Nuovi sguardi sul paesaggio. Intervista a Jacopo Valentini
Parola a Jacopo Valentini, giovane artista impegnato in una ricognizione sul paesaggio. Fra arte e architettura.
Jacopo Valentini (Modena, 1990) si è laureato in Architettura all’Accademia di Mendrisio, nel Canton Ticino, e ha ottenuto il Master in Photography presso lo IUAV di Venezia. Da alcuni anni si dedica alla ricerca fotografica e ha partecipato a diverse mostre collettive e personali sia in Italia che all’estero, fra cui Giovane Fotografia Italiana 07 a Reggio Emilia, RIBA a Londra. Ha esposto alcune sue opere alla Fondazione Ragghianti di Lucca, alla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia e in altre realtà artistiche. Vive tra Milano e Modena, dove è nato e dove ha trascorso il periodo del lockdown nella casa di famiglia.
La situazione che abbiamo vissuto, e che per certi versi stiamo ancora vivendo, è straniante. Troppo spesso ha generato opere pretestuose, talvolta prive di senso. Il lavoro che Valentini ha realizzato in questo periodo, dal titolo Superlunare, è significativo. La riflessione parte da questa particolare situazione di coincidenza di una Luna piena con la minore distanza tra Terra e Luna, di marzo e maggio. Gli abbiamo chiesto di parlarcene.
“Quando ho cominciato a vivere questa situazione, ora in mutamento, ho pensato che fosse una giusta occasione per fermarsi, rallentare. Veniamo da un periodo che ci ha fatto perdere di vista quanto è veramente importante per la nostra crescita. Credo che quando si presentano “occasioni” di questo tipo sia giusto coglierle, ma senza affanni.‘Superlunare’ è una piccola ricerca che ho realizzato in questi due mesi di quarantena, non l’ho dedicata a questo momento storico e non ho sentito la necessità di mostrarla durante la sua concretizzazione. Questo progetto riflette sul fattore tempo e sulla dilatazione temporale, non solo in una dimensione concettuale, ma anche tecnica. Contenuto e forma si muovono insieme, sono in forte relazione. Durante questa fase della mia vita sono, infatti, cambiati radicalmente diversi aspetti relativi al tempo. Credo che questi cambiamenti siano stati la principale ragione di questa nuova esigenza progettuale”.
A un primo sguardo mi pare di potere trovare dei punti di contatto con la serie Vis Montium. Se non altro con la parte degli still life, che qui hai realizzato all’aperto, con la luce naturale e al chiuso, al Museo Spallanzani di Reggio Emilia, con la luce artificiale. Vi è in entrambi i casi un interesse nei confronti degli oggetti.
Superlunare, come altri miei progetti, indaga in maniera più o meno diretta il landscape e questo è il paesaggio che avevo a disposizione. Certamente ci sono dei punti di contatto con Vis Montium, serie, iniziata a fine 2018, alla quale sto continuando a lavorare. Creare collegamenti fra i miei diversi progetti è un aspetto a cui tengo profondamente.
Oltre alle differenze tra le diverse modalità delle esecuzioni fotografiche dei due lavori, mi preme sottolineare come nasce il mio interesse nei confronti del genere della natura morta. Ho, infatti, una forte attrazione nei confronti della capacità che abbiamo di potere isolare un oggetto, di estrapolarlo dal suo habitat e astrarlo. Credo che quando osserviamo un contenuto all’interno dei suoi spazi famigliari abbiamo una percezione di esso molto diversa rispetto a quando lo possiamo percepire isolato. Mi interessa delocalizzare l’oggetto dal suo contesto non per inserirlo in uno spazio amorfo, ma per ricercare sempre condizioni che possano fornire al fruitore alcune informazioni, così da creare un disorientamento anche solo parziale.
Ci fai qualche esempio? Da Superlunare a Vis Montium a UNICACINA?
Come primo caso mi viene da pensare immediatamente alla riproduzione fotografica di uno dei coralli (sottoserie di Vis Montium) appartenenti alla Collezione Spallanzani dei Musei Civici di Reggio Emilia. Questo oggetto museale a cavallo fra i tre regni, animale-vegetale-minerale, è normalmente un contenuto esposto attraverso un dispositivo completamente diverso, si nasconde timidamente fra una moltitudine di suoi simili dentro ad antiche credenze con le ante di vetro. Ma cosa accade quando lo estraggo e lo pongo, in una condizione fotografica, come unico spectrum dell’opera? Che fruizione potrei avere di questo contenuto se non fossi a conoscenza della sua ordinaria dimora? Fa sempre parte di Vis Montium un’altra fotografia che mostra un documento d’archivio preso in considerazione durante una visita all’ICCD di Roma. Il soggetto rappresenta una fotografia d’epoca della Pietra di Bismantova, un massiccio roccioso dell’Appenino Reggiano, alto 300 metri, largo 240 e lungo un chilometro. Mi interessa riflettere su quali siano i diversi approcci visivi che si possono avere nei confronti di quello straordinario oggetto naturale.
In Superlunare una natura morta che osserverei è quella che rappresenta un polpo, contenuto diverso dai precedenti, poiché vivente e a me molto caro durante questo lockdown. Oltre ai suoi significati simbolici mi interessa focalizzarmi sull’impatto che può avere sul fruitore vedendo l’oggetto ritratto in uno spazio del tutto inusuale. Mi piace ragionare sulle analogie più o meno evidenti che si possono creare con i soggetti delle mie fotografie.
Per quanto riguarda UNICACINA i significati sono sempre vicini ai precedenti esempi, ma per alcuni aspetti diversi. I cibi rappresentati mi interessano poiché hanno una relazione diretta fra due realtà, quella cinese e quella italiana, e il loro percorso ha una corrispondenza biunivoca. Rimane tutte le volte, come riflessione principale, la questione del dislocamento di uno o più oggetti estratti dal loro contesto e isolati in altri ambienti.
Hai detto che un momento portante di tutti i tuoi progetti è l’analisi del landscape, del paesaggio. Qual è il senso che oggi questo tipo di fotografia può avere, dopo tutta l’acqua che è passata sotto i ponti?
Concentro i miei sforzi e le mie riflessioni sulla fotografia di paesaggio, ma per me il territorio non ha dei limiti così chiari. Nella mia visione il paesaggio è contenuto in una serie di differenti, e alle volte apparentemente lontane, situazioni. Non è una questione topografica, tutt’altro.
Come definire uno spazio? Come definire un’area? Queste sono domande che mi pongo frequentemente. Credo che oggi sia interessante trovare una nuova forma di utilizzo nella fotografia di paesaggio, al fine di ottenere una comprensione trasversale di un sistema.
Attraverso l’intersezione di una moltitudine di livelli contenutistici si può ottenere un’idea completa di ciò che noi ancora chiamiamo landscape, in tutte le sue forme. Non sempre, tuttavia, i diversi campi di discussione a disposizione possono coesistere. Ogni caso è specifico e ogni situazione deve essere studiata con un approccio calibrato per capire cosa è rilevante e cosa non lo è in quel momento.
‒ Angela Madesani
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