Visionari digitali. Tod Machover e la musica interattiva

Musica e tecnologia digitale sono gli “strumenti” utilizzati da Tod Machover per dare forma alla sua arte.

L’americano Tod Machover (New York, 1953) studia e pratica la ricerca sul suono elettronico prima a New York (Juilliard School) per essere poi invitato come compositore in residenza nel 1978 all’IRCAM di Parigi, istituto di ricerca fondato da Pierre Boulez. Qui incontra diversi sperimentatori delle nuove possibilità dei computer-software e ricercatori d’eccezione come Giuseppe Di Giugno, che disegna sintetizzatori digitali e molti altri che sperimentano le possibilità espressive del suono elettronico-digitale. Dalla metà degli Anni Ottanta lavora sulla possibilità di implementare o modificare gli strumenti musicali classici in varie direzioni, ormai all’interno di un’ondata di suono digitale e di sperimentazioni ardite che coinvolge tutto l’Occidente. Il “suono meccanico” è sperimentato nella cultura del clubbing come nei nuovi laboratori multimediali che sono spuntati fra Università, Conservatori e Accademie di Belle Arti o Centri Digitali Autonomi fra Europa del nord e Stati Uniti. In quel periodo Machover inizia a lavorare con il MIT di Boston (il Medialab del Massachussett Institute for New Media), presto diventato il leader della ricerca digitale. Nel 1985 al Beaubourg la mostra Les Immatériaux curata da Jean-François Lyotard fa il punto sulle nuove idee e le eccentriche realizzazioni dei protagonisti di un nuovo scenario sperimentale. Una delle parole d’ordine di quel periodo è “interattività” e su questa direzione si muove Machover. Inizia a inventare “hyperinstruments”, come l’hyperviolin, l’hypercello, l’hyperpiano, sostanzialmente connettendo gli strumenti classici con dispositivi e software digitali che possono registrare il suono e riproporlo in diversi livelli musicali all’interno della composizione, aggiungendo nuove caratteristiche, straniando il suono, accelerandolo e offrendolo in strutture inedite.

Tod Machover, Brain Opera, 1996. Courtesy Ars Electronica

Tod Machover, Brain Opera, 1996. Courtesy Ars Electronica

L’IMPORTANZA DELLA INTERATTIVITÀ

L’interattività interessa Machover per la sua capacità di far entrare il pubblico all’interno del processo creativo, di cui l’autore resta il responsabile e il gestore, ma con un dialogo nuovo con il lavoro musicale, con una redistribuzione dei ruoli attivi autore-pubblico e con esiti innovativi. Molti i lavori che esplorano le possibilità di trasformare le classiche forme dell’opera, per esempio mettendo in musica il romanzo Valis di Philip Dick, dove applica l’interattività nel rapporto fra un cantante-mimo e una scenografia luminosa che il mimo trasforma muovendo le mani fornite di sensori. Il lavoro complessivo sull’opera è Opera del futuro, un progetto di lunga durata che colpisce al centro i problemi messi sul tavolo, cioè il primato del suono e della sua analisi, l’interazione sui meccanismi della produzione musicale, il coinvolgimento diretto del pubblico. La Brain Opera è pensata per rompere con i modelli dell’opera ottocentesca. Inizia con una lunga ricerca su due punti fondamentali: l’Interattività come tentativo di “virtualizzare” l’esecuzione musicale e come apertura del lavoro al pubblico rompendo i confini del rapporto autore-pubblico e le spazialità tipiche della forma concerto. Per creare questa “struttura musicale” inedita Machover crea una serie di strumenti-dispositivi assolutamente originali, utilizzando gli hyperinstrument ma soprattutto inventando le più eccentriche combinazioni: musica-videogame, facendo interagire la guida di un popolare gioco di car-race con la creazione e la modulazione di sonorità diverse. Questi dispositivi, con un fondo sonoro preparato da Machover a fare da base e punto di fusione, si connettono nel farsi della musica e nel costringere il pubblico a interazioni variate nello spazio come nelle azioni con la materia sonora preesistente. Melody Easel, che cattura i gesti come se stessimo disegnando e li traduce in forma sonora; The Gesture Wall, che trasforma i gesti del pubblico in composizioni come se stessimo componendo uno spartito; Rhythm Tree e Speaking Signing Tree, modalità interattive basate su innumerevoli oggetti che, distribuiti in una vasta sala, rendono l’azione-musica un’esperienza performativa originalissima. Il pubblico entra in uno straniante rapporto con lo strumento musicale diventato “bruco-fungo” come in Alice in Wonderland, oggetto Morbido E Tattile oppure oggetti robot parlanti come lo “Spaventapasseri” e il “Boscaiolo di latta” del Mago di Oz. La dimensione della fiaba e del racconto fantastico si fonde con la riduzione della realtà operata nei videogame in una voluta regressione dalle complesse strutture su cui è basata la musica contemporanea, per trovare una semplificata rigenerazione.

