuseppe Lo Schiavo

Copy of Copy of Onirica, first scene, courtesy Giuseppe Lo Schiavo

L’ARTE DI GIUSEPPE LO SCHIAVO

Molte delle tue opere sono focalizzate sulla danza e la performance. Come sei arrivato a realizzarle? Hai avuto delle ispirazioni?
Ho sempre voluto realizzare opere teatrali ma non ne ho mai avuto l’opportunità finché, grazie al digitale, ho potuto creare io dal computer di casa i personaggi, lo stage design, il tema e i movimenti. Dimitris Papaioannou, artista teatrale greco che ha lavorato con la danza sperimentale contemporanea, è stato fonte di quell’ispirazione che mi ha permesso di entrare nel mondo NFT con uno stile “teatrale”.
Io ho sempre curato nei dettagli l’estetica delle mie opere perché secondo me è una parte fondamentale dei miei lavori, ma non è mai stato l’aspetto che mi ha contraddistinto e vorrei che non lo fosse neanche in futuro. Non voglio essere legato a un’estetica riconoscibile, perché la trovo noiosa e poco stimolante dal punto di vista creativo. A me piace creare arte legata ai contenuti, a un fil rouge di ricerca, e trovare l’estetica adatta a ogni singolo progetto. Non mi interessa essere ricordato per lo stile; mi interessa essere ricordato per un concetto: il dialogo uomo, scienza, tecnologia e postumano.

Per esempio?
Mi vengono in mente l’opera NFT Tecnogenica e la serie fotografica Wind Sculpture. In entrambi i lavori ho voluto agire sullo stesso tema: il rapporto, l’unione tra l’uomo e la natura. Tecnogenica è uno spettacolo teatrale in cui l’uomo che cerca di legarsi alla natura e al mondo animale è rappresentato da umanoidi, da alberi e dalla rappresentazione di un albero. Wind Sculpture è una serie di fotografie molto diverse esteticamente l’una dall’altra, ma che affrontano lo stesso concetto. Ogni foto è frutto di una performance teatrale, io mi sono inserito nella natura e nelle mie opere con una coperta termica sviluppata dalla Nasa nel ’68 per lo Space Program per andare sulla Luna. Ho utilizzato la coperta termica per creare la performance con la natura. È quindi un dialogo tra me, la natura e la tecnologia, qui rappresentata dalla coperta.

Le tue opere sono molto complesse, quanto tempo lavori alla realizzazione di un’opera? Com’è il tuo processo creativo?
Per realizzare una mia opera impiego molto tempo, circa due o tre mesi. Tutto il processo creativo, però, nasce e parte da un’intuizione o da una ricerca di origine scientifica. Successivamente realizzo uno storyboard, cercando di rimanere nei limiti di tempo ‒ nel mondo dell’arte NFT rimango entro i due o tre minuti per opera ‒ e di dimensione del file imposti dalla piattaforma.
Non faccio uso di postproduzione, utilizzo dei software non adatti all’animazione 3D, ma legati al mondo dell’architettura. Li preferisco perché mi permettono di dare alle opere un approccio più fotorealistico e meno da blockbuster.
Voglio che i miei lavori abbiano sempre un contatto abbastanza stretto con la realtà e per questo utilizzo camere con i settaggi di una macchina fotografica vera e propria e luci studiate per essere identiche a quelle che vengono utilizzate in un teatro reale.

Rispetto alle opere NFT, sei mai stato contattato da musei o gallerie?
Sì. Ad aprile 2022 è stata organizzata una mia mostra al Museo Luzzetti di Grosseto, curata da Alessandro Corina in collaborazione con il MOCDA (Museum of Contemporary Digital Art). Tre miei lavori NFT – Robotica, Tecnogenica e Orgasmica – sono stati inseriti per dialogare con le opere rinascimentali e barocche della collezione Luzzetti. È stato molto interessante creare questo dialogo tra arte del futuro, arte digitale e arte del passato. Penso sia un modo molto interessante per avvicinare le persone a questa nuova rappresentazione artistica; portare l’arte digitale in un museo permette alle persone di capirne il valore, percependone anche la loro fisicità.

Come è stata accolta la mostra?
La mostra ha suscitato molto interesse. Abbiamo tenuto la conferenza stampa nell’aula magna del comune di Grosseto ed erano presenti più di trecento persone, che hanno poi visitato la mostra. In questo periodo vedo hype e curiosità, le persone non conoscono molto di questo ecosistema e hanno il desiderio di capire di più questo nuovo movimento, soprattutto quando un museo cerca di aprirsi a esso.

Ho visto che fai opere solo 1/1, ci puoi dire perché?
Nella maggior parte dei casi, realizzo 1/1 perché su SuperRare è possibile pubblicare solo opere uniche, ma soprattutto lo faccio perché in questo modo si percepisce di più la rivoluzione di questa tecnologia: tutti possono vedere l’opera, ma soltanto uno può collezionarla e averne il certificato digitale.
In realtà in un’occasione ho realizzato in collaborazione con Bombay un progetto creato con la partecipazione degli utenti: un’edizione limitata di venti pezzi su MakersPlace. Mi è piaciuto che il lavoro finale fosse partecipativo e ci fossero più collezionisti ad avere la mia opera.

