Llabb, lo studio di architettura emergente nato in una falegnameria di Genova

Tra i loro progetti più celebri c’è un monolocale ispirato alla cultura nautica, ma Luca Scardulla e Federico Robbiano guidano lo studio llabb da dieci anni. Decisi a non abbandonare Genova e l’approccio artigianale

llabb è lo studio di architettura fondato a Genova nel 2013 da Luca Scardulla e Federico Robbiano (classe 1987 e 1991), coppia nella vita e sul lavoro. Entrambi si sono formati all’Università degli studi di Genova e hanno deciso di rimanere in città, rinunciando alla sempre più frequente fuga all’estero o verso più grandi agglomerati urbani. Lo studio, che attualmente si trova all’interno di Palazzo Crosa di Vergagni, nel centro storico del capoluogo ligure, nasce come laboratorio di falegnameria: non una casualità, dato che il fare artigiano e l’attenzione ai dettagli e ai materiali sono aspetti molto presenti per llabb anche in riferimento all’architettura. I progetti dello studio sono il risultato di due diversi approcci: Luca più concettuale, Federico più tecnico; un dualismo che ha trovato un equilibrio lungo un percorso di crescita e ricerca che li ha portati ad avere all’attivo (e in cantiere) interventi in Italia, Inghilterra, Australia e Marocco.

Studio llabb ©Giovanni Battista Righetti
Studio llabb ©Giovanni Battista Righetti

Intervista allo studio di architettura llabb

LLABB: lo scriviamo solo una volta in maiuscolo per fugare subito il solito misunderstanding. Cosa racconta il vostro nome e da dove nasce?
La cosa divertente di questo nome è che non ce lo siamo dati noi: è nato per caso. In origine ci chiamavano banalmente “Scardulla e Robbiano Architecture Lab”, sulla scia dei classici nomi degli studi con i cognomi, ma proprio non ci raccontava. Poi una nostra cliente – grafica e designer – per la quale stavamo disegnando un arredo, ci ha suggerito questo nome, legandolo al fare artigiano del laboratorio e alla doppia LL e doppia BB dei nostri cognomi, creando di fatto un nome che è anche un logo. Lo abbiamo trovato geniale, adottandolo subito.

Il vostro studio nasce appunto come laboratorio di falegnameria, qual è il punto di partenza della vostra storia?
È buffo perché sembra di citare le startup americane: abbiamo iniziato in un garage di famiglia ad Arenzano. Per me (Federico) è sempre stato un hobby, poi con Luca lo abbiamo trasformato in un lavoro, spingendo molto sulla ricerca del disegno d’arredo su misura, sui singoli elementi di arredo e sulla composizione architettonica legata agli oggetti.

Come è avvenuto il passaggio da laboratorio artigiano a studio di architettura?
Abbiamo sempre visto il nostro percorso come una scala. Il primo passo era fare la falegnameria perché nessuno ti affida un lavoro senza che tu abbia esperienza, quindi il lavoro ce lo creavamo da soli. Da qui, in pochissimo tempo, abbiamo fatto il primo vero progetto che univa la parte di realizzazione di arredi a quella architettonica: La strega bar a Fidenza, in Emilia-Romagna. Siamo poi tornati alla scala degli oggetti di uso quotidiano, occupandoci di lavori sempre più complessi, fino ad approdare a Riviera Cabin.

Ovvero?
Si tratta di un progetto al limite tra micro architettura e macro design, per una casa di 30 mq, risultato della fusione tra due mondi, con misure minime spinte al massimo e compenetrazione tra progettazione degli arredi e dello spazio. Questo progetto è stato il punto di svolta: ha coinciso con la chiusura del laboratorio e il passaggio allo studio di architettura.

Cosa resta della falegnameria?
Al momento non abbiamo un laboratorio attivo. Abbiamo trasformato il nostro know-how in una sorta di linguaggio. Per la realizzazione ci affidiamo a una serie di falegnami di fiducia. Resta però il fatto che disegniamo con competenza: sappiamo esattamente come verranno realizzate le cose, con un totale governo sul progetto.

© Studio Campo – Anna Positano e Gaia Cambiaggi
© Studio Campo – Anna Positano e Gaia Cambiaggi

Da laboratorio di falegnameria a studio di architettura

Cosa vi siete portati dietro dal laboratorio allo studio?
Sapere come si fanno le cose è sempre stato il nostro punto di forza. Capita spesso che in cantiere mettiamo fisicamente le nostre mani in campo, dialogando con le maestranze e instaurando più facilmente un rapporto di fiducia e collaborazione. Ci portiamo dietro una grande capacità di problem solving in cantiere. Le imprese per prime rimangono spesso stupite.

Per voi il concetto “Bespoke architecture” non è effimero o modaiolo, ma corrisponde a una reale sartorialità.
Hai toccato il motivo per cui Luca non ama usare il termine bespoke, anche se lo citiamo sul nostro sito; un po’ come il green washing, nel descrivere quello che fanno gli architetti ci si attacca tutti un po’ agli stessi termini, che non sempre poi corrispondono alla realtà. Noi vorremmo trovare una chiave comunicativa per allontanarci da questo, anche se credo che nei nostri progetti si percepisca che non è solo una sartorialità raccontata, ma di chi la fa davvero.

