Romanticismo. O Paura? Riflessioni dalla Fashion Week di Milano

Qualche riflessione sulla Fashion Week, conclusasi lo scorso 25 febbraio a Milano. Un report e qualche nota dalle sfilate.

Qualche anno fa – sembra un secolo – un allora Presidente del Consiglio bulletto si beava nel sedersi a cena nelle sale di Palazzo Reale con i fashion designer per la consueta serata organizzata dalla Camera della Moda durante la Settimana della moda a Milano. Faceva bene? No comment. Ora il fiorentino non c’è più e a dominare la scena da qualche mese è arrivato un milanese. Ma anche in questo caso la presenza dell’attuale Ministro della Paura – che con gli stylist non pare abbia grande consuetudine – durante gli show milanesi si è fatta sentire eccome. Il Ministro pur disertando cocktail e passerelle ha trasmesso comunque il suo incontrovertibile mood.

ROMANTICISMO E PAURA

Giovedì 21 febbraio è andata in scena la sfilata di Miuccia Prada. Cinque settimane prima Prada aveva presentato la sua collezione maschile ispirandosi al Frankenstein di Mary Shelley, il mostro divento celebre come espressione della umanissima paura per la creatura “diversa” che in quanto tale causa disagio quando non vero terrore. Nella sua collezione femminile Miuccia Prada ha continuato la sua esplorazione dell’attuale mood socioculturale che la stessa designer ha voluto definire fatto di “romanticismo e paura”. Intanto alcuni indizi di contorno: la passerella costituita da lamelle appuntite realizzate in schiuma e i capelli delle modelle raccolti in lunghe treccine nere identiche a quelle di Mercoledì, la figlia di Gomez e Morticia in The Addams Family. Miuccia Prada è una globalista e di certo non sono solo le vicende italiane ad averla influenzata: pare sia molto preoccupata tanto per i conflitti politici interni all’Europa, per quelli militari in corso e per quelli potenzialmente presenti tra grandi potenze più in generale. Del resto chi non lo è? Basta avere un po’ di sale in zucca per provare qualcosa in più di un sottile disagio per quel che sta accadendo sul nostro piccolo pianeta.

GLI ABITI

Per tornare ai vestiti – perché alla fine di questo si occupano i fashion designer – nella collezione Prada è evidente lo sforzo di addolcire i tropi utilitarian (uniformi, imbottiture, pole climber boot, zaini) con tropi romantici (pizzo, fiori, cuori, cappe e scarpe rosse). Il look forse più rappresentativo è una giacca militare verde-grigio con maniche in nylon imbottito sovrapposta a una elegante camicia blu cielo: il sotto costituito da un trasparentissimo tubino di pizzo nero al ginocchio. Coperto/scoperto, duro/morbido, romantico/utilitarian accostati in pezzi volutamente non fusi ma giustapposti: Frankenstein welcome! I volumi sovrabbondanti di questo over a clessidra – che nella vita reale non si capisce chi mai dovrebbe indossare – sono in ogni caso ricorrenti nelle collezioni presentate questa volta a Milano. I precedenti sono da ricercare nella “brutta” moda degli Anni Quaranta, quelli dove tutte le scorie “sovraniste” del decennio precedente giunsero a compimento nella spaventosa carneficina del Secondo conflitto mondiale. Ma pure un occhio bisogna darlo alla stravagante ripresa operata negli Anni Ottanta da Jean Caulde Montana, nome che tra i connoisseur comincia a tornare in auge.

DOLCE E GABBANA

Domenico Dolce e Stefano Gabbana la loro sfilata l’hanno tenuta domenica 24. Hanno proposto 124 uscite per una sfilata massimalista come è consueto per il duo: anche in questo caso non sono mancati i riferimenti ’40 e ’80.  Un indizio tra gli altri il profluvio di capelli e cloche di ogni genere e tipo da posare sulla testa. Per quale utilizzo? Non ha importanza… A rinforzare segnali come questi si potrebbero citare anche l’esibizione senza freni di pelle (Bottega Veneta) e pellicce (Fendi) e qualche esibita incursione in questa direzione di Donatella Versace: materiali che – inutile negarlo – appaiono completamente out-of-record in un pianeta che sta affrontando una devastante crisi ambientale…

E GUCCI

Una citazione la merita anche Alessandro Michele che la sua sfilata per il marchio Gucci l’ha tenuta invece il giorno di apertura della fashion week milanese: mercoledì 21. Michele è uno straordinario showman. Dopo avergli troncato le teste (collezione a/i 2018) questa volta ha coperto il viso de suoi modelli con maschere da shop feticista alla Jason Voorhees o collari con iperbolici spuntoni da 2 pollici buoni per cani da combattimento. Durante la conferenza stampa Michele che da sempre ama filosofeggiare si è espresso così: “Una maschera è vuota ma anche piena”. Nasconde e rivela; è una difesa e un segno di benvenuto; disorientante e il suo contrario”.  Anche Michele insieme a colori e accessori adeguati ha insistito una silhouette dove l’imbottitura sulle spalle la fa da padrone. Ora attenzione. Quando più segmenti provenienti da designer, per altro tra loro in competizione, si incrociano nello stesso punto (in questo caso silhouette, materiali, accessori, colori, hair and make-up) anche il più sprovveduto tra gli analisti sa che non si tratta di un caso. I fashion designer (quelli bravi) non sono tutti sempre coltissimi, tantomeno sono sempre simpaticissimi, ma se si affermano e resistono sul lungo periodo è perché sono dotati di una predisposizione naturale. Fiutano l’aria come setter, lo fanno mesi prima in maniera silenziosa e poi trasformano l’effluvio (fragranza o miasma che sia) in una forma vestito. Se la vibrazione che hanno avuto è arrivata nel momento giusto e sarà la stessa che qualche tempo dopo incontrerà un corpo disposto a indossarli. Per gioirne o difendersi dalle insidie provenienti dall’esterno. A seconda dei casi.

Aldo Premoli

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Aldo Premoli

Aldo Premoli

Milanese di nascita, dopo un lungo periodo trascorso in Sicilia ora risiede a Cernobbio. Lunghi periodi li trascorre a New York, dove lavorano i suoi figli. Tra il 1989 e il 2000 dirige “L’Uomo Vogue”. Nel 2001 fonda Apstudio e…

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