Antropogenica in Times Square curated by MOCDA, courtesy Giuseppe Lo Schiavo

Antropogenica in Times Square curated by MOCDA, courtesy Giuseppe Lo Schiavo

LA TECNOLOGIA NELLE OPERE DI LO SCHIAVO

Cosa ti aspetti dal futuro del mondo NFT?
Penso che nel futuro ci sarà contaminazione e unione tra mondo dell’arte “tradizionale” e mondo dell’arte NFT. Avverrà un’ibridazione in cui ci saranno opere NFT con una componente fisica oppure opere fisiche con una componente NFT. Non parleremo più di opere NFT, parleremo solo di opere digitali e tralasceremo l’aspetto tecnologico. Credo che esisterà un unico ecosistema.
Oggi identifichiamo la tecnologia perché è nuova ed è importante nel momento descrittivo dell’opera, ma in futuro sarà un fattore già acquisito e non avremo più bisogno di nomenclature e divisioni. Io, per esempio, per molte mie opere fisiche ho creato il certificato di autenticità in NFT e di molte opere NFT ho creato anche una versione fisica, per creare una sorta di dialogo e di ibridazione tra questi due mondi.

Stai lavorando a qualcosa adesso? Puoi parlarcene?
Sì, ho lavorato e sto lavorando a diversi progetti. Da poco ho realizzato Antropogenica, opera creata ad hoc per i pannelli di Times Square a New York, dove è stata esposta fino al 10 luglio. Faceva parte della mostra di arte pubblica Urban Pixels, curata da MOCDA in collaborazione con EssilorLuxottica.
Recentemente ho anche collaborato con Lenovo Italia che mi ha scelto come unico artista digitale per promuovere l’uscita della nuova linea di laptop. Appositamente per loro ho creato una nuova opera, Henosis, utilizzando uno dei nuovi computer.
Dal 20 al 23 luglio, poi, in occasione del festival della visione “Videocittà” a Roma, sono stato presente con l’opera Dicotomica, all’interno della mostra Presente Futuro, organizzata da Reasoned Art in collaborazione con Videocittà.
In questo momento, sto lavorando a un’opera NFT che dovrebbe essere l’opera digitale realizzata con la più alta risoluzione mai raggiunta in questo campo. Sarà un’opera statica e utilizzerò centotrenta computer in rete per calcolare l’immagine. Ci sarà uno script, che ho già realizzato, che permetterà di navigare l’opera e zoomare dove e quanto si vuole.
Inoltre, ho una mostra in programma alla galleria Spazio Nuovo di Roma, a novembre, in cui creerò un percorso espositivo tra arte fisica e arte digitale. Sto anche lavorando per portare a compimento il progetto che ho presentato per il premio BioArte del MUSE di Trento e un nuovo progetto che ho iniziato lavorando a stretto contatto con loro.

Puoi raccontarci meglio i progetti in collaborazione con il MUSE?
Durante la mia residenza di artista presso UCL (University College of London), ho realizzato un progetto sulle contaminazioni batteriche e sui patogeni. Ho poi presentato questa ricerca per il premio BioArt Challenge al MUSE di Trento e ho vinto. Avrò quindi la possibilità di portarla a termine.
Lavorando a stretto contatto con il MUSE e il CIBIO (Dipartimento di Biologia cellulare, computazionale e integrata) di Trento, abbiamo deciso inoltre di realizzare un nuovo progetto il cui tema principale è la biologia sintetica, nuovo ramo molto promettente della biologia.
La ricerca fa parte del progetto europeo ACDC (Artificial Cells with Distributed Cores) e consiste nell’ideazione di opere realizzate all’interno del laboratorio di cellule artificiali e nella creazione per la prima volta di una sorta di entità digitale che viva nel web e che risponda a condizioni esterne. Queste entità digitali avranno come DNA delle informazioni, che determinerò io, e reagiranno e cambieranno in base a quante persone visualizzeranno l’opera. Tale sistema si chiama EP AI e le condizioni esterne che influenzeranno l’opera saranno diverse, come, per esempio, l’analisi giornaliera svolta sui social network per definire il livello di felicità. Sarà un’opera dinamica che si modificherà continuamente e vivrà in un habitat, che in questo caso sarà la mia pagina web.
Una volta scritto il codice dell’opera e una volta pubblicata, questa avrà una sua vita personale: si potrà riprodurre, le opere nate potranno influenzarsi tra di loro, potranno essere infettate e anche morire. Questo progetto è una sorta di paradosso della vita artificiale, un dialogo che parte da una provocazione: la vita artificiale o la vita digitale può essere considerata anch’essa vita? Ciò che è stato creato dall’uomo con un codice può essere considerato organismo vivente?

Dove ti troveremo fra un anno?
Per me è importante rimanere sempre in questo terreno ibrido tra l’arte tradizionale e l’arte digitale. Voglio concentrarmi su questo rapporto dicotomico che si è creato negli ultimi anni. È difficile, però, fare delle proiezioni perché in un anno sono cambiate così tante cose sia nel mondo dell’arte sia in generale…
Tra un anno spero di non avere la risposta per l’anno successivo, perché vuol dire che starò lavorando!

Alessio Tozzi

https://www.giuseppeloschiavo.com/

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