La comunità BIPOC nella moda italiana: cos’è e chi sono i rappresentanti

Il punto di vista di cinque talenti del fashion system ci restituisce una panoramica sull’inclusività etnica nella moda italiana. E sulle comunità Black, Indigenous and People Of Color al suo interno

La necessità di rappresentazione delle minoranze è un tema che interessa molteplici settori. La moda, intesa come specchio del contesto culturale vigente, rincorre e muove allo stesso tempo il progresso. Eppure, pesanti eredità concettuali interferiscono con la diffusione di un sistema equo e lo sviluppo di un ambiente fertile per la crescita creativa. Così sei talenti della comunità BIPOC (Black, Indigenous and People Of Color) hanno dato prova ad Artribune della propria eccellenza nel settore moda italiano, a volte ostico ed elitario, aprendo una finestra di dialogo sulla rappresentazione delle minoranze, sulla normalizzazione della diversità e sulla discriminazione razziale. Il valore aggiunto nei contesti indipendenti e nel mondo del design sperimentale risiede nella multiculturalità dei propri componenti, le cui divergenze di background arricchiscono il contenuto veicolato dai prodotti artistici. Ora è il turno della moda e dell’arte istituzionale di rinnovarsi, offrendo spazio ai creativi di qualsiasi etnia, garantendo meritocrazia e assorbendo il potenziale di crescita che solo lo scambio ideologico può offrire.

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Charity Dago

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Paul Roger Tanonkou

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Michelle Francine Ngonmo

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Abbia Maswi

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Betty Sosa

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Marzio Villa

Talent Manager, imprenditrice e consulente d’immagine

Mi definisco fieramente un’imprenditrice, figlia di imprenditori nigeriani. La mia passione per la moda nasce con me a Carpi, distretto manifatturiero di maglieria, dai pomeriggi passati nella stireria dei miei a immaginare la storia di abiti e tessuti. Lo stile trendy di mia mamma, unito a quello classico di mio padre, hanno dato vita alla mia personalità multiforme, tra influenze romantiche e linee maschili. A Milano ho intrapreso il mio percorso nel fashion come consulente d’immagine, stylist, producer, talent manager e docente di Image Consulting in Accademia del Lusso. La rete nata attorno alla volontà di normalizzare le diversità ha condotto naturalmente a Wariboko, la mia agenzia di management che oggi conta 38 talenti afro-discendenti nei settori moda, pubblicità, cinema e doppiaggio.

Charity Dago. Produzione e curatela visiva di Alessia Caliendo. Photo Marzio Emilio Villa
Charity Dago. Produzione e curatela visiva di Alessia Caliendo. Photo Marzio Emilio Villa

Fashion designer

Zenam significa raggio di sole in dialetto Bamiléké. Ho scelto questo nome quando mi sono trasferito da Parigi a Milano e osservavo nelle boutique i colori ombrosi delle collezioni dei grandi brand. Non capivo perché non ci fossero rappresentazioni multiculturali nella moda italiana, e proprio su questo vuoto ho puntato la mia luce mélangé, generata dai miei viaggi e dall’impatto della colonizzazione francese sulla mia cultura. Il brand Zenam si basa sull’integrazione subregionale dell’Africa subsahariana, fondendo Made in Italy e tradizioni artigianali locali per dare vita a collezioni ibride con stampe inedite e un influsso internazionale.

Paul Roger. Produzione e curatela visiva di Alessia Caliendo. Photo Marzio Emilio Villa
Paul Roger. Produzione e curatela visiva di Alessia Caliendo. Photo Marzio Emilio Villa

Talent scout e attivista

Da dove iniziare? Visiting prof in varie università; direttrice del dipartimento di Fashion Design dell’Accademia delle belle arti di Douala; talent scout alla ricerca di Unseen Profiles, talenti invisibili per il sistema. Quando ho creato Afro Fashion Association nel 2015, ero piena di sogni e ho deciso di credere nella moda in quanto strumento universale di comunicazione a livello personale e pubblico. Oggi, il fashion system vive un’evoluzione dal punto di vista della diversità, ma io credo sia gonfiata dal tokenismo. Dopo Black Lives Matter, c’è stata un’enorme attenzione sul tema e un conseguente declino, quasi fosse stato un trend; e questo è molto triste. Io penso che l’Italia abbia il potenziale per proporre un modello di società multiculturale, come ha saputo abilmente fare con il Made in Italy o il food. In che modo? Allontanandosi dal paternalismo e garantendo meritocrazia, dialogo e interscambio culturale come basilari prerogative.

