Il mondo cambia, l’arte cosa fa? Rispondono 9 artisti
Viviamo un’epoca davvero complessa, nella quale il cambiamento è una caratteristica costante. Ma come reagiscono gli artisti al tempo presente?
Tempi moderni. Cosa può fare l’arte a fronte di eventi catastrofici come pandemia, estremismi religiosi, disastri climatici? Rispondono gli artisti.
‒ Santa Nastro
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #62
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ALICE PASQUINI
L’arte, in particolare la street art, può rappresentare un antidoto nei confronti di un’altra catastrofe, interamente umana: l’emarginazione. Al centro della vita artistica della maggior parte degli street artist c’è il muro. Io la chiamo arte contestuale, quella che nasce per un luogo specifico e in un altro non potrebbe esistere nello stesso modo, che è influenzata dalla luce e i colori dell’ambiente circostante. Le cicatrici della città sono le tele migliori per ridare valore alle cose abbandonate. Un giorno ho ricevuto una mail che mi chiedeva se fossi interessata ad andare a dipingere in un piccolo borgo del Molise. Civitacampomarano sorge sul crinale di una collina ed è afflitta dal deterioramento del territorio e dallo spopolamento. Con la collaborazione dei pochi ragazzi del posto rimasti e dei figli di immigrati, è nato un progetto artistico che ha coinvolto il paese intero. Ho dipinto usanze, momenti e tradizioni antiche sui muri di case bellissime, ora vuote e diroccate. Sono tornata a lavorare ogni anno con diversi amici artisti. Per far rivivere il borgo come un tempo. Così a Civita hanno cominciato a tornare i turisti. Il mio tema d’esame di quinta elementare era sulla caduta del Muro di Berlino. È triste constatare che, da allora, i muri nel mondo sono aumentati. Cos’ha un muro più di una tela? Dipingere sopra un muro vuol dire attraversarlo.
ANDREA POLICHETTI
Credo profondamente che il ruolo degli artisti in generale sia dialogare costantemente con la realtà che li circonda. Durante la pandemia, a Roma gli artisti hanno dimostrato una enorme resilienza dando vita a numerosi spazi indipendenti, tra cui SPAZIOMENSA, di cui sono co-fondatore. La costellazione indipendente romana ha dato nuova centralità alla figura dell’artista insieme alla ricerca e allo studio, avvicinando gli addetti ai lavori come il pubblico più vasto al cuore del messaggio. Nella mia personale ricerca è fondamentale il tema della natura e della storia, messi in relazione all’uomo, che deve confrontarvisi con rispetto e consapevolezza. Nella serie Infestanti (2020), cianotipie di grande formato restituiscono un decalogo delle piante infestanti del centro Italia attivando un discorso sul paesaggio, sulla forza della natura e su come l’uomo abbia erroneamente soverchiato entrambe.
REVERIE
Si potrebbe pensare che sia necessario indagare la questione da un punto di vista sia pratico che concettuale. Ma perché la pratica artistica non è pratica? L’arte non potrà ricostruire i mattoni caduti, assistere i malati, proteggere quanti sono in pericolo… Il lato economico della sua sfera d’azione potrà farlo per lei. Ma questa non è arte in senso puro e stretto. Ci vuole un’arte sismica, che scuota e sconvolga, o un’arte medica, che intervenga a tutela della resilienza del mondo? Malgrado creda nell’approccio multidisciplinare, arte è arte, non ha a che vedere con finalità che competono ad altri campi. L’arte può sottolineare, urlare, sensibilizzare, informare, far ricordare, far pensare, agire… L’arte può diventare la più efficace delle pandemie, bisogna vivere il presente da recettori. Le mani saranno così pronte a prendersi cura di tutti noi e dimostreranno che l’arte può diventare anche in sé pragmatica.
ELENA BELLANTONI
L’arte non si occupa, dal mio punto di vista, di “attualità”, ma può aprire degli squarci sul contemporaneo, può lavorare sullo strappo, sul buco, cercando di andare in profondità e creare un’eco che rimbomba in superficie. In questi tempi complessi, l’artista può diventare una cassa di risonanza. Le cose ci attraversano e noi in quanto artisti engagé – se è lecito ancora utilizzare questo termine – possiamo prendere delle posizioni rispetto al mondo che abbiamo davanti. “Mi rivolto dunque siamo”, scriveva Albert Camus nel 1951 – frase da cui nel 2014 ho prodotto anche un lavoro al neon –, in un’azione si scopre la dualità, il sé plurale. Quella solidarietà cara allo scrittore apolide – in cui mi ritrovo – emerge da un desiderio di rivolta in funzione di una collettività, da una frizione inevitabile che genera pensiero mettendo in crisi il sistema costituito e codificato, il passato e le grandi ideologie. Nel presente progettiamo il nostro futuro, per questo la rivolta deve essere qui e ora.
