Non solo economia: l’importanza della cultura per le imprese

Ambiente, società e governance sono gli indicatori che, se tenuti in considerazione, determinano il benessere di un’impresa. Ma non sarebbe ancora meglio se a tutti ciò si aggiungesse la cultura?

L’acronimo ESG sta per Environmental, Social, Governance e rappresenta, in ambito economico/finanziario, le attività legate all’investimento responsabile di quelle imprese che, oltre al profitto, integrano obiettivi, strumenti e azioni della cosiddetta responsabilità sociale (l’immancabile sigla: CRS – Corporate Social Responsibility).
ESG è una sorta di trivio contemporaneo che sta diventando (per fortuna!) una tendenza. I dati (a proposito di “the trend is your best friend”) raccontano che le aziende che hanno tenuto in seria considerazione gli indicatori di natura ambientale, sociale e di governance stanno crescendo a ritmi sostenuti, così come i fondi di investimento che stanno spiazzando i competitor con risultati e minore volatilità. È certamente superato e considerato come riduzionista l’approccio squisitamente economico, finanziario e patrimoniale anche nel mondo for profit (oggi felicemente contaminato dall’introduzione nel nostro ordinamento – primi in Europa – delle società benefit) con una accelerazione legata alla crisi pandemica e alla spinta dei Millenials, che si sono affacciati non solo ormai sul lato della domanda ma anche di una leadership sostenibile.

Nella terra che ha generato il felice connubio tra scienze esatte e soft skill non possiamo lasciare le humanities fuori dalla porta”.

Non c’è necessità di un occhio attento per rendersi conto che ai fattori di rendicontazione non finanziaria manca la C di Cultural (per un nuovo quadrivio), né d’altronde si può considerare il fattore culturale (e creativo) all’interno del tema sociale o ambientale. Gli strumenti che raccontano in chiave consuntiva (accountability) e prospettica (business plan e forecast) un’impresa hanno bisogno, oggi più che mai, di una chiave di lettura che sia anche culturale.
Dove l’accezione culturale abbraccia una molteplicità di significati: dal tema del patrimonio tangibile dei nostri beni come memoria di un passato che non può derubricarsi a nostalgico stereotipo o a paesaggio da cartolina (il nostro museo diffuso), al patrimonio intangibile quale patrimonio di conoscenze e competenze (anche in azienda) irradiazione del primo e capacità unica di generare immaginario (in fondo, come sosteneva magistralmente lo storico Carlo Cipolla, cos’è il made in Italy se non le cose belle che piacciono al mondo). E ancora: la cultura come capacità di produzione contemporanea, come supporto per qualunque digitalizzazione che non sia una mera protesi.

© Federica Emili per Artribune Magazine

© Federica Emili per Artribune Magazine

LE IMPRESE DEL FUTURO

Ci piace quindi immaginare (con sano pragmatismo), in quella contaminazione che rappresenta una delle più significative sfide di senso del nostro futuro, che i criteri ESG vengano presto contaminati dalla C mancante, in una visione olivettiana che non soltanto considera l’impresa un organismo dentro un ecosistema, quanto l’agente del cambiamento capace di essere l’innovatore che guida gli imitatori nel solco di una via italiana. Nella terra che ha generato il felice connubio tra scienze esatte e soft skill non possiamo lasciare le humanities fuori dalla porta.

Irene Sanesi

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #59

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Irene Sanesi

Irene Sanesi

Dottore commercialista e revisore legale. Socio fondatore e partner di BBS-pro Ballerini Sanesi professionisti associati e di BBS-Lombard con sedi a Prato e Milano. Opera in particolare nell’ambito dell’economia gestione e fiscalità del Terzo Settore con particolare riferimento alla cultura,…

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