Chissà se Roma è stata scelta proprio per la sua pigra indifferenza. Chissà se il Gruppo Bilderberg, la potente organizzazione elitaria e segreta a cui alcuni attribuiscono le principali decisioni politiche, culturali, economiche e militari dalla seconda metà del XX secolo, si sia riunita qui sicura di non essere notata? Chissà se ha pensato la stessa cosa Suzy Menkes, la temutissima giornalista di moda più famosa del mondo, per portarci The Promise of Africa, the Power of the Mediterranean, 12esima edizione del convegno mondiale sul lusso organizzata dall’International Herald Tribune all’Hotel Hilton il 15 e il 16 novembre scorsi: un evento che ha coinvolto 500 delegati da 30 Paesi. Roma dopo Parigi, Londra, Dubai, Istanbul, Nuova Delhi, Hong Kong e Berlino.
Di Bildergerg sappiamo solo che si è riunito ai Musei Capitolini, dove due sere dopo il sindaco ha invitato, insieme ad Altaroma, tutti i partecipanti al convegno del lusso. Così, uniti dall’amore per l’Africa si sono ritrovati a Roma personaggi come Jean-Paul Gaultier, Vivienne Westwood, Bono Vox, Manolo Blahnik, Valentino stesso e con Chiuri e Piccioli, Donatella Versace, Silvia e Ilaria Venturini Fendi, Frida Giannini di Gucci, Renzo Rosso di Diesel, Kim Jones di Louis Vuitton, Franca Sozzani, Diego Della Valle, Gianbattista Valli e la stessa Suzy Menkes.
Noi di Artribune c’eravamo e abbiamo ascoltato molte storie, alcune meravigliose, altre con un forte retrogusto di neocolonialismo camuffato da charity, abbiamo capito che la Cina investe in Africa il doppio di quello che fanno Europa e Stati Uniti, che l’Africa nel 2015 raddoppierà la popolazione con un numero di abitanti al di sotto dei 30 anni pari al 60% del totale. È il continente più giovane del mondo.
Si parlava di come questo Paese abbia influenzato la nostra cultura e di quanto gli dobbiamo, si cercava di individuare un reale percorso di sana collaborazione sul posto come quelli descritti da Simone Cipriani dell’ITC – International Trade Center, qualche grande brand ha fatto vedere le immagini dei loro testimonial/designer in mezzo ai bambini e alle donne che lavorano tutte sorridenti… ai limiti della propaganda.
Oltre al coraggioso intervento della Westwood e a quello semplice, lineare e autentico di Bono Vox, che in Africa produce Edun, fashion brand che sostiene progetti di sviluppo in quei territori, e collabora con Renzo Rosso, le storie belle le hanno raccontate quelli che lì ci sono nati e ci vivono.
Il vero lusso erano loro, la loro eleganza e la loro storia, la loro voglia di essere osservati più da dentro che da fuori del loro continente, la loro contemporaneità visibile soprattutto nell’espressione creativa. Tra queste, veramente interessanti due storie simbolo, quella di Andrew Hunt (co-founder e direttore management di Aduna, una linea di salute e bellezza che si propone di cambiare la percezione del prodotto africano) e quella di Duro Olowu.
Duro Olowu è nato a Lagos, gli abiti delle donne della sua terra hanno ispirato la sua passione alla moda; di lui ci è piaciuta la capacità di utilizzare i suoi segni in una couture sofisticata, poi l’immagine di Michelle Obama con un suo vestito e soprattutto il riferimento a un paio di nomi dell’alta sartoria romana degli Anni Sessanta che in pochi ricordano con la stessa ammirazione.
Rimanendo con gli stessi dubbi con cui abbiamo iniziato, chiudiamo dicendo che Manolo Blahnik ha detto che le sue muse, ispiratrici delle scarpe più glamour del mondo, sono Monica Vitti e Anna Magnani. Per fortuna c’è chi ci riconosce ciò che ancora non siamo capaci di “vendere”.
Clara Tosi Pamphili
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