GRAZIA TODERI
L’arte può fare ciò che sa fare, da sempre. Innanzitutto, osservare, in profondità, cercando la rivelazione e la comprensione dei fenomeni. Comprendere i fenomeni significa anche potersi salvare. L’osservazione approfondita offre differenze, liberando nuove strade e nuovi pensieri, che possono causare disturbo ai sistemi chiusi. In ogni circostanza l’artista osserva, immagina. E agisce inventando. L’invenzione è disobbedienza che cambia lo stato delle cose, generando speranza. È la disobbedienza che distingue l’arte dal “professionismo artistico”, che, al contrario, obbedisce e illustra temi imposti dai sistemi chiusi. È con la disobbedienza che l’arte sottolinea la sua distanza dalla retorica dei regimi, di qualsiasi tipo. L’arte può offrire resistenza e speranza.
VALENTINA VETTURI
La vostra domanda mi fa pensare a Keep calm and draw together, il progetto promosso a New York nel 2020 da Times Square Arts, Poster House, Print e For Freedoms, che ha diffuso nella città poster e immagini digitali dedicati alla pandemia disegnati da illustratori, graphic designer, artisti ed esposti su circa 1.800 chioschi e cartelloni elettronici. Al di là dei contenuti che in questo particolare progetto sono stati veicolati o delle scelte estetiche, mi sembra un esempio emblematico rispetto a ciò che l’arte storicamente sa e può fare. E uso questo talk show per dire che mi sarebbe piaciuto e mi piacerebbe vedere in Italia spazi pubblici, online e offline, invasi da interventi d’arte che sappiano tradurre, mediare, sintetizzare lo spirito del tempo. Che possano confortare, offrire uno spazio di libertà, di conoscenza, una prospettiva alternativa che metta in crisi punti di vista consumati dalla retorica. Durante la crisi legata al Covid-19 in Italia tutte le forme d’arte, da quelle visive alla musica, sono state messe a tacere e considerate inutili. Invece credo fortemente che, nel quotidiano e ancor più nei momenti di crisi, i nostri luoghi pubblici debbano essere invasi dall’arte.
https://www.valentinavetturi.com/
GIOVANNI GAGGIA
È un argomento che sento vicino. Non è lontano dal senso di un quesito che ho posto ad alcuni della vostra redazione qualche mese fa: “Che cosa può fare l’arte?”. L’arte potrebbe fare tanto, insinuandosi maggiormente nelle trame della società. Ha la capacità, se non di cambiare il mondo, di modificare le singole persone, il loro modo di vivere e percepire il presente. Raccontare l’attualità può essere un fatto scomodo perché ancora non digerita e dunque difficile da tradurre senza correre il rischio di esporre il fianco. Ciò che per me realmente conta è decidere che uomini e donne vogliamo essere. Risolto tale quesito, vanno utilizzati tutti gli strumenti possibili per concretare l’ipotesi. Narrare l’oggi attraverso l’arte, immaginandosi un futuro migliore, diviene un dovere. È questo che mi ha spinto a decidere negli anni di affiancare i parenti delle vittime della Strage di Ustica o di costruire progetti che raccontassero storie legate ad Amnesty International o di trattare la tematica dell’identità di genere. Troppo pochi gli artisti che scelgono questo viaggio.
https://www.giovannigaggia.it/
SALVATORE IACONESI
Nel nostro mondo globalizzato e iperconnesso saremo sempre più esposti a fenomeni complessi: la pandemia, il cambiamento climatico, le migrazioni, la povertà, la salute. Dipendono da infinite variabili interdipendenti e si può averne esperienza solo attraverso enormi quantità e qualità di dati differenti, per cui non abbiamo alcuna sensibilità. I nostri sensi non ci bastano più per percepire, comprendere e sopravvivere nel mondo in cui viviamo. Tanti artisti hanno iniziato a realizzare opere con i dati: visualizzazioni, sonificazioni e altre. Ma hanno un problema: rendono spettatori. Cosa posso fare io davanti alle temperature del pianeta che passano da verdi a rosse? Nulla: solo essere terrorizzato o estasiato. Servono nuovi rituali, nuovi totem attorno a cui riunirsi per decidere insieme i “che fare”. Nuove alleanze con le tecnologie in cui dati e computazione ci uniscano a foreste, oceani, organizzazioni, edifici, in sensibilità condivise tra umani e non umani. Un Nuovo Abitare.
IRENE PITTATORE
L’attualità stringente può precipitare nelle pratiche artistiche e sollevare esperienze e opere detonanti e radicali, un farsi giorno in piena notte. Può, parimenti, lastricarle di buone intenzioni e produzioni a tema. C’è un corpo, anche sociale, in asfissia: dissotterriamo imperiosamente, laboriosamente, le nostre più riposte, affilate, incandescenti voci. Veniamo a patti con quel che ci ammala, asseta, divora, senza ansia di sedazione, affrontando il rischio di fallimento. Possa l’arte dilagare ancora, permanere fermamente nel conflitto e nella contraddizione, infiltrarsi nei passi di tutti, situarsi e sconfinare, non abdicare al proprio orizzonte di senso, perturbazione, trasformazione per supplire a esigenze di impatto sociale o forzata transizione digitale. Insinuiamoci nella breccia spalancata dall’emergenza pandemica.
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