Imprevedibile e puntigliosa. Renato Barilli ricorda Lea Vergine

Il critico bolognese Renato Barilli ripercorre il suo turbolento rapporto con Lea Vergine, scomparsa pochi giorni fa.

Il mondo dell’arte è in lutto per la scomparsa simultanea di Enzo Mari e di Lea Vergine. Una commovente foto apparsa sui principali quotidiani li mostra avvolti in un abbraccio, quasi presago della sorte comune, cosa quasi da ricordare l’uscita di scena di un’altra coppia molto amata, seppure nell’ambito dello spettacolo, Raimondo Vianello e Sandra Mondaini.
Pensando a Lea, soprattutto i miei coetanei ricordano con infinito rimpianto quella bellissima nostra collega che compariva a ogni inaugurazione di mostre sparsa nella Penisola, però ben custodita da alcuni cognati che le facevano quasi da scorta d’onore e di protezione per tutelarne l’immagine, legata al buon mondo della borghesia napoletana in cui lei aveva contratto il matrimonio con Adamo Vergine, da cui, anche dopo la separazione, ha mantenuto il cognome. Allora esisteva in lei un impasto tra vecchie tradizioni partenopee e invece slanci d’avanguardia, in corrispondenza di una analoga situazione che covava sotto il Vesuvio, luogo di gallerie avanzate e invece di solide tradizioni.

Lea Vergine, Il corpo come linguaggio (Prearo 1974)

Lea Vergine, Il corpo come linguaggio (Prearo 1974)

LEA VERGINE DA NAPOLI A MILANO

Ricordo in merito un curioso episodio derivante da una simile doppia situazione. Napoli era negli Anni Sessanta sede di gallerie di punta, e dunque noi giovani intraprendenti vi accorrevamo, frequentando le vernici, a cui seguiva magari il cerimoniale del ballo in qualche discoteca. Un rito a cui personalmente sono sempre stato alquanto inadatto, ma, forzato dall’occasione, in una di quelle serate la invitai a ballare, lei però ritenne la richiesta indecorosa per una signora sposata e dunque girò l’invito a una giovane ignara e sorpresa di un tavolo vicino. Naturalmente da parte sua era già una condotta provocante e ironica, rivolta a punire un maldestro simpatizzante, come del resto era in lei un generale “gran dispitto” verso la napoletudine. Da qui la fuga, appena le fu possibile, verso il Nord, verso Milano, sede di quell’afflato industriale quale poteva essere ottimamente rappresentato proprio da Enzo Mari, con cui celebrò il secondo matrimonio. Ma mentre Mari è sempre stato il designer “tutto d’un pezzo”, impegnato a oltranza ad applicare i canoni del più stretto razionalismo, ricavandone anche un atteggiamento quasi in permanenza corrucciato e cipiglioso, Lea, pur in stretta simbiosi con lui, si sentì sempre aperta a mettere alla prova altre esperienze, anche le più diverse, e magari improntate proprio a quel demone dell’irrazionale che il compagno voleva reprimere.

Allora esisteva in lei un impasto tra vecchie tradizioni partenopee e invece slanci d’avanguardia, in corrispondenza di una analoga situazione che covava sotto il Vesuvio”.

Così è stato quando Lea è divenuta sostenitrice della Body Art, e perfino di una più effimera tendenza bollata con un’etichetta che si qualifica da sé, “Irritarte”, proprio perché la sua personalità era aggressiva, puntigliosa, pronta allo scatto imprevedibile. Ma si sa bene che negli Anni Ottanta la sua operazione prevalente è stata spesa a favore dell’“altra avanguardia”, cioè della presenza troppo trascurata delle donne artiste anche nei movimenti d’avanguardia. In merito non posso tacere del fatto che il nostro rapporto fu sempre contrassegnato da un misto di attrazione e di rifiuto. In quel momento il sindaco di Milano Tognoli aveva dato a me e ad altri il compito di consigliarlo nel programmare le mostre a Palazzo Reale. Io, con i colleghi, diedi parere contrario a quella mostra. Fu per gelosia, per timore verso una concorrente che rischiava di rubarci la battuta? Devo dire che io coprii il nostro rifiuto con un’argomentazione forse speciosa, che cioè uomini e donne fossero da considerarsi alla pari, e dunque erigere un tempio separato per i colletti rosa era quasi un ribadire la loro inferiorità. Ma Tognoli, più sensibile alle attese del pubblico, capì che quella mostra “s’aveva da fare”, nonostante il nostro rifiuto. Lea poi si è vendicata, mettendosi a capo della contestazione quando, sempre a Milano, e sempre con la guida di Tognoli, organizzammo una grande mostra sui nostri Anni Trenta. Lei scrisse che il rivedere certi cimeli dell’era fascista le aveva fatto venire conati di vomito, e mi bollò girando a me una battuta nata per un politico DC come Galloni, definendomi persona “dalla fronte inutilmente spaziosa”. Ma era una battuta di una querelle che si è dispiegata negli anni, a fasi alterne, con momenti di consenso o invece di distanza, quasi riprendendo il gesto giovanile quando si era rifiutata di ballare con me invitando al suo posto un’altra persona. Però questa partita animata e dialettica si è chiusa nel segno del consenso, che volentieri ho tributato quando, al Mart di Rovereto, ha organizzato una mostra ricca e sontuosa per l’inglese Circolo di Bloomsbury, una delle tante puntate improvvise e impreviste di cui questa ardita giocatrice è stata sempre capace.

Renato Barilli

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Renato Barilli

Renato Barilli

Renato Barilli, nato nel 1935, professore emerito presso l’Università di Bologna, ha svolto una lunga carriera insegnando Fenomenologia degli stili al corso DAMS. I suoi interessi, muovendo dall’estetica, sono andati sia alla critica letteraria che alla critica d’arte. È autore…

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