La moda ai tempi di Netflix

Nonostante l’incedere sempre più serrato della contemporaneità, la moda, veicolata dal cinema e dal piccolo schermo, pare rifarsi a un modello del passato, le cui suggestioni restano ben radicate nel presente: Walt Disney.

È sempre la moda a dettare le regole dello stile? Cosa fa tendenza, come ci vestiremo, con che colore e con quali lunghezze? Le stagioni del mondo ruotano in continuazione senza dare più la possibilità di avere un inizio o una fine, una primavera/estate o un autunno/inverno. È un grande frullatore dove prevale la stranezza, dove l’unico modo per farsi individuare sia per chi disegna che per chi indossa è essere stravaganti e quindi visibili. Le calze da ginnastica corte sotto un abito da sera, le tute da ginnastica riabilitate con strass e ricami e gli accessori esasperati in dimensione e materiali: insomma, stiamo cercando di essere personaggi per esistere.
Sembrano essersi cancellati riferimenti di eleganza e storia, raffinatezza e cultura, privilegiando una estetica più facile e confortante. Non sono un caso, infatti, le riscritture cinematografiche contemporanee delle favole come il successo delle serie televisive che rigenerano miti da copiare.
A questo punto, cerchiamo una origine diversa dalla moda per capire lo stile attuale.
Walt Disney è il padre dello stile contemporaneo. Lui, inutile girarci intorno, con la sua incredibile fabbrica della fantasia, ha disegnato gli antenati di tutti i personaggi che costituiscono il nostro mondo. Il vero creatore dell’universo parallelo, quello popolato da personaggi straordinari, indispensabili esempi che assimiliamo da piccoli e che non ci lasciano mai. Archetipi sempre esistiti, dai racconti mitologici a quelli religiosi, fino alle favole popolari dei cantastorie e a quelle paurose raccontate anche dai nonni che così ci insegnavano a gestire l’ansia.
È il genio che ha inventato mille personaggi, che li ha disegnati, vestiti, truccati e pettinati, per cui ha scelto scarpe e guanti, mantelli di pelliccia bicolore; lui sapeva che le cattive hanno più fascino delle buone e che gli animali assomigliano agli esseri umani.
Pare che Federico Fellini abbia dichiarato che si sentiva simile a lui, a quel tipo di invenzione creativa che parte dal disegno, un lavoro che di solito fanno i costumisti per materializzare la psicologia del personaggio: in effetti i personaggi felliniani sono “fumetti” caratterizzati graficamente con lo stile del regista, anche da vivi.

Giulietta Masina ne La strada (1954) di Federico Fellini

Giulietta Masina ne La strada (1954) di Federico Fellini

UN ESEMPIO CHE HA FATTO SCUOLA

A Walt Disney, al suo genio, dobbiamo la maggior parte dei riferimenti stilistici del nostro archivio estetico: è la scuola visiva in cui si è formata la generazione cinematografica contemporanea ma anche quella della moda e della comunicazione in generale.
È stato il primo re-inventore stilistico della tradizione, ha tagliato ogni tipo di contenuto pauroso, impegnativo o difficile, ricolorando, camuffando la tragedia delle favole in spettacolo ed entertainment. Il successo della sua messa in scena si basava su una estetica precisa che rende intrigante anche il male, chic le perfide, simpatico il drago o il mostro, e propone una fila di principesse che, dagli Anni Cinquanta a oggi, hanno condizionato il “sogno dell’abito” molto più di qualsiasi griffe di moda.
Il cinema, non solo quello di Disney, ha sempre influenzato lo stile più della moda: un film, una star, sono seguiti da un pubblico più vasto di una sfilata e un costumista inventa le dive che diventano miti, come faceva Edith Head con Grace Kelly o Audrey Hepburn.
Oggi il cinema è cambiato, le serie sono il nuovo e sono seguite da un pubblico giovane che fa tendenza: Netflix è il nuovo mondo, quello delle storie, dei romanzi a puntate che si vedono/leggono tutti d’un fiato, con personaggi più simili ai character disneyani che agli attori tradizionali.

Tilda Swinton

Tilda Swinton

INTRECCI E LIBERTÀ

Produzioni con dinamiche più libere dai vincoli del mercato cinematografico, con cui si confrontano per una distribuzione ma di cui non hanno bisogno. Come ha detto Tilda Swinton in un’intervista del giugno scorso: “Netflix è la casa degli autori moderni e ambiziosi” e ha ringraziato la piattaforma per aver dato la possibilità di realizzare Okja al regista coreano Bong Joon-ho.
Okja è uno tra i primi film prodotti da Netflix ‒ alla sua presentazione, durante lo scorso festival di Cannes, non sono mancate le polemiche per la non distribuzione nelle sale cinematografiche ‒ e comunque è diventato un caso. La denuncia evidente di una multinazionale dal nome simile alla Monsanto, che produce un gigantesco pseudosuino destinato a nutrire più popolazioni, è fatta con quello stile che disegna modelli, quasi gadget, come la piccola bambina, il suo maialone, le due sorelle interpretate da Tilda Swinton ispirate alle gemelle di Miyazaki de La città incantata.
Un risultato ottenuto grazie alla collaborazione fra la costumista Catherina George e la stessa Swinton che, ricordando la sfilata del 2015 di Chanel a Seoul, crea la collaborazione con il brand francese.
La sfilata fu chiusa da un omaggio di Karl Lagerfeld al tipico costume coreano l’hanbok, un kimono molto simile a un abito occidentale con la vita altissima e la gonna ampia, che lo stilista francese esaltò con il tocco Chanel di una cinta-fiocco nera. Era indossato dalla bellissima top model Ji Hye Park, meravigliosa in un outfit in strati di seta e chiffon rosa sovrapposti in modo da creare una silhouette che unisce la tradizione all’immagine di un femminile irreale come una principessa di Disney.

– Clara Tosi Pamphili

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Clara Tosi Pamphili

Clara Tosi Pamphili

Clara Tosi Pamphili si laurea in Architettura a Roma nel 1987 con Giorgio Muratore con una tesi in Storia delle Arti Industriali. Storica della moda e del costume, ha curato mostre italiane e internazionali, cataloghi e pubblicazioni. Ideatrice e curatrice…

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