Architetti emergenti. Intervista allo studio Associates Architecture

Nicolò Galeazzi e Martina Salvaneschi da cinque anni dirigono lo studio Associates Architecture. In vista della 18esima Biennale di Architettura, il MiC li ha invitati a sviluppare un concept per il Padiglione Italia. Saranno loro a curarlo? Nell’attesa, ecco chi sono e come lavorano

Fondato a Brescia nel 2017, Associates Architecture è uno studio che opera su più scale nel campo dell’architettura. A guidarlo Nicolò Galeazzi (Brescia, 1987) e Martina Salvaneschi (Johannesburg, 1989), giovani progettisti, provenienti da una formazione fortemente influenzata dall’internazionalità. Anche per questo la loro attività progettuale e di ricerca si spinge oltre il nostro Paese; hanno infatti realizzato progetti in Italia, Messico e Portogallo. L’apertura dello studio è andata di pari passo con l’esperienza come visiting professor alla Casa Da Arquitectura, in partnership con la Porto Academy, e al Goa College of Architecture.
Per la qualità del loro lavoro, hanno ricevuto numerose nomination, tra cui quella alla Medaglia d’Oro all’Architettura Italiana ‒ Premio T Young Claudio De Albertis alla Triennale di Milano e al Premio Piranesi, oltre a essere il più giovane tra i 17 studi di architettura italiani selezionati agli EU Mies van der Rohe Awards 2018. Attivi anche nelle manifestazioni più importanti nel campo dell’architettura, hanno partecipato alla 16esima e alla 17esima Biennale di Architettura di Venezia, nei padiglioni italiani Arcipelago Italia e Comunità Resilienti, alla 12esima Biennale di Architettura di San Paolo Todo dia/Everyday e alla V Triennale di Architettura di Lisbona nella mostra Economy of Means. Nell’anno corrente, sono stati invitati dal Ministero della Cultura italiano a sottoporre la loro proposta curatoriale per il Padiglione Italia alla 18esima Biennale di Architettura di Venezia, in apertura il 20 maggio 2023.

Nicolò Galeazzi e Martina Salvaneschi © Associates Architecture

Nicolò Galeazzi e Martina Salvaneschi © Associates Architecture

INTERVISTA AGLI ARCHITETTI NICOLÒ GALEAZZI E MARTINA SALVANESCHI

Facciamo un salto temporale fino alla Biennale di Architettura 2016: lì vi siete conosciuti ed è iniziato il sodalizio professionale che ha portato, l’anno successivo, all’apertura di Associates Architecture. Fondare uno studio di architettura in Italia spesso viene vista dai giovani laureati come una sfida complicata. Soprattutto considerando le vostre numerose esperienze all’estero, quali valutazioni vi hanno portato ad aprire lo studio a Brescia e non altrove?
Ci siamo formati entrambi all’estero tra Portogallo e Brasile, ma abbiamo sempre avuto l’obiettivo di ritornare un giorno in Italia. Il motivo è che pensiamo sia più gratificante riuscire a svolgere la professione nel Paese in cui siamo cresciuti nonostante le sue contraddizioni, le sue difficoltà e le sue complessità. Una sfida a cui non vogliamo sottrarci e a cui non si sono sottratti, a loro volta, i grandi architetti che riteniamo essere nostri maestri.

Come avete deciso di aprire lo studio insieme?
Ci siamo conosciuti, come hai anticipato, durante la 15esima Biennale di Architettura di Venezia. In quel periodo io (Nicolò) lavoravo al Padiglione del Portogallo e Martina era assistente del Prof. Mauro Galantino all’Università IUAV di Venezia. Grazie a una conoscenza comune ci siamo incontrati ed è stato chiaro fin dalle prime conversazioni che avessimo una visione comune di cosa fosse per noi l’architettura e di che valori avremmo voluto trasmettere con la professione. Da lì, il passo che ha portato a decidere di affrontare insieme questo percorso è stato naturale.

Come state affrontando questo percorso? Credo sia importante capire come lavorate nel concreto, come scegliete i lavori da seguire, come vi contattano i clienti. Insomma, voglio entrare nel vostro studio.
La maggior parte delle commissioni che abbiamo ricevuto finora sono arrivate da committenti privati che ci hanno contattato su suggerimento di altri committenti con cui avevamo già avuto occasione di lavorare o su consiglio di amici. Lo studio è organizzato come un atelier in cui il confronto, il dialogo e la sinergia tra tutti i componenti è un aspetto fondamentale. A ogni collaboratore affidiamo circa 3/4 progetti da seguire completamente, in modo che possano svilupparli dalle prime indagini e ricerche, fino al cantiere, passando attraverso riunioni con i clienti, con i fornitori, le revisioni progettuali, etc. Questo perché teniamo al fatto che chi passa da Vicolo delle Sguizzette 10 possa vivere un’esperienza completa con l’obiettivo di aprire un giorno il proprio studio.