Siete molto generosi nel comunicarvi e nel raccontare il vostro lavoro. Il vostro sito è molto “user friendly” anche per chi non è del settore.
Seppur crediamo che l’aspetto teorico e il confronto tra professionisti sia fondamentale per l’architettura, quello che ci piace davvero è arrivare alle persone, quindi scegliamo di essere diretti ed espliciti. Dobbiamo progettare il futuro delle persone, quindi ascoltare e parlare in maniera semplice, evitando le mode e costruendo spazi che anticipano quello che verrà. Se vogliamo comunque metterci un po’ di filosofia c’è un tale scollamento tra la società e il nostro mestiere oggi, che chiudersi nella torre dell’altezzosità, rischia di peggiorare la visione che hanno le persone degli architetti e la poca riconoscibilità della nostra professione.

Possiamo dire che il vostro è un approccio funzionalista?
Facciamo fatica a metterci un’etichetta, e non per snobbismo. Possiamo però dire che i nostri progetti non partono mai dal raggiungimento di un’immagine: in questo siamo più vicini al funzionalismo che al formalismo. Per noi il risultato deve essere la conseguenza, certamente estetica ed elegante, della tecnologia progettata per risolvere quella determinata esigenza. L’oggetto finale quindi si denuncia in quanto bello e in quanto risolutivo. Si ritorna quasi all’oggetto funzionale ma bello, ma di una bellezza spontanea, come nel design italiano degli Anni Cinquanta.

Come lavora lo studio llabb

Quante persone lavorano nel vostro studio?
Siamo 12, più 2 tirocinanti.

Come si sviluppa il workflow?
Entrambi abbiamo fatto delle brevi esperienze all’estero, ma non abbiamo una lunga esperienza in un grande studio che solitamente ti permette di assimilarne la struttura. Siamo comunque dei maniaci dell’organizzazione interna, quindi ci evolviamo, mettendo spesso in discussione i nostri processi.
A oggi abbiamo una struttura divisa in tre squadre capitanate da un project leader che noi chiamiamo senior (anche se di senior non ha niente perché siamo tutti giovanissimi, under 35), oltre a un office manager che ci salva la vita. Le commesse vengono divise tra questi tre gruppi; ci sono poi due figure che hanno un ruolo orizzontale e affiancano i vari team; una si occupa di tutte le immagini e l’altra di conservazione e restauro.

Avete anche una squadra dedicata ai concorsi?
Tutte le volte che torniamo in studio dopo un lungo viaggio apportiamo grandi cambiamenti. Siamo appena tornati dall’Australia e stiamo proprio parlando di questo perché non siamo felici di come gestiamo i concorsi: ne facciamo davvero pochissimi e ci chiediamo se sia giusto dedicarci un team oppure farlo in maniera orizzontale. A questo si aggiunge un tema molto complesso: le dinamiche e la qualità dei concorsi, oltre alla questione economica, perché è un investimento di tempo importante con un ritorno non immediato, che quindi non è sempre possibile.

Uno dei vostri progetti più conosciuti è The Hermitage, come è nato?
The Hermitage è la massima espressione di noi. La genesi del progetto e i suoi obiettivi sono la cosa più interessante: due anni fa, sempre dopo un viaggio, ci siamo detti che stavamo crescendo molto e che dovevamo trovare un modo affinché l’approccio di llabb rimanesse lo stesso, trasferendo il nostro know-how sul lavoro con il legno, anche ai colleghi dello studio. Oltre a questo, un secondo obiettivo fondamentale – venendo entrambi dal mondo scout – era di continuare a lavorare sulla crescita personale e sul gruppo. Quindi abbiamo pensato a una forte esperienza di team building che rispondesse ad entrambe le esigenze. In più si è affacciato un terzo obiettivo: avevamo uno studio che dopo 4 anni di attività non aveva ancora costruito niente, quindi ci siamo detti “costruiamoci qualcosa noi!”

Qual è stato l’outcome di questi tre chiari obiettivi?
Il tutto si è tradotto in un periodo di progettazione lungo e in due settimane di workshop durante le quali abbiamo vissuto h24 tutti insieme in una casetta vicino al sito di progetto, realizzando in legno The Hermitage, ovvero uno spazio minimo di contemplazione di 12 mq. Il risultato ci è piaciuto molto, ma quello che è stato davvero incredibile è che ne siamo usciti come una comunità consolidata, valore aggiunto nella vita quotidiana in studio.

Chiudiamo con la domanda rivolta a tutti gli studi scelti per questo ciclo di interviste: il vostro augurio per il futuro?
Tenete duro. Noi vediamo l’energia e la qualità di ricerca e approccio che viene messa in campo dai giovani studi italiani. Quindi l’augurio è di non desistere, nonostante la complessità dell’agire su un mercato statico e saturo di grandi nomi e studi. Oltre a questo ci auguriamo anche che tutti i giovani studi italiani continuino a fare rete, creando non solo opportunità lavorative, ma anche scambi culturali e vitali.

Silvia Lugari

https://llabb.eu/

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Silvia Lugari

Silvia Lugari

Organizza viaggi ed eventi culturali nell’ambito dell’architettura. Una vocazione che è nata dalla sua formazione universitaria, trasformata in professione. Collabora con Casabella formazione e ProViaggiArchitettura, per i quali si occupata dell'organizzazione di mostre, conferenze e workshop nazionali e internazionali, anche…

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