L’italiano all’estero. Intervista a Federico Solmi

Dopo la grande inchiesta su “come campano gli artisti” italiani, ne abbiamo intervistato uno che ha scelto di trasferirsi nella Grande Mela, Federico Solmi.

Da tempo ti sei trasferito a New York. Cos’ha che l’Italia non avrebbe potuto darti?
New York e l’America mi hanno dato tutto: la mia carriera è iniziata a Brooklyn, poi il mio lavoro è stato portato in Italia, Europa e Asia. A differenza della maggior parte degli artisti italiani che ho conosciuto a New York, che avevano studiato e fatto le prime mostre in Italia per poi trasferirsi qui, io ho fatto un percorso diverso. Non ho mai frequentato nessuna accademia in Italia né in America, semplicemente ho osservato la scena artistica newyorchese e quando mi sono sentito pronto ho trovato i miei spazi e ho fatto le mie prime mostre a Brooklyn e New York.

Com’è dal tuo punto di vista l’attuale situazione di mercato?
In America, e direi un po’ ovunque, ci sono sempre meno collezionisti e più speculatori, l’arte è un investimento e non più una passione. Sono sempre più rari i casi di collezionisti amatori dell’arte. I trend dettano legge nel mercato. Ma i trend durano un anno o due, gli artisti intelligenti lo sanno benissimo e lavorano sulla propria carriera e non si fanno tentare dal lavoro trendy del momento. Di solito sono i giovanissimi a cascare nel tranello delle mode: un paio di loro ce la fanno, ma intere generazioni vengono distrutte dal mercato e dalle gallerie cool in cambio di uno-due anni di gloria, certo non un gran modello.

E in Italia?
Non conosco in maniera dettagliata la situazione italiana, la conosco per sentito dire dai miei colleghi, mi sembra di capire che sia dura per gli artisti che non riescono a lavorare al di fuori del mercato. Io ho diversi collezionisti italiani che comprano le mie opere dai miei galleristi americani e che, almeno a mia conoscenza, sono grandi appassionati d’arte. Sono molto grato del loro sostegno. Vorrei anche precisare che a New York non è tutto rose e fiori, ci sono tanti artisti che da anni vivono negli Stati Uniti, che non sono mai riusciti a lavorare con le gallerie di qui e che devono fare altri lavori per mantenersi.

Come riesce un artista completamente identificato con la propria pratica a gestire la vita privata e il rapporto con la famiglia?
La famiglia è sempre stato un rifugio per me, mai uno svantaggio, un modo per staccare dall’ossessione della mia professione. Ho sempre lavorato tantissimo, perché il lavoro mi consuma ma mi dà anche gioia. Comunque ho sempre cercato di sacrificare le mie ore di sonno invece che il tempo con i miei figli o la mia famiglia. Senza la mia famiglia, so benissimo che perderei l’equilibrio.

Se ti pensi da qui a dieci anni come ti vedi? 
Sinceramente non penso mai al futuro, gli impegni del presente e tutti i progetti che devo realizzare a breve termine sono così intensi che non mi danno tregua. Quello che ti posso dire è che sento di aver creato una posizione molto favorevole, ho tante persone che credono nel mio lavoro e me lo dimostrano in continuazione. Da una parte sono molto sereno, perché mi sento in piena maturità, ma sono anche molto ansioso: sarò all’altezza?

Santa Nastro

www.federicosolmi.com

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #48

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Santa Nastro

Santa Nastro

Santa Nastro è nata a Napoli nel 1981. Laureata in Storia dell'Arte presso l'Università di Bologna con una tesi su Francesco Arcangeli, è critico d'arte, giornalista e comunicatore. Attualmente è vicedirettore di Artribune. È Responsabile della Comunicazione di FMAV Fondazione…

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