Il grano a Manhattan. Intervista con Agnes Denes

Pioniera fra gli artisti che hanno messo i cambiamenti ambientali al centro della loro ricerca, Agnes Denes si interroga sul dialogo fra creatività e natura. Ripercorrendo la propria carriera a poche ore dall’avvio della giornata dedicata alla Terra.

Quando si pensa al dialogo fra arte ed ecologia, la prima immagine che balza alla mente è quella dell’artista di origini ungheresi Agnes Denes (Budapest, 1931) in piedi circondata dalle spighe di grano che aveva seminato in un lotto a pochi metri dalle Torri Gemelle di Manhattan. Non era la prima volta che Denes si occupava di ambiente, ma Wheatfield: A Confrontation (1982) resta la sua opera più iconica e forse la più radicale. Oggi l’artista, che è considerata una veterana dell’arte ecologica, continua a concepire idee per un mondo in trasformazione, mentre vive ancora a New York, dove The Shed ha ospitato una grande retrospettiva sul suo lavoro. L’abbiamo intervistata per farci raccontare cosa significasse parlare di ambiente allora e cosa significhi oggi.

Lei è stata tra i primissimi artisti a portare preoccupazioni ambientali nel suo lavoro. Cosa significava fare arte che parlava di ambiente negli Anni Settanta e Ottanta? La gente condivideva le sue preoccupazioni? Capiva il suo lavoro?
Niente affatto, la gente pensava che stesse camminando sulle sabbie mobili e, guardando indietro, è vero. Quando ho iniziato a combinare scienza e filosofia con l’arte, ero sola. Se c’era qualcun altro, non ne ero a conoscenza. Ho sempre lavorato da sola e per lo più da sola ho tratto le mie conclusioni. Ho dovuto insegnare questi concetti agli altri e l’ho fatto con la mia arte. Ora vediamo che ci sono voluti cinquant’anni. Beh, c’è voluto molto per una reazione globale di preoccupazione, ma lungo il percorso ne ho ricevute tante più contenute.

Le interazioni fra arte e scienza stanno diventando sempre più frequenti. Un numero crescente di scienziati si rivolge all’arte per trasmettere il proprio messaggio e sempre più spesso gli artisti si rivolgono alla scienza per dare una base solida base al proprio lavoro, ma nel suo lavoro la scienza è da sempre presente. Si considera una pioniera?
Oggi questo tipo di lavoro è molto comune e in tanti attribuiscono questa diffusione all’influenza del mio lavoro. È vero, sono stata un pioniere del movimento. Alla gente piace etichettare le cose. Tuttavia, parlare di questi temi è diventato una necessità, sempre più diffusa.

In che modo l’arte può entrare nella conversazione globale sui cambiamenti climatici?
Prendendo in considerazione diversi aspetti dell’esistenza. Inoltre, il tema deve apparire in modo evidente nell’arte. Non tutta la produzione artistica serve a questo scopo. La mia arte individua il problema e offre soluzioni benigne. Richiede molto lavoro, studio, ricerca, e poi bisogna trovare un linguaggio con cui comunicare tutto questo. Molti non sono disposti a fare quel che è necessario, o magari fanno solo alcune parti del lavoro e non tutte. Allo stesso tempo, l’arte deve anche rimanere arte. Faccio in modo che il mio lavoro sia bello e, mentre sei colpito dalla sua eloquenza, sono riuscita ad attirare la tua attenzione per insegnarti qualcosa, impartire alcune conoscenze oppure offrire una soluzione benigna a un dilemma.

Agnes Denes, Wheatfield - A Confrontation. Battery Park Landfill, Downtown Manhattan - The Harvest, 1982 © Agnes Denes. Courtesy Leslie Tonkonow Artworks + Projects, New York

Agnes Denes, Wheatfield – A Confrontation. Battery Park Landfill, Downtown Manhattan – The Harvest, 1982 © Agnes Denes. Courtesy Leslie Tonkonow Artworks + Projects, New York

Vede la sua arte come una forma di attivismo?
Deve anche rimanere arte. Odio le etichette, mettere le cose in scatole e archiviarle. Le idee sono organismi viventi, devono essere attivate, bisogna curarle, farle fiorire, ma soprattutto permettere loro di cambiare, di sviluppare tentacoli attraverso la specializzazione in comprensione e scopo, come una pianta, un albero.

Può parlarci del suo progetto A Forest for New York?
Si tratta di un progetto che ho concepito dopo che l’uragano Sandy ha colpito le nostre coste e ne ha distrutto alcune zone. Ho progettato megadune per trattenere l’acqua nelle aree sul livello del mare, non solo sulle nostre coste ma in tutto il mondo, rallentando l’assalto della distruzione causata dalle onde. Ho progettato A Forest for New York per una discarica dismessa che potesse essere usata come luogo di celebrazione, un parco di pace e una foresta con diverse funzioni: purificare l’aria, ripristinare gli ecosistemi e creare un equilibrio tra natura e struttura della città, per aiutarci a vicenda.

Vede una connessione tra femminismo ed ecologia?
Non ne faccio una questione di separazione tra i sessi, anche se ci sono differenze nel modo in cui reagiamo. Guardo la vita di una donna e quella di un uomo, dove le cose si differenziano, e ne sottolineo l’identità. Questa è la filosofia visiva che ho introdotto nel mio lavoro. Elaborare un concetto unico e poi essere in grado di metterlo in forma visiva. Questa è la mia invenzione, una delle parti più importanti del mio lavoro e anche più difficile da recepire, copiare o appropriare, come l’ecologismo.

Quando lei ha iniziato a lavorare con la natura e nella natura non c’era lo stesso senso di urgenza riguardo alla crisi ambientale. Pensa che la situazione attuale cambi il significato di alcune sue opere?
Decisamente. Le persone stanno iniziando a capire il lavoro, anche se solo in parte. Ma il mio lavoro non riguardava solo le crisi ambientali ma molti altri aspetti dell’esistenza, dei sistemi di credenze e dei processi di pensiero che restano ancora nel buio, ovvero non sono stati compresi. Probabilmente ci sarà bisogno di ancora un po’ di tempo e di esposizione a questi temi perché si faccia luce.

È ottimista rispetto al futuro dell’umanità?
Il pendolo oscilla. Spero solo che sopravvivrà abbastanza gente per ricominciare facendo tesoro del sapere acquisito da questa lezione.

Maurita Cardone

http://agnesdenesstudio.com/

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #54

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Maurita Cardone

Maurita Cardone

Giornalista freelance, abruzzese di nascita e di carattere, eterna esploratrice, scrivo per passione e compulsione da quando ho memoria di me. Ho lavorato per Il Tempo, Il Sole 24 Ore, La Nuova Ecologia, QualEnergia, L'Indro. Dal 2011 New York è…

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