Triennale di Architettura di Lisbona. Un’edizione tra sostenibilità e democrazia

Al centro della VI Trienal de Arquitectura di Lisbona c’è la ricerca di un più profondo equilibrio fra comunità, risorse e processi, indispensabile per la sopravvivenza dell’ambiente e dell’umanità che lo abita. In mostra progetti di impatto sociale all’insegna dell’uguaglianza e del rispetto della natura

Fra i più rilevanti eventi del settore architettura in corso in Europa questo autunno, la VI Trienal de Arquitectura di Lisbona è curata da un team internazionale guidato da Cristina Verissimo e Diogo Burnay. Proprio loro, a ridosso dell’apertura, ci avevano illustrato i contenuti di questa edizione: dal titolo Terra, è strutturata in quattro progetti espositivi che, oltre all’imprescindibile MAAT, coinvolgono le sedi del Culturgest, Garagem Sur – CCB e il MNAC. La loro Triennale parla di “città-organismo”, città che siano corpi vivi capaci di stabilire un’armonia con l’ecosistema, e non inerti ammassi di cemento che producono inquinamento e consumano risorse. Quella che sta andando in scena nella capitale portoghese è l’architettura del progresso, vicina alle esigenze delle comunità, anche e soprattutto quelle più svantaggiate. Un’architettura che affronta le sfide sociali quotidiane nell’ottica degli sviluppi futuri, e propone quindi soluzioni di prevenzione di possibili, ulteriori problemi, sensibile alla necessità di offrire opportunità di un’esistenza dignitosa a tutti, indipendentemente dal colore della pelle, dalla fede religiosa o dal reddito disponibile. Dall’India al Brasile, passando per il Messico e la Cambogia, si forma la mappa di una Triennale dalla quale il cosiddetto Sud del mondo emerge con tutta la forza delle sue idee oneste e della voglia di realizzarle. Un Sud che dal punto di vista spirituale e intellettuale si dimostra assai superiore al materialistico, ruffianesco Nord, con i suoi sfarzi, i suoi megaprogetti, i suoi sprechi, ormai divenuti ridicoli specchi di una società tronfia e imbolsita, malata di autoreferenzialità.
Assente l’Italia, perché in un Paese dove la cultura dell’architettura (anche a causa di pessime gestioni politiche) è ormai morta e sepolta, mancano progetti di ampio respiro come quelli di cui sopra; non mancano però i problemi che la buona architettura potrebbe contribuire a risolvere.

Retroactive, installation view at MAAT, 2022 Photo Sara Constanca

Retroactive, installation view at MAAT, 2022 Photo Sara Constanca

A LISBONA ESEMPI VIRTUOSI DI RIGENERAZIONE URBANA

La mostra Retroactive, a cura di Loreta Castro Reguera e José Pablo Ambrosi presso la Centrale Tejo del Museum of Art Architecture and Technology, documenta alcuni efficaci progetti su piccola e media scala realizzati nell’ottica di una rigenerazione della città con l’obiettivo di creare contesti in cui conciliare sfide sociali come le migrazioni, la proprietà della terra, la gestione dei rifiuti, l’accesso all’acqua potabile, la gestione di possibili tensioni inter-etniche. Fra i progetti più illuminanti Sapé, riqualificazione dell’omonima area nella città brasiliana di San Paolo, realizzato da Base Urbana e Pessoa Arquitetos: abbattute le baracche pericolanti, sono state create tre aree per nuovi edifici, mentre lo spazio pubblico è stato massimizzato, ampliando le aree verdi e i percorsi pedonali; questi ultimi sono destinati anche ad attività economiche all’aperto, che hanno contribuito a creare occupazione e a migliorare le condizioni economiche dei residenti. È invece stato pensato per combattere le emergenze climatiche WaterHall, il progetto di Magic Kwan e Kenrick Wong, sviluppato in Cambogia nel villaggio di Sneung: al momento della gravissima siccità del 2019, è stata costruita una cisterna per la raccolta dell’acqua piovana, dotata di un sistema di filtraggio per la potabilizzazione. La struttura è sorta utilizzando materiali locali e tecniche edilizie della tradizione cambogiana; con un impatto pari quasi a zero sull’ambiente circostante e bassi costi economici, è stata risolta una situazione di grave rischio per la popolazione del villaggio. Un’altra proficua esperienza è quella di EVA STUDIO ad Haiti, nell’agglomerato urbano di Port au Prince, duramente colpito dal terremoto del 2010. Qui, nel 2016, è nato Tapis Rouge, un anfiteatro che sorge in cima a una collina, dotato di attrezzature per l’attività sportiva, aree verdi e una cisterna di stoccaggio per l’acqua potabile; la struttura è diventata rapidamente un luogo d‘incontro, di gioco e di manifestazioni culturali, con ovvie, positive ricadute sulla qualità della vita nel quartiere.

