Ecco come sarà il Padiglione Italia alla Biennale Architettura 2023

A poche settimane dall’inaugurazione della Biennale Architettura, il team curatoriale Fosbury Architecture presenta i contenuti di un padiglione “Spaziale”, aperto alle esperienze di nove territori dislocati sul territorio italiano

Anticipato da nove interventi diffusi sul territorio nazionale (Spaziale presenta), accomunati dalla volontà di pensare l’architettura oltre la costruzione di manufatti – preferibilmente mezzo, anziché fine ultimo – anche il vero e proprio Padiglione Italia presente alla Biennale Architettura guidata da Lesley Lokko inizia ad assumere contorni più definiti. Fosbury Architecture – collettivo formato da Giacomo Ardesio, Alessandro Bonizzoni, Nicola Campri, Veronica Caprino, Claudia Mainardi, attivo dal 2013: tutti sono nati tra il 1987 e il 1989 – aveva anticipato mesi fa un cambio di passo nell’intenzione di concepire l’architettura come progetto corale, pratica di ricerca partecipata e diffusa, confermando il proposito proprio con l’attivazione degli interventi site-specific di Spaziale presenta, per estendere l’esperienza del Padiglione Italia oltre la dimensione spaziale e fisica di un unico luogo, Venezia, e al di là dei limiti temporali propri della manifestazione. La conferma arriva in sede di presentazione ufficiale del Padiglione Italia, a Roma, alla presenza del ministro Gennaro Sangiuliano e con il placet del Presidente della Biennale Roberto Cicutto. La proposta di quest’anno si impernia su tre elementi di novità: la curatela condivisa, la valorizzazione di una nuova generazione di progettisti under 40 (nove gruppi di progettisti e altrettanti advisor, professionisti provenienti da diversi campi delle industrie creative), la messa a terra di un processo destinato ad attivarsi (e attivare relazioni, connessioni, rigenerazioni) nel tempo.

Terraforma, video frame, Achille Mauro e Filippo Elgorni

Terraforma, video frame, Achille Mauro e Filippo Elgorni

IL PADIGLIONE ITALIA ALLA BIENNALE ARCHITETTURA 2023

Il Padiglione Italia, quindi, racconterà qualcosa che è già partito a gennaio 2023 – quando i primi progetti di Spaziale presenta hanno preso avvio – e che continuerà a succedere anche al termine della Biennale. E si concentra sulla spazialità, nel modo di intendere lo spazio non come ambiente costruito, ma come rete di rapporti che permette di insediarsi nella realtà presente, attraverso la relazione con molteplici discipline. La scommessa non è più rappresentata dal segno individuale e dall’autorialità, ma dalla condivisione progettuale e dall’invito a partecipare, perché “ognuno appartiene a tutti gli altri”, come esplicita il tema ideato da Fosbury Architecture. Questo approccio alla pratica architettonica scaturisce dalla necessità di confrontarsi con un contesto di instabilità permanente, generazionale: “Gli architetti possono dare forma a nuove politiche pubbliche e a nuovi modi di abitare” spiega il collettivo “e la spazialità è l’unico campo in cui ha senso operare. Esiste una generazione di progettisti italiani che ha già accettato questa sfida: useremo in molte occasioni il termine spazialisti, in relazione a un’architettura che si preoccupa di progettare lo spazio, come luogo fisico e simbolico”.

Dettaglio di una bottarga prodotta e processata a Cabras. Foto © Lemonot

Dettaglio di una bottarga prodotta e processata a Cabras. Foto © Lemonot

L’ALLESTIMENTO DEL PADIGLIONE ITALIA

Per la prima volta, il Padiglione Italia – allestito come un laboratorio di pratiche e idee – è stato utilizzato come occasione di progetto, per restituire la fotografia di una generazione che sta ridefinendo i confini dell’architettura: in quanto curatori, i Fosbury saranno facilitatori e promotori di un insieme di intelligenze, chiamate a operare in situazioni di fragilità territoriali, ambientali, sociali. Il lavoro di ciascun gruppo risponde infatti a una serie di temi urgenti per il contesto italiano: la convivenza con il disastro (Taranto), la riconcilazione con l’ambiente (Baia di Ieranto), la coesistenza multiculturale (Trieste), il recupero delle opere pubbliche incompiute (Ripa Teatina), l’inclusione sociale (terraferma veneziana), la transizione alimentare (Montiferru), la rigenerazione delle periferie (Librino, popolosa periferia di Catania), il superamento del divario digitale (Belmonte Calabro), la tutela del paesaggio (Piana di Firenze, Prato e Pistoia). Dalla fase di attivazione dei 9 progetti locali (gennaio-aprile 2023, l’ultimo partirà all’inizio di maggio), identificata da Spaziale presenta e raccontata anche su web e Instagram, il Padiglione Italia discende come sintesi formale e teorica dei processi innescati, affiancando anche un public program ospitato presso il Teatrino di Palazzo Grassi (una serie di cinque incontri). All’interno del Padiglione si potrà entrare in contatto con i nove progetti, attraverso porzioni materialmente trasferite a Venezia (che poi rientreranno sul loro territorio), modelli, documentazione video e fotografica di quanto successo negli ultimi mesi. Ma i curatori promettono anche un piccolo colpo di scena, che sarà svelato solo all’inaugurazione. Seguirà un’ulteriore fase progettuale, aperta sul futuro, per portare avanti quanto costituito durante il 2023. Concretamente, all’espansione del progetto al di fuori dell’Arsenale è corrisposta una riduzione dell’allestimento del Padiglione alle Tese delle Vergini, per lasciare spazio alla rappresentazione dei processi diffusi. L’intenzione di scardinare una dinamica espositiva autoreferenziale è così funzionale non solo a trasmettere il pensiero dei curatori, ma anche a far respirare i diversi progetti.

In Europa le realtà come quelle che portiamo in mostra sono più riconosciute, anche storicizzate, e validate dalle istituzioni. Invece è la prima volta che pratiche architettoniche del genere raggiungono un palcoscenico istituzionale italiano”, ci spiega Alessandro Bonizzoni, del collettivo Fosbury “I progetti a nostro avviso sono potentissimi, anche da vivere attraverso la documentazione che porteremo all’Arsenale. Ci aspettiamo anche critiche, certo, è una questione di alfabetizzazione dell’occhio a riconoscere che questa è architettura. Noi non neghiamo l’architettura del manufatto, semplicemente invitiamo a espandere gli orizzonti”.  Auspicando che “il futuro sia uno spazio in cui ognuno appartiene a tutti gli altri”.

Livia Montagnoli

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