La carica dei non assessori alla cultura. L’editoriale di Massimiliano Tonelli

Le recenti elezioni amministrative dimostrano che è sempre più frequente il fenomeno in base al quale è il sindaco a prendersi l’assessorato alla cultura di una città. Ma perché accade tutto ciò?

Di solito quando scrivo questi editoriali a valle delle elezioni amministrative è tutto un considerare quello o quell’altro assessore. Cosa farà, come si muoverà, che cosa significa quella nomina, perché quella figura così competente è rimasta fuori. E ce ne sarebbe anche stavolta, eccome. Potrei poi scrivere di Tommaso Sacchi, con questo curioso trasloco di assessore sull’asse Firenze-Milano. E potremmo anche discettare sull’interessante figura di Rosanna Purchia, nuovo assessore alla cultura di Torino, dove ha stravinto un sindaco che era dato per perdente da tutti quanti.
E invece no. Parliamo del dato principale che emerge da queste elezioni e no, non è l’astensionismo. Faccio riferimento ai non-assessori, eccolo il dato. Non solo Firenze, dove appunto Sacchi è andato via ma nessun sostituto è stato nominato. Ma anche in città altrettanto cruciali per la vita culturale del Paese come Bologna o Napoli. In tutte queste grandi aree urbane, queste capitali culturali, la delega alla cultura se l’è presa il sindaco. Se l’è tenuta lui.

Matteo Lepore

Matteo Lepore

SINDACI E ASSESSORI ALLA CULTURA

A questo punto a noi sta l’analisi. Perché è avvenuto questo? Due possibili risposte, tutte e due sensate, tutte e due da soppesare. La prima risposta è quella “media”, di chi magari è blandamente appassionato di faccende culturali: “Ah, fanno così perché non gliene frega nulla della cultura, manco gli assessori nominano“. La seconda risposta è più articolata: non sarà mica che la delega alla cultura, che un tempo era più una bega che un onore, è diventata qualcosa di profondamente necessario per gestire a pieno il governo di una città, la sua identità, la sua immagine, il rapporto con le aziende che vi investono, i flussi del turismo? Il sindaco che fa anche l’assessore alla cultura fotografa insomma una città che si disimpegna sulla cultura o una città che ha invece nella più alta considerazione le attività culturali?

Dario Nardella - photo Emiliano Cribari

Dario Nardella – photo Emiliano Cribari

LE PAROLE DEL NEOSINDACO DI NAPOLI

Qualche dubbio ulteriore lo devono instillare le considerazioni di Gaetano Manfredi, il quale, da neoeletto sindaco di Napoli, ha fatto come i colleghi di Bologna Lepore (che nella precedente giunta faceva l’assessore alla cultura e ha deciso di farlo anche da sindaco!) e di Firenze Nardella: s’è tenuto per sé l’assessorato culturale. Come mai? Non ha trovato nessuno che lo volesse fare? Ha preferito istituire altri assessorati su altri temi e poi aveva finito i posti? Lui la vede in maniera diversa: “L’ho fatto perché la cultura è l’asset più strategico e importante per la città, in particolar modo in questa fase iniziale. La mia scelta è stata orientata al desiderio di valorizzare al massimo questo settore, mettere in campo attraverso di me tutte le energie cittadine al fine di creare un grande piano strategico culturale. Non avrò tempo? Beh, mi circonderò di una squadra competentissima all’insegna dell’ascolto e del dialogo“.
Insomma, assessorati depotenziati e penuria di interlocutori o semmai super assessorati culturali con a capo addirittura il primo cittadino? Inutile dire che ci faremo particolarmente attenzione nei prossimi mesi.

Massimiliano Tonelli

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #63

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Massimiliano Tonelli

Massimiliano Tonelli

È laureato in Scienze della Comunicazione all’Università di Siena. Dal 1999 al 2011 è stato direttore della piattaforma editoriale cartacea e web Exibart. Direttore editoriale del Gambero Rosso dal 2012 al 2021. Ha moderato e preso parte come relatore a…

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