Michelle Ngonmo. Produzione e curatela visiva di Alessia Caliendo. Photo Marzio Emilio Villa
Michelle Ngonmo. Produzione e curatela visiva di Alessia Caliendo. Photo Marzio Emilio Villa

Make-up artist, creator e insegnante

Nel 2015 ho creato l’hashtag #focusondarkskin perché mi sono resa conto che in Italia mancava proprio una nicchia di professionisti ed una formazione adeguata a riguardo. Sono andata a Parigi e in Spagna a fare corsi di formazione e master per approfondire il trucco dark skin e portarlo in accademia come professionista specializzata in pelle nera. Oggi insegno e vivo nelle Marche, da tre anni lavoro con celebrities, coltivo il mio seguito sui social con contenuti dedicati; tutto ciò mi ha aiutata a dare visibilità al mio lavoro e alla mia inclusivity mission nel mondo make-up.

Abbia Maswi. Produzione e curatela visiva di Alessia Caliendo. Photo Marzio Emilio Villa
Abbia Maswi. Produzione e curatela visiva di Alessia Caliendo. Photo Marzio Emilio Villa

Make-up artist e creator

Quando ho imparato a truccarmi, dovevo farmi mandare fondotinta e correttori dagli US, perché in Italia non esistevano tonalità di prodotto adatte a me. Oggi l’offerta di molti brand è più ampia e questo è un miglioramento. Frequentare l’accademia in Italia mi ha dato l’attestato, ma è stato completamente infruttuoso per le mie competenze: oggi sono specializzata in make-up dark skin, grazie a corsi in Repubblica Dominicana, Spagna e master online con insegnanti brasiliane e dominicane.

Betania Sosa. Produzione e curatela visiva di Alessia Caliendo. Photo Marzio Emilio Villa
Betania Sosa. Produzione e curatela visiva di Alessia Caliendo. Photo Marzio Emilio Villa

Fotografo

Dai venti ai trent’anni ho vissuto a Parigi e ho iniziato a sviluppare i temi di razzismo e discriminazione tramite il mezzo fotografico. Dal 2022 ho visto un regresso nel dialogo sulle disparità razziali. Credo che nessuno abbia mai preso sul serio il discorso, che sia stato trattato come un fenomeno passeggero. Non mi aspetto di assistere a grandi rivoluzioni ideologiche nella mia generazione. Negli anni ‘60 l’assassinio di Malcolm X provò che il retaggio della schiavitù, terminata cent’anni prima, era ancora vivo e forte nella società americana. Ma questo racconta quanto sia impervia la strada del progresso.

Marzio Villa. Produzione e curatela visiva di Alessia Caliendo. Photo Marzio Emilio Villa
Marzio Villa. Produzione e curatela visiva di Alessia Caliendo. Photo Marzio Emilio Villa
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Charity Dago

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Paul Roger Tanonkou

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Michelle Francine Ngonmo

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Abbia Maswi

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Betty Sosa

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Marzio Villa

Chi è il fotografo Marzio Emilio Villa

Marzio Emilio Villa è un artista black-indigenous, nato in Brasile, che vive e lavora a Milano. Dal 2012 espone in maniera ricorrente presso la galleria parigina Myriam Bouagal Galerie. Dal 2020 al 2022 ha collaborato attivamente con il quotidiano Wall Street Journal. Nel 2021 il suo lavoro “Privileges” entra a far parte della collezione permanente del MUDEC di Milano. Con il progetto “the five stages of grief” partecipa, invece, al PhotoVogue Festival 22 nella collettiva Italian Panorama.

Elena Canesso

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Elena Canesso

Elena Canesso

Nata e cresciuta in provincia di Padova, mossa dalla curiosità verso il mondo e le sue contraddizioni vola in Cina e vive tra Shanghai e Guangzhou dopo una laurea in Mediazione Linguistica e Culturale a Ca’ Foscari. Nel 2016 la…

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