Tapis Rouge, Port au Prince, Haiti. Photo Gianluca Stefani&Etienne Pernot du Breuil (EVA Studio)

Tapis Rouge, Port au Prince, Haiti. Photo Gianluca Stefani&Etienne Pernot du Breuil (EVA Studio)

LA COMUNITÀ ALLA TRIENNALE DI LISBONA

Il tema della comunità emerge in particolare dalle due grandi mostre Visionaries e Multiplicity, ospitate rispettivamente presso il Culturgest e il Museu Nacional de Arte Contemporânea. Nella prima, la curatrice Anastassia Smirnova ha selezionato piccoli e grandi progetti al cui centro sta la precisa strategia di contribuire a cambiare, in meglio, il mondo e la società, e il rapporto fra le persone e lo spazio. Sono tanti i volti dell’idea di comunità, e l’architettura deve necessariamente porsi al servizio delle sue esigenze; fra i progetti più ambiziosi e di ampio respiro, tanto da essere ancora in fieri, c’è l’ormai storicizzata Auroville, la città della pace che dal 1968 sta sorgendo in India, nello stato di Tamil Nadu, distretto di Viluppuram. È basata sulla visione del filosofo e mistico Sri Aurobindo. Il progetto è stato concepito da Roger Anger in modo tale da rimanere aperto ai futuri bisogni della comunità; si stanno infatti pensando ampliamenti per i prossimi anni. Il dato interessante è che quando Anger lavorava al progetto, per realizzare alcuni importanti elementi della città, come i centri culturali e le aree amministrative, ha dovuto attendere che la comunità di Auroville avesse raggiunto un sufficiente grado di maturità nel trovare l’equilibrio fra la libertà personale e le dinamiche della vita comunitaria; una dimostrazione di come l’architettura possa essere di stimolo alla maturità delle relazioni civili.

ARCHITETTURA E DESIGN PER RIDURRE LE DISUGUAGLIANZE

L’esposizione Multiplicity, invece, indaga come si possono reinventare le discipline del design e dell’architettura per rispondere alle crescenti disuguaglianze, ai cambiamenti climatici e ai conflitti, e al ritmo senza precedenti al quale si espandono le città. Presenti processi collettivi o informali del Sud del mondo che adattano e sovvertono modalità di azione con metodi ad hoc per affrontare queste sfide globali, nonché esempi di progetti a diverse scale che espandono la definizione di architettura, le sue forme e i suoi protagonisti.
Il collettivo dello Sri Lanka Let’s Build Great Things unisce architettura, arte e design; tiene corsi settimanali in un centro per l’infanzia di Colombo, formando i bambini a misurarsi da subito con le sfide della nostra epoca, in modo da renderli attori consapevoli per costruire la società di domani. In India, Hunnarshala Foundation lavora a svariati progetti di riqualificazione urbana: fra questi, il superamento dei baraccamenti predisposti nella città di Bhuj dopo il terremoto del 2001, che sono poi divenuti rifugio per molte famiglie di ex contadini inurbati. Le baracche saranno sostituite da unità abitative basate sulla tipologia abitativa tradizionale, i cui principali vantaggi sono una ventilazione continua e capillare e un’ampia diffusione della luce naturale. Inoltre, in ogni quartiere saranno utilizzati i lampioni solari, create zone esclusivamente pedonali, e ogni abitazione sarà dotata di una cisterna per il recupero dell’acqua piovana e di un impianto a osmosi inversa per renderla potabile. Infine, per la gestione dei nuovi quartieri è stato costituito un comitato esecutivo con la partecipazione paritaria delle donne. Proviene ancora dall’India un’altra esperienza di architettura vicina ai bisogni della società: le Mohalla Clinics (ovvero “cliniche di prossimità”) – volute dalla formazione politica AAP durante il suo mandato governativo iniziato nel 2015 – sono centri medici realizzati in strutture flessibili di pannelli modulari progettate dallo studio Architecture Discipline. Sono dotate delle attrezzature necessarie per offrire i servizi medici di base a livello di quartiere; gratuite e aperte a tutti, queste strutture, circa 300, hanno notevolmente migliorato le condizioni sanitarie di molti quartieri di Delhi e New Delhi; altre cliniche sono in fase di realizzazione in Rajastan, nell’Uttar Pradesh, nel Gujarat e in altri stati della federazione.

Niccolò Lucarelli

https://www.trienaldelisboa.com/

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Niccolò Lucarelli

Niccolò Lucarelli

Laureato in Studi Internazionali, è curatore, critico d’arte, di teatro e di jazz, e saggista di storia militare. Scrive su varie riviste di settore, cercando di fissare sulla pagina quella bellezza che, a ben guardare, ancora esiste nel mondo.

Scopri di più