Com’è organizzato il vostro studio e come sviluppate l’idea di progetto?
Abbiamo scelto di non avere più di quattro collaboratori insieme, perché teniamo molto alla dimensione artigiana del nostro studio. Questo ci permette di seguire ogni progetto in prima persona, di svilupparne ogni dettaglio attraverso un fare che potremmo definire “sartoriale”, in cui ogni progetto è differente dall’altro e lontano da soluzioni precostituite. Dopo la prima fase di indagine “archeologica”, che realizziamo insieme ai collaboratori, il progetto prende forma attraverso un dialogo più intimo tra noi due, da cui scaturiscono le prime intuizioni. Queste vengono poi verificate e confutate in team, attraverso i modelli fisici e le revisioni, in un continuo dialogo fondato sulla contaminazione.

Room of Memory, Argentiera, 2019. Vista aerea © Associates Architecture

Room of Memory, Argentiera, 2019. Vista aerea © Associates Architecture

L’ARCHITETTURA SECONDO ASSOCIATES ARCHITECTURE

Il concetto di indagine “archeologica” di cui parlate è molto interessante. Architettura e archeologia hanno un approccio metodologico simile, che punta al portare o riportare alla luce un bene comune. Come si traduce per voi, nella pratica, questa definizione che profuma di ricerca, studio e scavo?
Ogni progetto appartiene a un luogo e ogni luogo è costituito da un insieme di stratificazioni materiche, storiche, morfologiche, culturali, etc., che lo hanno definito nello spazio e nel tempo, distinguendolo da altri. Questo insieme di stratificazioni determina uno spirito preciso del luogo che è unico e che deve essere preservato attraverso il progetto, in modo che il nostro intervento possa inserirsi armoniosamente tra le pieghe di queste stratificazioni. Per comprendere a fondo il luogo lo indaghiamo attraverso un approccio che potremmo definire appunto “archeologico”. Questa scelta mira a raccogliere una serie di dati fisici e non per definire una solida base di partenza del progetto. Si tratta di un lungo lavoro di ricerca che svolgiamo in prima persona, insieme ai nostri collaboratori, affinché la conoscenza possa essere condivisa fin dall’inizio del processo progettuale.

A proposito di ricerca, spesso si definisce la nuova generazione di architetti come la “generazione dei concorsi”: molti decidono di parteciparvi non solo come possibile percorso per la concretizzazione di un lavoro, ma spesso anche come occasione di ricerca. Qual è il vostro rapporto con questa procedura?
Non facciamo molti concorsi perché sinceramente non abbiamo il tempo necessario per affrontarli come vorremmo, ma quei pochi che abbiamo fatto hanno avuto esiti finora molto positivi. Solo per citarne alcuni: primo posto per il progetto del nuovo Museo delle Scienze di Brescia, terzo posto per il progetto di ampliamento del Museo Nivola di Orani e finalisti per il progetto di un polo scolastico in Tanzania.

Avete citato l’uso di modelli e plastici. C’è un iter a riguardo che seguite?
Il lavoro con i modelli fisici è fondamentale per il nostro iter progettuale e si articola in diversi passaggi: iniziamo sempre con un modello fisico del luogo che possa essere d’aiuto all’indagine “archeologica” preliminare. Successivamente realizziamo una serie di modelli fisici a scale differenti, per indagare ogni aspetto del progetto (materia, struttura, dettagli, etc.). Infine, realizziamo un modello ultimo che racchiuda tutti i ragionamenti fatti, sublimati in un’idea chiara. Questa maniera artigianale di lavorare ci consente di avere una relazione fisica con il progetto fin da subito (nonostante si operi sempre nel campo dell’astrazione). Una relazione fisica appunto, che permette di indagare il ruolo fondamentale che ogni senso svolge nell’esperienza dello spazio. Un luogo, infatti, è costituito anche di sensazioni olfattive, uditive, tattili e gustative, che è fondamentale conoscere e capire soprattutto in questa società sempre più oculo centrica.

Chi li realizza? Con quali materiali?
I modelli vengono realizzati dai nostri collaboratori con materiali sempre differenti a seconda di cosa ci suggeriscono prima il luogo e poi il progetto. In questo modo, realizzare modelli fisici diventa anche un’occasione per conoscere direttamente e più a fondo la materia.

