Gallerie virtuali. Un decalogo per crearle come si deve

Tra le conseguenze della pandemia c’è anche il ricorso massivo alle gallerie virtuali come strumento per mantenere vivo il dialogo tra pubblico e opere d’arte. Ma quali regole ci sono alla base di una “buona” galleria virtuale?

Le gallerie virtuali sono uno dei grandi trend del 2020. Tutti ne parlano, tutti le vogliono, ma, pur essendo un must dell’epoca della pandemia, sono ancora difficili da definire. Galleria virtuale è la replica sofisticata del centro espositivo fisico, dotata di tutte le tecnologie più evolute di realtà virtuale e realtà aumentata, ma è anche un patchwork di opere in jpg o di pdf con didascalie artigianali. Galleria virtuale, insomma, può voler dire tutto e niente. Ecco allora un decalogo, provocatorio ma non troppo, per cominciare a dare dei riferimenti concreti a questi strumenti, diventati in men che non si dica un fenomeno di costume.

Mario Gerosa

SPAZI IN TEMPO REALE

Gianni Colombo, Spazio Elastico, 1965-67 (opera dispersa)

Gianni Colombo, Spazio Elastico, 1965-67 (opera dispersa)

La galleria virtuale deve rappresentare già in prima battuta un’esperienza originale. Lo spazio della galleria deve essere di per se stesso uno strumento di comunicazione, magari anche una sorta di opera d’arte, e non un semplice contenitore. Nella realtà le gallerie costruite con calce e mattoni non possono cambiare sostanzialmente nel tempo, e tanto meno in diretta. Quelle digitali sì. Quindi sarebbe opportuno creare degli spazi interattivi che possano cambiare sulla media e lunga durata, ma anche in tempo reale, al contatto con i visitatori. Si potrebbe pensare a spazi elastici, con pareti che si restringono o si dilatano, che parlano o che piangono o ridono, spazi emozionali che entrano in sintonia con l’opera, ma soprattutto che amplificano e restituiscono le emozioni che il visitatore prova osservando una certa opera.

SOSTENIBILITÀ

Nell’ambito delle gallerie virtuali la sostenibilità si esplica in una serie di buone pratiche che preservino e rafforzino la natura e l’identità primaria del virtuale. Ciò significa che bisogna fare il minor numero di concessioni possibile al mondo vero, che rappresenta una facile scorciatoia. Ma c’è anche un’altra accezione di sostenibilità, che esige sempre una forte componente emozionale in questo tipo di progetto. All’approccio squisitamente tecnologico si deve abbinare una parte sostanziosa di storytelling, e soprattutto una componente emozionale, che possa supplire alla freddezza connaturata alla virtualità. Infatti si possono fare delle bellissime gallerie virtuali, curate in ogni minimo particolare, ma è importante colmare il gap emozionale con una serie di accorgimenti di matrice umanistica.

AVATAR UMANI

Sam Worthington e Zoe Saldana in Avatar (2009) di James Cameron

Sam Worthington e Zoe Saldana in Avatar (2009) di James Cameron

È ipotizzabile pensare a una persona, possibilmente una guida turistica munita di una videocamera, che è fisicamente all’interno del museo vero e che diventa l’alter ego del visitatore da remoto. Il visitatore entra virtualmente nel museo dal suo computer e osserva le opere attraverso il suo intermediario personale, che va dove lo si indirizza. Questo “real avatar” poi può commentare in diretta le opere, zoomare sui dettagli, condividere le esperienze. Per visitare le mostre per interposta persona.

INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Big Data e Database. Photo Pete Linforth from Pixabay

Big Data e Database. Photo Pete Linforth from Pixabay

Nelle gallerie virtuali l’A.I. memorizza i comportamenti degli utenti, i percorsi, il tempo trascorso davanti a ogni singola opera, la quantità di persone che si assembrano davanti a un quadro. Nel corso di ogni mostra si immagazzinano moltissime informazioni e si sviluppa un database in continua evoluzione che può servire a modificare, anche nell’arco di tempo in cui è programmata la mostra, la struttura dell’esposizione e il modo in cui le singole opere sono esposte.

ESTETICA

The End of Year Show (EOYS). Courtesy The Irwin S. Chanin School of Architecture

The End of Year Show (EOYS). Courtesy The Irwin S. Chanin School of Architecture

L’estetica delle gallerie virtuali non deve necessariamente ricalcare quella delle gallerie classiche. Non si è obbligati a replicare la forma delle gallerie e dei musei reali, perché equivarrebbe a sminuire in partenza il museo virtuale, né si è tenuti a risolvere semplicemente il problema con il modello del white cube. Come deve essere l’estetica degli spazi virtuali? Sicuramente le gallerie, come le altre architetture, non devono essere per forza repliche di quelle vere. Questa estetica, poi, è legata all’immaginario dei videogiochi, che dagli Anni Novanta ha prodotto anche degli stili architettonici, commensurabili alle nuove architetture virtuali. Dagli Anni Novanta si è sviluppata una nuova estetica nei mondi virtuali e dei videogame. È un’estetica di carattere ludico, con una propria identità: dato che si tratta di un’estetica sviluppata in un contesto digitale, sarebbe il caso di guardare in quella direzione. Inoltre si potrebbe creare una mediazione tra le invenzioni dei grandi architetti e questa nuova estetica ideata da sviluppatori di videogame e residenti di mondi virtuali.

