Politica e cultura: cosa fare di fronte ai cambiamenti

Dalla 18app al reddito di cittadinanza, sono molteplici i cambiamenti che questo governo vuole introdurre. Ma come fare per evitare che diventino un peso se si guarda al futuro?

Tecnicamente si chiama endowment effect, ma per gli amici è ogni concessione nel tempo diventa diritto. Si tratta di un meccanismo ampiamente analizzato sia in letteratura sia a livello sperimentale. Nella sua versione più semplice può essere descritto in questo modo: si prenda un oggetto di uso comune. Ebbene, il valore (prezzo) attribuito a tale oggetto varia, talvolta sensibilmente, se quell’oggetto dobbiamo comprarlo o se quell’oggetto è nostro e dobbiamo rinunciarvici. Se questo fosse un articolo accademico, sarebbero molteplici le precisazioni che andrebbero esplicitate, ma si tratta di un meccanismo che tutti conosciamo e che abbiamo sperimentato personalmente almeno una volta nella vita. E se questo è vero a livello individuale, il legame diviene ancora più robusto quando la riflessione si estende alle dinamiche sociali. Gli ultimi anni sono stati un osservatorio particolarmente efficace in questo senso: più e più volte, in questi cambi di governo, è stato tentato di rimuovere o quantomeno modificare alcune azioni introdotte dai governi precedenti; più e più volte tale intento ha sortito importanti pressioni di natura contraria.

SCELTE POLITICHE E CULTURA

Queste evidenze hanno un particolare rilievo in una logica di politiche: perché, a giudicare dagli effetti, richiedono che l’introduzione di strumenti come quelli della 18app o del reddito di cittadinanza debba, in qualche modo, prevedere, almeno in parte, un accantonamento pluriennale (e pluri-mandato), così da garantire che le coperture finanziarie legate a quella manovra non vengano imposte alle legislature successive.

Fare leva sull’endowment effect, nei fatti, non solo rende estremamente difficile, a livello politico, la qualsivoglia modifica di quello che una volta si chiamava status quo, ma rende oltremodo complesso anche solo valutarne potenziali miglioramenti

Tali elementi sono ancor più evidenti quando si parla di politiche culturali, e non solo nel caso della 18app. Lo sono, ad esempio, nel caso delle domeniche gratuite, e lo sarebbero ancor di più nel caso di musei e mostre a ingresso gratuito per i cittadini. Ma non si tratta di una dinamica che coinvolge soltanto il lato della domanda: si pensi al Fondo Unico dello Spettacolo, ai finanziamenti pressoché stabili che ricevono le numerose organizzazioni nazionali. In tutti questi casi, infatti, quelle naturali dinamiche individuali divengono un’enorme opportunità per le forze di opposizione, che possono così trovare nel malcontento un grande aggregatore di consensi. Sia chiaro, il meccanismo appena descritto rientra a pieno titolo nelle regole del gioco democratico; né tantomeno rientra negli intenti di questo articolo approfondire la validità delle misure citate.

IL RUOLO DELL’OPPOSIZIONE NELLE POLITICHE CULTURALI

Il tema verso cui questa riflessione verte è piuttosto un altro: a fronte di un quadro programmatico in cui è lecito attendersi un progressivo incremento dell’attenzione, nazionale e comunitaria, agli equilibri di bilancio, sarà ancora più importante che azioni di governo che potrebbero potenzialmente inscriversi all’interno di questa fattispecie vengano approvate da tutte le principali forze politiche, e che tale approvazione venga comunicata ai cittadini in modo chiaro affinché le successive legislature si trovino a sostenere dei costi che, anche quando all’opposizione, hanno ritenuto importanti per lo sviluppo sociale.
Questo consentirebbe a quelle medesime forze politiche di poter successivamente modificare gli strumenti in precedenza costituiti, con lo scopo di renderli non solo più coerenti con le esigenze di bilancio, ma anche e soprattutto con lo scopo di correggere eventuali distorsioni impossibili da prevedere o che in ogni caso si sono manifestate durante il periodo di vigenza concreta dello strumento.

COSA CAMBIARE: IL CASO DEL FUS

Tutti, ma proprio tutti gli operatori dello spettacolo sono concordi nell’affermare che il FUS vada modificato, cambiato, rivisto. Ma le modifiche che realmente è possibile adottare sono limitate. E sono per lo più estensive, e non riduttive.
Interventi strutturali sul lato dell’offerta, però, è innegabile creino delle potenziali distorsioni del mercato, e molti dei vizi che il nostro sistema culturale presenta sono in qualche modo collegati con piccole o grandi distorsioni del mercato.
Perché fare leva sull’endowment effect, nei fatti, non solo rende estremamente difficile, a livello politico, la qualsivoglia modifica di quello che una volta si chiamava status quo, ma rende oltremodo complesso anche solo valutarne potenziali miglioramenti.
Di sicuro, degradare il dibattito a cori da stadio ostacola anche la comprensione dei vantaggi e degli svantaggi sociali legati all’applicazione di un dato strumento.
E quando questo accade, non importa se si militi nella squadra dei pro o dei contro, ciò che si verifica è un pareggio in cui perdono tutti.

Stefano Monti

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Stefano Monti

Stefano Monti

Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

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