Musei e territorio: un dialogo da ripristinare

Il legame fra musei e territorio, sempre più debole negli ultimi anni, deve essere rinsaldato, oggi più che mai. A spiegarne le ragioni è Fabrizio Federici in questo editoriale.

Il rapporto tra musei e territorio è storicamente, in Italia, molto stretto: gli spazi espositivi formano con le chiese, i castelli, il paesaggio quel continuum stratificato e denso di testimonianze che costituisce il tratto saliente del nostro patrimonio artistico e culturale (ancor più di quanto avvenga nel resto d’Europa e all’estremo opposto di quel che accade, naturalmente, alle grandi collezioni americane di arte europea, asiatica, africana, che quasi nessun legame hanno con ciò che le circonda). Tale rapporto si è tuttavia allentato negli ultimi anni in seguito a una serie di tagli e di riforme del sistema della tutela, che hanno portato musei e territorio a procedere su strade diverse, con i primi che sono in genere riusciti a tirare avanti e, anzi, hanno fatto registrare ottime performance, nei pochi casi di grandi istituzioni autonome su cui si è puntato come attrattori turistici; e con il territorio che ha visto naufragare tutela e valorizzazione, a causa della carenza di fondi e della mancanza di personale.

Tagli e di riforme del sistema della tutela hanno portato musei e territorio a procedere su strade diverse”.

Per fortuna c’è chi prova a mantenere vivo il dialogo tra il museo e l’ambiente circostante. Un’istituzione che si dimostra da anni sensibile a queste tematiche sono gli Uffizi: l’ex direttore Antonio Natali ha promosso, in particolare, le mostre del ciclo La città degli Uffizi, che hanno portato in diverse località della Toscana (e non solo) opere delle Gallerie Fiorentine, eventualmente integrate con pezzi provenienti dal territorio, a imbastire percorsi espositivi che mettevano in luce il legame tra quelle opere musealizzate e quelle determinate aree geografiche. Il successore di Natali, Eike Schmidt, ha sollevato forti polemiche (più che altro per l’esempio scelto, la Madonna Rucellai di Duccio), auspicando il ritorno nelle chiese di molte opere d’arte di carattere religioso. Le parole di Schmidt hanno curiosamente riecheggiato quanto sosteneva (e praticava) nella Roma dei Barberini il collezionista Francesco Gualdi, che più di una volta si privò di un pezzo sacro in suo possesso e lo sistemò in una basilica romana, “ut esset sanctitate loci venerabilior” (“perché sia degno di maggiore venerazione per la santità del luogo”). L’operazione può avere ancora oggi un senso, in pochi casi in cui si va a ricostituire un contesto di alto valore; ricordando sempre che, se anche l’opera riacquista una dimensione spaziale sacra, il nostro sguardo rimane, nella gran parte dei casi, uno “sguardo museale”, perché laico: al di là della sanctitas loci, l’opera è percepita come admirabilis assai più che come venerabilis.

UN MUSEO DIFFUSO

Lo stesso Schmidt sta portando avanti con determinazione il progetto che va per ora sotto il nome di Uffizi diffusi: una disseminazione del museo su scala regionale che può portare benefici culturali ed economici alle località interessate, e rivitalizzare monumenti splendidi, come la Villa Medicea dell’Ambrogiana a Montelupo Fiorentino. A patto che le nuove realtà espositive siano organismi vitali, con reali radici nel territorio, e non semplicemente depositi visitabili.

Fabrizio Federici

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Articolo pubblicato su Grandi Mostre #23

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Fabrizio Federici

Fabrizio Federici ha compiuto studi di storia dell’arte all’Università di Pisa e alla Scuola Normale Superiore, dove ha conseguito il diploma di perfezionamento discutendo una tesi sul collezionista seicentesco Francesco Gualdi. I suoi interessi comprendono temi di storia sociale dell’arte…

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