Quanti ebrei ci sono in Italia?  Una riflessione su cultura e religione in un paese non praticante 

In Italia ci sono circa 36.000 ebrei, mentre il 30% dei cittadini è composto da cattolici non praticanti. Prima di prendere posizione non sarebbe bene studiare un po’ gli altri credi religiosi?

Il performer Ghali (sarebbe riduttivo includerlo in altre categorie), è intervenuto, recentemente sui social augurando un buon ramadan e condividendo delusioni per chi, a suo dire, non si è battuto abbastanza per quanto è in corso in Palestina. 

La questione è molto delicata, ovviamente, ma la reazione che gli italiani (di qualunque estrazione) stanno avendo di fronte ai conflitti che ad oggi ricevono una maggiore eco nel nostro Paese, presenta degli elementi che probabilmente vanno approfonditi. 

Prima di procedere, data la delicatezza del tema, è importante sottolineare che in questo articolo non vengono prese “posizioni”. E non vengono prese posizioni semplicemente perché, come per ogni conflitto, ridurre il tutto ad una tifoseria è un atteggiamento poco rispettoso dei civili, ma anche dei militari, che vengono coinvolti.   

Il dibattito pubblico sui conflitti 

È però da sottolineare che il dibattito pubblico nazionale ha presentato delle severe difficoltà nell’affrontare i conflitti in essere, per ragioni in prima luogo culturali. È stato ed è visibile per le vicende belliche tra Russia e Ucraina, ma lo è ancor più per quanto in essere tra Israele e Palestina. E una parte di queste difficoltà è senza dubbio legata alla scarsa o nulla conoscenza che noi italiani abbiamo di quelle che con il cristianesimo sono le altre due più importanti religioni monoteiste nel mondo. Si tratta, a dire il vero, di una condizione che riguarda prevalentemente la nostra dimensione culturale, e non quella spirituale o religiosa, e si configura, in effetti, come una condizione piuttosto inusuale.  
L’evidenza che la nostra storia coincida almeno in parte con la storia del cristianesimo potrebbe infatti indurre a pensare che sia proprio la diffusione di questa religione a creare una sorta di distanza dagli altri culti. Una interpretazione che però ne nasconde un’altra: è davvero possibile che un popolo che ha avuto, almeno in passato, una così grande vocazione religiosa, non si sia mai davvero interrogato sulle altre religioni?  

Una riflessione sulle religioni in Italia 

Ora, questa condizione si può affrontare in due modi principali: il primo, quello forse più appropriata, è sviluppare una riflessione approfondita sul tema; riflessione approfondita che, tuttavia, richiederebbe un’impostazione e un lessico rivolto principalmente a persone che, proprio perché avvezze a questo lessico e a questa impostazione, hanno già maturato una propria riflessione sul tema. Il secondo modo, leggero e non puntuale, è forse meno esatto, ma consente di sviluppare una riflessione rivolta a coloro la cui giornata-tipo non prevede una riflessione sull’ebraismo o sull’islamismo e su come tali religioni impattino nella vita quotidiana delle persone che vi aderiscono. 
Perché la questione sul rapporto tra le religioni monoteiste, e qui è evidente che di seguito l’approccio seguito sarà il secondo dei due prospettati, può anche banalmente misurarsi sul numero di persone che, nel nostro territorio, appartengono a religione differenti da quella che, per radici storiche e culturali, potremmo definire una scelta di default, ma che per certi versi potrebbe invece essere considerata anch’essa, nel nostro Paese, come una “minoranza religiosa”. 

Chiariamo prima questo aspetto. In Italia siamo tutti cattolici. O atei. Ma i cattolici che realmente praticano questo tipo di professione sono una stretta minoranza. 

È un dato che, nel nostro Paese, riguarda un po’ tutte le religioni. Secondo i dati ISTAT rielaborati da Italia in Dati, nel 2020, tra i credenti (a prescindere dal credo), il numero di persone che non è mai stato in un luogo di culto nell’intero anno precedente è di circa il 30%.  Che per la religione cattolica è davvero difficile: tra battesimi, comunioni, cresime, matrimoni e funerali, persino per un ateo è difficile non entrare in una chiesa, senza contare gli ingressi nelle chiese come appassionati d’arte. 

