La moda e la sua storia. Gli Archivi Mazzini a Imola

Palazzo Tozzoni, Imola ‒ fino al 28 febbraio 2018. Autentica miniera di ispirazione e documentazione per stilisti, studenti e ricercatori nell’ambito della moda. Ora una parte infinitesimale degli abiti conservati negli Archivi Mazzini è esposta negli antichi spazi di Palazzo Tozzoni, e la mostra racconta due storie parallele, entrambe ricche di fascino.

Quattrocentomila capi di vestiario: è l’incredibile patrimonio raccolto in un magazzino di Massa Lombarda, in provincia di Ravenna, e si chiama Archivi Mazzini. La sua esistenza e la sua storia sono ben note agli operatori del settore, agli studiosi di moda e di storia del costume, mentre sono pressoché sconosciute ai comuni mortali. Questi ultimi hanno adesso la possibilità di ammirare dal vivo circa un centinaio di abiti estratti da quell’immensa collezione, costituitasi grazie alla lungimiranza di Attilio Mazzini il quale, nel corso della sua vita, ha raccolto tutto ciò che lo affascinava e lo colpiva, e continua tutt’ora ad accrescere la sua preziosa realtà che ormai è un “punto di riferimento per gli stilisti di tutto il mondo che arrivano a Massa Lombarda per far germogliare un’intuizione o un’idea”.
Comprimario della mostra è Palazzo Tozzoni, residenza nobiliare settecentesca del centro storico, abitata per secoli dalla famiglia che ne ha dato il nome e che nel 1978 l’ha donata alla municipalità imolese completa di tutto ciò che conteneva: dipinti, arredi, raffinati oggetti per la tavola e poveri oggetti per la cucina. Un insieme straordinario che si popola di alcuni tra i massimi capolavori della moda mondiale.

Ricerche di stile. Gli Archivi Mazzini a Palazzo Tozzoni. Sezione Le pieghe del tempo. Exhibition view, Imola 2018

Ricerche di stile. Gli Archivi Mazzini a Palazzo Tozzoni. Sezione Le pieghe del tempo. Exhibition view, Imola 2018

UN PERCORSO DI SUGGESTIONI

L’accurata scelta dei pezzi esposti nelle sale del palazzo non è stata pensata per offrire un manuale di storia del costume, ma per dialogare con gli ambienti in cui si colloca, per instaurare un rapporto estetico, cromatico, simbiotico con le tappezzerie, con lo stile delle camere, con la funzione degli spazi: ecco allora che il salone di rappresentanza ospita una riflessione sulle “Pieghe del tempo” che prendono vita dall’unico pezzo non proveniente dagli Archivi Mazzini, bensì da Venezia: un mito dell’abbigliamento femminile, l’abito Delphos di Mariano Fortuny, datato al 1925 circa e che è una delle prime sperimentazioni, delicatissime e impalpabili, del plissé, poi declinato nelle creazioni quasi scultoree di Issey Miyake negli Anni Novanta, fino a giungere alle recentissime casacca e gonna di Jil Sander.

Jean Paul Gaultier, abito in tulle, nylon e organza. Archivi Mazzini, Imola

Jean Paul Gaultier, abito in tulle, nylon e organza. Archivi Mazzini, Imola

A OGNUNO IL SUO

I fili della trama conducono quindi nella camera delle cineserie, dove rivivono le culture lontane, tra abiti etnici e ricerche di Valentino e Romeo Gigli, poi nell’appartamento neoclassico, dove il rigore geometrico si sposa con una creazione di Roberto Capucci, mentre l’abito in organza di Jean Paul Gautier fa bella mostra di sé nella sala della musica, come se fosse indossato da una fanciulla durante un ballo, e l’affaccio sul giardino è presidiato da invenzioni floreali tra cui il mantello e l’abito di Maurizio Galante. Nell’intimità della “stanza dei comodi” si riconosce a prima vista il body con le coppe a cono di Dolce e Gabbana indossato da Madonna, e in biblioteca troviamo gli studi sulla società di Vivienne Westwood e della cultura punk, nella cucina l’abito “Cenerentola” di Monica Bolzoni e nelle cantine il workwear rappresentato da Stone Island e da giacconi da lavoro e militari originali.
Infine, il bel documentario consente di rendersi pienamente conto della reale portata e dell’importanza planetaria degli Archivi Mazzini, eccellenza romagnola finalmente valorizzata anche grazie all’impegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Imola.

Marta Santacatterina

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Marta Santacatterina

Marta Santacatterina

Giornalista pubblicista e dottore di ricerca in Storia dell'arte, collabora con varie testate dei settori arte e food, ricoprendo anche mansioni di caporedattrice. Scrive per “Artribune” fin dalla prima uscita della rivista, nel 2011. Lavora tanto, troppo, eppure trova sempre…

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