Abbasso la ripetizione. Gaetano Pesce a Venezia

Una mostra al Museo del Vetro di Murano ricostruisce l’originale percorso creativo di Gaetano Pesce. Il grande designer di origini spezzine che sfida le convenzioni e le tecniche dell’arte vetraria.

Credevo che con il vetro non si potesse più fare nulla di interessante. Invece è sempre possibile innovarsi. ‘Fa cose nuove’, ecco il miglior complimento che si possa formulare a proposito di un artista”.  Così si esprime Gaetano Pesce (La Spezia, 1931) illustrando le sue opere (vasi, ciotole, piatti, sculture, installazioni, una settantina in tutto) che compongono la mostra, rara per esaustività, allestita al Museo del Vetro di Murano e curata da Gabriella Belli. È lei stessa a sottolineare come Pesce sia “da considerare nella categoria, sempre più limitata, dei designer pericolosi, quelli che sovvertono le nostre convinzioni e soprattutto la nostra percezione del mondo reale…”.
In Laguna hanno origine molti dei ricordi di giovinezza del maestro, quelli che risalgono a fatti anteriori al momento in cui iniziò a cimentarsi in fornace nell’impresa di rivoluzionare tecniche e forme di una produzione antichissima e assai prestigiosa. Qui infatti, negli Anni Cinquanta, da studente, ebbe modo di scoprire cosa significasse essere architetto.  “L’architettura è una cosa sublime e rarissima, implica l’introduzione di novità nel linguaggio, nella tecnica, nei materiali. Quanti sono gli architetti con la A maiuscola? Pochissimi: Brunelleschi, Wright, Le Corbusier…”. Carlo Scarpa? “Un ottimo artigiano. Mi chiamava ‘Schiuma’”, ricorda sorridendo. Chi altro incontrò? “Venne a Venezia per una conferenza Alvar Aalto. Fra noi studenti si era diffusa una febbrile eccitazione. Quando salì in cattedra notammo in lui qualche segno di ubriachezza. Le sue parole furono poche, ma dense di significato: “L’architecture est une chose tres compliqué…”, scandisce Pesce ironicamente, aggiungendo: “in realtà, fu Bruno Zevi il mio mentore”.

Gaetano Pesce, Mediterraneo, 2006

Gaetano Pesce, Mediterraneo, 2006

UNA LUNGA STORIA

A Murano Gaetano Pesce, oggi noto soprattutto per le sue resine, imparò a lavorare il vetro e apprese le “virtù” tipiche dei maestri vetrai: per esempio, la “volontà” nel lavoro manuale e la resistenza al calore, che nei forni di fusione può raggiungere anche i 1200 gradi. Ma fu al C.I.R.V.A. di Marsiglia che il maestro sviluppò maggiormente la sua ricerca sulle tecniche, un impegno per lui di primario interesse, come si evidenzia anche nel sottotitolo scelto per l’esposizione muranese: “cinque tecniche per il vetro”. In primis, quella definita Mistral – dal nome del vento che sferza la città francese soffiando da nord-ovest verso il mare – impresse negli Anni Ottanta un’aura di misteriosa matericità al vetro. Si veda la scultura Bauta, un eloquente elemento d’identità veneziana, che assume valenze spettrali e vivide al tempo stesso. “Si tratta di sabbia silicea spinta attraverso la fiamma a 100 gradi”, spiega il maestro. A proposito di altre tecniche: Plage, Joliette, Vieux-Port, Pastis, lavorazioni vetrarie esemplificate in mostra da alcune opere di varia datazione, Francoise Guichon ne illustra nel catalogo la messa a punto, avvenuta al C.I.R.V.A di Marsiglia tra il 1988 e il 1992, riassumendo così il percorso compiuto dall’architetto italiano presso il centro francese dedicato alla ricerca sul vetro e alle arti plastiche. In questo ambito, a lui particolarmente congeniale per la sua propensione all’innovazione tout court, mise infatti a punto forme “sovversive”.

Gaetano Pesce, Sveronese, 2013. Photo Archivio Fotografico Venini

Gaetano Pesce, Sveronese, 2013. Photo Archivio Fotografico Venini

LE TECNICHE

E proprio ai luoghi di Marsiglia devono il loro nome le tecniche che le resero possibili: polvere di vetro per Plage, uno dei luoghi marsigliesi frequentati da Pesce nelle ore di libertà dal lavoro; perle di vetro per Joliette, che deriva il nome del quartiere e della via del C.I.R.V.A.; schegge di vetro colorato restituite a riva dal mare per Vieux Port; frammenti di bottiglie del tipico aperitivo del Sud della Francia per Pastis. Questi riferimenti a luoghi e materiali rivelano come al centro delle sue indagini si ponga sempre il residuato di esistenze ormai trascorse e una sperimentazione continua che investe anche il concetto di bellezza, ribaltandone i codici tradizionali. Le sue opere racchiudono infatti il senso dell’incompiuto, la traccia di un’apparente casualità, l’indeterminatezza della metamorfosi ancora in atto. Si evolvono, rompendo le regole, e proprio dalla trasgressione di valori già consolidati nasce una nuova grazia: spontanea, ibrida, eccentrica. Emblematici gli Sveronese, prodotti da Venini in questi ultimi anni, dove l’architetto annulla le regole “auree” del vaso Veronese, che dell’azienda di Murano rappresenta una delle icone più note, corrodendone il messaggio di archetipo formale. Da essi emana la stessa garbata irriverenza che trapela dai disegni Deformazioni Veneziane – posti in mostra a intercalare la sequenza dei vetri –, attraverso i quali Pesce sovverte segni e sogni di luoghi d’arte che appartengono all’immaginario veneziano, “antropomorfizzandoli” e trasformandoli in oggetti d’uso. Egli stesso conclude, suffragando le parole con nomi e fatti dall’antichità a oggi: “L’arte, in realtà, ha sempre avuto fra le sue funzioni l’utilità”.

Alessandra Quattordio

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Alessandra Quattordio

Alessandra Quattordio

Alessandra Quattordio, storica dell’arte e giornalista indipendente, ha esordito a fine Anni Settanta come curatrice dei cataloghi d’arte e fotografia editi dalla Galleria del Levante a Milano. Dopo la laurea in Storia dell’arte all’Università Statale di Milano, inizia a collaborare…

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