Tornando al Cristianesimo, e sempre secondo le stesse fonti, nel 2016 soltanto il 5% dei cattolici ha dichiarato di partecipare più volte alla settimana alla Santa Messa. 

Facendo qualche calcolo, e ammettendo che tale percentuale sia rimasta invariata nei successivi 5 anni (condizione ottimista, dato il trend decrescente assunto rispetto al passato), abbiamo che nel 2021, coloro che si professavano cristiani cattolici (non ortodossi) erano 43.249.000 individui. 

Il 5% di questa cifra è 2.162.450: un dato ben più basso di coloro che, sempre nel 2021, si sono dichiarati atei o agnostici (8.811.000), e relativamente più alto di coloro che nella stessa data si dichiaravano cristiani ortodossi (1.441.500, in grande maggioranza stranieri). 

L’Italia è un paese di cattolici? 

Questa prospettiva avvalora un’evidenza che è a tutti nota: l’Italia è un Paese di cattolici non praticanti. Ma questa ovvietà permette dunque di approfondire meglio la questione: se i cattolici praticanti nel 2021 rappresentavano circa il 4% della popolazione italiana, allora anche il cattolicesimo, come pratica religiosa concreta, è da considerarsi alla stregua di una minoranza. Questo consente di porci una domanda che fa emergere appieno la dimensione culturale, e la domanda è: se il Cattolicesimo praticato è una minoranza religiosa soltanto di poco più numerosa delle altre, perché sentiamo tale religione più vicina rispetto alla religione musulmana o all’ebraismo? Quali sono le ragioni per cui la nostra attenzione (non necessariamente giudicante) viene attratta maggiormente da una donna che indossa un hijab rispetto ad una donna che indossa una catenina con un crocefisso? 

In parte, la dimensione può essere espressa secondo una logica di tipo psicologico: la nostra eredità animale determina che il nostro cervello presti maggiore attenzione ad elementi “nuovi” e “non già decodificati”, elemento che in qualche modo abbiamo mutuato da quando dovevamo essere attenti ai segnali di pericolo. 

Questa interpretazione può anche in qualche modo spiegare la percezione collettiva che si ha nei confronti delle altre religioni. Si prenda ad esempio la religione musulmana, che nei dati già menzionati era di 1.667.000 in grande maggioranza stranieri. Si pensi, poi, alla percezione che gli italiani hanno della popolazione straniera presente sul territorio: in un’indagine del 2018 dell’Eurispes, più di un quarto della popolazione italiana stimava una presenza straniera 3 volte superiore a quella reale; cui si aggiungeva un terzo della popolazione italiana che invece ne stimava una presenza che era due volte quella reale e che faceva emergere come, presi 10 italiani, soltanto 3 persone avessero contezza del numero reale di stranieri nel nostro Paese. 

Questo dato, se vogliamo è ancora più evidente nel caso degli Ebrei, perché gli Ebrei, in Italia, stando ai dati CENSUR, sono davvero molto meno di quanto generalmente si creda: 36.000 persone nel 2023, contro i circa 220 mila buddhisti.  

Praticamente, in Italia, se sommiamo coloro che si dichiarano appartenere a culti ad Area Esoterica e della “antica sapienza” (16.900) a coloro che si dichiarano afferenti a “movimenti del potenziale umano” (29.000) abbiamo una componente di popolazione più ampia degli ebrei. Eppure, poco o nullo dibattere si concentra su questi culti di cui, probabilmente, molti italiani non hanno mai sentito parlare. Sarà forse che gli italiani, prima di poter prendere una posizione su questioni che riguardano Paesi esteri e soprattutto altre religioni, debbano forse avvicinarsi realmente e culturalmente a tali Paesi, o a tali credi? Non possiamo continuare a far finta che ciò che ci sembra vero sia vero realmente. Vale per i social, non certo per i conflitti. 

Stefano Monti

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Stefano Monti

Stefano Monti

Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

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