Tod Machover, Brain Opera, 1996. Courtesy Ars Electronica

Tod Machover, Brain Opera, 1996. Courtesy Ars Electronica

GIOCO E TECNOLOGIA

La partecipazione del pubblico (adulti e bambini) avviene con entusiasmo e divertimento. Era questo l’obiettivo espresso da tanti artisti digitali, che utilizzavano l’idea di Johan Huizinga: il gioco è una forma di apprendimento e motore di comprensione nella società e nell’arte. Più ampiamente, Huizinga suggerisce che il gioco è un linguaggio primario ed è una situazione necessaria per produrre cultura: homo ludens. Altro elemento importante è il rapporto corporeo con i dispositivi digitali che coinvolgono i cinque sensi: il tatto, l’olfatto, il gusto, la vista e l’udito si incrociano, in un rapporto complessivo con una nuova idea di musica. Idea che si svilupperà poi in interventi su persone nel campo dell’educazione musicale come nel campo dell’arte-terapia, come aveva fatto Bob Wilson nel famoso Deafman Glance, teatralizzazione di un rapporto pedagogico con un bambino sordo. Maurice Merlau-Ponty diceva: “È prestando il proprio corpo al mondo che il pittore cambia il mondo in pittura“. E la strategia degli artisti digitali vuole appunto far aderire la tecnologia al corpo e trasformarlo in un organismo produttore di creatività. Ampliando il discorso, Tod Machover con l’Arslab del MIT progetta interventi a misura urbana in grandi città, prima selezionando i punti di produzione della musica, poi quelli del suono, infine componendo e mixando questi punti per produrre una City Simphony che porta suono e musica in tutti i possibili luoghi urbani. Sono state fatte City Symphonies a Toronto, Edimburgo, Perth, Lucerna, Detroit e altre seguiranno.
In un’intervista alla metà degli Anni Novanta viene chiesta a Machover una dichiarazione sull’arte digitale, le sue possibilità e il suo futuro. Questa è la risposta: “È veramente difficile rispondere a questo punto. Questa tecnologia è così nuova. È prematuro rispondere. Una direzione cruciale nelle arti moderne è abbattere i confini fra il pubblico e l’artista, fra il lavoro finito e la serie di possibilità che quel lavoro potrebbe diventare. Questo obbiettivo è importante su un piano pratico perché dobbiamo trovare la strada affinché il pubblico si svegli. Ogni possibile strada perché questo avvenga deve essere esplorata. Una delle grandi cose della tecnologia è che può eliminare gli ostacoli, come la difficoltà di padroneggiare uno strumento musicale o il mistero dell’apprendere la tecnica musicale. La tecnologia permette alla gente di stimolare capacità che possiede già, e infine lascia al pubblico la sua intuizione per prendere decisioni creative senza avere una dettagliata conoscenza della materia. La tecnologia cambierà il modo in cui noi pensiamo il concerto”. E la musica stessa.

‒ Lorenzo Taiuti

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Lorenzo Taiuti

Lorenzo Taiuti

Lorenzo Taiuti ha insegnato corsi su Mass media e Arte e Media presso Academie e Università (Accademia di Belle Arti di Torino e Milano, e Facoltà di Architettura Roma). È esperto delle problematiche estetiche dei nuovi media. È autore di…

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