Chapel of Silence, Brescia, 2017, vista frontale © Associates Architecture

Chapel of Silence, Brescia, 2017, vista frontale © Associates Architecture

I PROGETTI DELLO STUDIO ASSOCIATES ARCHITECTURE

La costruzione di un modello è la costruzione di un progetto. Tra quelli da voi realizzati, ne esiste uno che ritenete più rappresentativo?
La Cappella del Silenzio è stato sicuramente il primo progetto con il quale abbiamo potuto esprimere la nostra idea di architettura. Una piccola cappella laica, collocata tra le montagne di Botticino in provincia di Brescia, in cui si può leggere chiaramente il rapporto che sta alla base di ogni nostro progetto: luogo – persone – storia.

Un rapporto che riscontro anche nella vostra Sin Nombre House and Gallery, un intervento molto intimo e misurato. Una sensazione simile a quella avuta visitando “Villa Le Lac” (la Petit Maison) di Le Corbusier a Vevey, in Svizzera: la piccola apertura che nel vostro progetto si schiude sul centro storico di San Miguel de Allende mi ricorda quella che si apre sul lago Lemano. Citazione o caso?
Ogni nostro progetto parte dal presupposto che l’architettura può essere strumento per aiutare a comprendere un luogo. Questa comprensione può essere suggerita attraverso differenti dispositivi tra cui quelli che indagano lo sguardo. La piccola apertura della Sin Nombre House and Gallery raccoglie un frammento intimo della vista sulla città, ossia quello della cattedrale di San Miguel de Allende, e invita a focalizzarsi su quello, dimenticandosi del resto. Così, sul candido e austero muro di uno dei due patii della zona notte, la cattedrale appare come dipinta in un piccolo quadro di luce. Il riferimento che ci ha ispirati si trova sul colle Aventino a Roma, memoria di un viaggio fatto insieme nel 2017.

Scenografia Stones Room, Gussago, 2018, performance del ballerino argentino Martin Piliponsky © Associates Architecture

Scenografia Stones Room, Gussago, 2018, performance del ballerino argentino Martin Piliponsky © Associates Architecture

ARCHITETTURA, COMUNICAZIONE E FUTURO

La comunicazione è ormai un aspetto imprescindibile. Saper comunicare il proprio lavoro è diventato un lavoro. Come vi approcciate a questa pratica?
Architettura è comunicazione. Ogni volta che realizziamo un progetto e modifichiamo inevitabilmente un luogo stiamo comunicando qualcosa (di positivo o di negativo). Parliamo non solo a chi lo fruirà, ma anche a chi ne vedrà semplicemente un’immagine o chi ne sentirà parlare e in qualunque modo, anche inconscio, ne verrà influenzato. L’architettura ha la grande forza di essere uno “strumento di comunicazione” che è possibile attraversare fisicamente; per questo è portatrice di una serie di valori tangibili e intangibili di cui dobbiamo essere consapevoli ogni volta che tracciamo, con la matita sul foglio bianco, anche il segno apparentemente più insignificante.

Come vi ponete nei confronti dell’uso dei social network?
Riteniamo sia molto importante comunicare quello che facciamo, sia per poter trovare nuove opportunità sia per esprimere i valori del nostro operare. Abbiamo per questo studiato un piano preciso di utilizzo dei social network, aggiornato di settimana in settimana, per fare in modo che questa attività di comunicazione, seppur importante, non interferisca con la parte più significativa della nostra professione, che è la progettazione. In questo modo, senza disturbarsi, le due linee della progettazione e della comunicazione possono correre parallelamente aiutandosi.

In chiusura, una domanda che diventerà di rito in queste interviste. Cosa pensate dell’attuale scena architettonica italiana?
Guardiamo con grande interesse e passione alla scena architettonica contemporanea italiana e al lavoro dei nostri colleghi, che ci ispira costantemente. Riteniamo che il nostro Paese in questo momento storico, soprattutto in provincia, stia vivendo una stagione felice. C’è molta voglia di fare, di crescere e grande entusiasmo non solo tra le nuove generazioni, e questo ci fa ben sperare per il presente e il futuro dell’architettura italiana.

E cosa vi augurate per il vostro futuro?
Di poter continuare ad avere occasioni in cui esprimere la nostra maniera di fare architettura e in cui poter trasmettere, attraverso l’architettura stessa, i nostri valori, ma soprattutto ci auguriamo di poter incontrare clienti lungimiranti con i quali possa nascere la giusta sinergia architetto-committente necessaria a produrre bellezza.

Silvia Lugari

https://associatesarchitecture.it/it/

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Silvia Lugari

Silvia Lugari

Organizza viaggi ed eventi culturali nell’ambito dell’architettura. Una vocazione che è nata dalla sua formazione universitaria, trasformata in professione. Collabora con Casabella formazione e ProViaggiArchitettura, per i quali si occupata dell'organizzazione di mostre, conferenze e workshop nazionali e internazionali, anche…

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