GALLERIE PERSONALIZZATE

L’utente potrebbe essere messo in condizione di modificare gli spazi secondo il suo mood del momento. Durante la visita a una galleria, l’utente può cambiare i setting dell’ambiente.
Nel suo computer, e solo lì, può vedere la galleria con colori diversi e con proporzioni differenti, sempre in un range definito dai curatori che sia in sintonia con le opere esposte.
Lo stesso discorso vale per la musica, che si può scegliere in una playlist preparata dal curatore e/o dall’artista.

FRUIZIONE

Inner Realm, la mostra curata da Jennifer Guidi per Massimo De Carlo VSpace, 2020

Inner Realm, la mostra curata da Jennifer Guidi per Massimo De Carlo VSpace, 2020

Visitare una galleria virtuale deve essere estremamente semplice. Il fruitore non deve incontrare barriere tecnologiche che possano rendere complicata l’esperienza. Inoltre la funzione e le modalità di fruizione potrebbero influenzare anche la forma degli spazi. Per esempio, tutto l’apparato multimediale della galleria non deve apparire come qualcosa di posticcio, ma come parte integrante del progetto. La fruizione deve essere il più possibile semplificata, evitando che l’utente rinunci all’esperienza a causa delle difficoltà tecnologiche da affrontare, e dello storytelling, che implica che la galleria virtuale sia sempre viva e racconti storie ed esperienze. Le modalità di fruizione influenzano anche l’estetica delle gallerie. Nell’architettura virtuale ci si muove o utilizzando i tasti del computer, oppure con il visore tipo Oculus: bisogna tenerne conto in fase di progettazione.

ATMOSFERA

Un ambiente domestico in realtà virtuale

Un ambiente domestico in realtà virtuale

Questo concetto immateriale, parente del virtuale (che però è considerato freddo), si è sviluppato fin dall’Ottocento col Biedermeier e poi è stato ripreso ampiamente dai pubblicitari negli Anni Sessanta. Nato come proiezione astratta di una sensibilità romantico-letteraria si è perfezionato con un’idea inarrivabile di casa ideale borghese. Curiosamente, quell’idea di atmosfera, immaginata attraverso camini scoppiettanti, romanze di violini e profumi vellutati di brandy, si ritrova anche nei mondi virtuali dei primi anni del Ventunesimo secolo. Oggi, in un certo senso, dalla sintesi di atmosfera televisiva Anni Sessanta e di atmosfera digitale sono nati i caminetti virtuali con crepitio. Lo spazio definito dall’atmosfera delimita un interno finto-emozionale, evocativo di uno scenario domestico rassicurante di boiserie, vecchia carte da parati inglesi e mobili Chippendale. Apparentemente impalpabile, in realtà evoca un interno complesso e molto strutturato. Per inciso, l’atmosfera era un tema centrale già quindici anni fa, ai primordi di Second Life, dove la gente si creava una casa col caminetto piuttosto che una specie di nave spaziale.
Le gallerie virtuali possono avvalersi di questa idea di atmosfera, che supplisce alla freddezza dello schermo. Il gradiente di atmosfera può essere aumentato con l’ausilio di profumi, fondamentali in una mostra d’arte. Le opere e le stanze hanno un profumo. Ci sono quelle che hanno un retrogusto di muffa ed evocano il tempo perduto, quelle con un profumo di plastica, che sa di produzione industriale, quelle che sanno di nuovo e di pulito. A chi si prenota per visitare una mostra virtuale da remoto viene inviata una confezione con delle essenze da aprire davanti a ogni opera.

GRADI DI VIRTUALIZZAZIONE

Screenshot dalla galleria virtuale del MAV di Ercolano

Screenshot dalla galleria virtuale del MAV di Ercolano

Quando si parla di architettura, dire genericamente “virtuale” non è sufficiente. Ci sono diversi gradi di virtualizzazione: si va dai luoghi simili a quelli veri, ai luoghi ibridi e a quelli di finzione. La galleria, come i materiali esposti, può essere totalmente slegata dalla natura virtuale del medium, oppure può avere anch’essa una vocazione virtuale. La galleria, con la sua forma e le sue caratteristiche, potrebbe denunciare la volontà di essere una variante di quelle vere, ma presente soltanto nel web. In tal modo dovrebbe essere sostanzialmente statica, senza possibilità di deformazione o di interazione. Viceversa, se la galleria aderisce alla poetica virtuale, diventa partecipe dell’opera d’arte: il contenitore per certi aspetti diventa omologo al contenuto.

L’ALLESTIMENTO

Gli allestimenti delle gallerie virtuali non sono quelli delle gallerie del mondo vero. Nelle gallerie virtuali non c’è la stessa interazione che si ha con le opere nel mondo fisico. Le opere esposte nelle gallerie virtuali non si possono toccare, accarezzare o annusare. Ma si possono attraversare, prendere in mano, soppesare. Inoltre le dimensioni delle opere possono variare in tempo reale, così come la percezione delle loro texture, il supporto, lo sfondo, i piedistalli.

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Mario Gerosa

Mario Gerosa

Mario Gerosa (1963), giornalista professionista, studioso di culture digitali, cinema e televisione, si è laureato in architettura al Politecnico di Milano. È stato caporedattore di AD e di Traveller e ora è freelance. Dopo aver scritto il primo libro uscito…

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