Le metamorfosi del design in mostra in Svizzera al CAC di Ginevra

Alchimia e tecnologia, totem e grottesche, creazioni dal fascino alieno o sovrannaturale: attraverso l’opera di due giovani artisti Ginevra mette in scena una dimensione parallela del design

Dopo la grande mostra Le rêve du papillon, incentratasul tema della metamorfosi, Andrea Bellini, direttore del Centre d’Art Contemporain di Ginevra, ci propone, a guisa di sofisticata appendice, Design in Metamorphosis, a cura di Barbara Brondi e Marco Rainò, una rassegna concernente l’opera di due giovani artisti-designer francesi residenti a Rotterdam: Audrey Large (Bordeaux, 1994) e Théophile Blandet (Strasburgo, 1993), entrambi allievi della Design Academy di Eindhoven. I loro lavori occupano il terzo piano del CAC variamente monologando e dialogando, mettendo in atto, come si dice nel comunicato introduttivo alla mostra, “un linguaggio fluido che, paradossalmente, combina opposizioni estreme: l’intangibile e il tangibile, l’unico e il riproducibile, l’artigianale e l’industriale.

Audrey Large, A Bit of Fairy Dust, 2022, PLA (FDM) 70x46xH70 cm. Courtesy the artist and Nilufar Gallery
Audrey Large, A Bit of Fairy Dust, 2022, PLA (FDM) 70x46xH70 cm. Courtesy the artist and Nilufar Gallery

Il design alieno di Audrey Large in mostra a Ginevra

Nei lavori di Audrey Large sembra rivivere l’antica ossessione alchemica di trasformare gli elementi, di trasmutare le sostanze, quasi a volerne attingere e svelare il nocciolo magico e proteiforme. Elementi e sostanze che si volatilizzano in un circuito di onde magnetiche e di impulsi digitali, per riemergere attraverso la stampante 3D FDM nell’attimo congelato di un’epifania barocca. Opere come Meta (Tower) Shelve #1 (2020) o come Cosmic Strings (Low Table) (2022) ci appaiono come oggetti dal fascino alieno, un po’consolle un po’ altare rococò, ostensori ramificati di alghe e avvolti da proliferazioni medusiache, concrezioni dai riflessi metallizzati e iridescenti, che variano dal mauve al turchese. Adombrate da una patina cangiante e dotate una plasticità acquatica, solcate da impercettibili scanalature evocanti le erosioni geologiche di un fondale marino, queste creazioni si ergono come portali attraverso cui accedere a una dimensione parallela, oppure si distendono orizzontalmente a suggerire la forma di un tavolo, o si lasciano infiltrare da scie luminose, come lampade serpentiformi che abbiano digerito strisce di luce. Potremmo parlare di una solidificazione di sostanze mercuriali, di evanescenze imprigionate dentro la materia conservando la memoria e l’attitudine di un precedente stato liquido, gassoso, o addirittura del tutto virtuale e immateriale. Alcuni disegni esposti a parete, realizzati in questi ultimi tre anni, documentano la fase germinale di questo processo di transustanziazioni e ibridazioni, di questa alchimia reinterpretata alla luce della più avanzata tecnologia.

Il design animato di Théophile Blandet in mostra a Ginevra

Le creazioni di Théophile Blandet presentano connotati più angolosi e accidentati: strutture a metà strada tra il totem e la grottesca, aggregati di resina e acciaio in forma di poltrone e tavoli pieghevoli, multifunzionali, con braccioli che diventano contenitori, con intersezioni di piani che si aprono come ali di farfalla, ma che si rivelano intervallati da escrescenze e cicatrici. L’intento è forse quello di ricercare una sorta di artigianale sprezzatura che interrompa la liscia sagomatura dei metalli e la trasparenza delle materie plastiche, per cui questi oggetti si annebbiano di infiltrazioni lattiginose, si trovano percorsi da giunture, escoriazioni, incrostazioni, saldature approssimative. Ma anche la materia più algidamente inorganica si complica talvolta di reminiscenze anatomiche, si anima di ramificazioni ossee, si scansiona di propaggini vertebrali, mentre le superfici traslucide derivate da plastiche riciclate si sfrangiano, si crettano, si opacizzano. In una piccola stanza separata sta, come un’inquietante macchina celibe, Pole (Shelve) (2022), una scheletrica scaffalatura in alluminio ruotante intorno a un perno, le cui mensole lasciano intravedere una sorta di surrettizia germinazione, come un residuo di vita organica o un presagio di fertilità extraterrestre.
I due artisti, in scena con una stanza “monografica” ciascuno e due sale condivise, in un paio di occasioni uniscono i loro talenti realizzando opere a quattro mani: Abstract Strategy ( Chess Game) (2019) è una scacchiera che sembra uscita da un film di fantascienza, con quattro gambe spinose e un corredo di pezzi schierato sulle caselle come un esercito di creature aliene in attesa della battaglia; Up, Charm, Top, Down, Strange, Bottom (2022) è un lampadario che, come si evince dal suo eteroclito titolo, declina in un unico conglomerato qualità spaziali e attributi estetici, all’insegna di un Manierismo (o di un Barocco) reinterpretato nella sua versione più futuribile, arrischiata e spregiudicata.

Alberto Mugnaini

Ginevra // fino al 13 agosto 2023
Audrey Large / Théophile Blandet. Design in Metamorphosis
CENTRE D’ART CONTEMPORAIN
Rue des Vieux-Grenadiers 10
https://centre.ch/en/

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Alberto Mugnaini

Alberto Mugnaini

Alberto Mugnaini, storico dell’arte e artista, si è laureato e ha conseguito il Dottorato di Ricerca all’Università di Pisa. Dal 1994 al 1999 ha vissuto a New York, dove è stato tra i fondatori del laboratorio di design “New York…

Scopri di più