Musei chiusi. E se fosse la scelta migliore?

Nei musei, questo è abbastanza pacifico, non ci si contagia. Ma costringere gli spazi della cultura a riaprire di fatto senza pubblico e senza introiti rischia di minarne la stabilità economica. Rendendoli fragili proprio quando ci sarà da investire per ripartire.

Vi occupate troppo poco dei musei chiusi e della battaglia per riaprirli“, ci rimprovera di tanto in tanto qualche lettore. Dunque, è forse giunto il momento di chiarire alcuni aspetti. La battaglia sulla riapertura dei musei in piena pandemia è una battaglia che effettivamente non cavalchiamo ogni giorno poiché – nonostante populisticamente utilissima a guadagnare popolarità e condivisioni sui social – è una battaglia che non ci convince del tutto. Ma cerchiamo di capire i motivi di questa affermazione, affinché non rischi di essere esclusivamente una boutade per il mero gusto di essere impopolari.
Totalmente inutile sottolineare quanto una realtà come il nostro giornale sia profondamente danneggiata dalla chiusura della cultura ma, se guardiamo oltre al nostro orticello e ci sforziamo di osservare la faccenda dall’alto, non possiamo che essere molto più indulgenti verso chi sta determinando la serrata dei musei.

RENDERE APERTURE E CHIUSURE FACOLTATIVE?

Occorre ulteriormente premettere una cosa però: non tutti i musei sono uguali, le differenze tra gli Uffizi, Pompei e un museo civico di provincia sono incommensurabili e forse d’ora in avanti si potrebbe procedere modulando le misure anti-Covid in maniera maggiormente sartoriale, in modo che ciascuno abbia il suo provvedimento su misura, lasciando magari ampi margini di autonomia ai direttori: chi davvero se la sente dal punto di vista della sicurezza e dell’economia, che apra; chi si rende conto invece che il gioco non vale la candela attenda.
Ciò detto, forse dobbiamo smetterla di considerare la chiusura decisa dal Governo come una cattiveria contro il mondo della cultura, come una congiura, come un complotto, come un dispetto che non si capisce chi avrebbe ordito e per quale recondito motivo.

MOLTI MUSEI SONO MACCHINE COMPLESSE DA RITARARE

Il punto è un altro ed è meramente organizzativo, operativo, finanziario. I musei – alcuni dei musei, non tutti, come abbiamo sottolineato poco sopra – sono stati tarati e calibrati negli anni per “funzionare” con un certo volume non solo di flussi di pubblico, ma anche di piccoli o grandi eventi capaci di generare piccoli o grandi redditi, nonché di clientela nelle attività aggiuntive come ristorazione, librerie, visite guidate.
Senza i volumi di pubblico preventivati, tutta la macchina rischia di funzionare molto male, generare disagi, produrre costi eccessivi e varie anomalie. Se dobbiamo andare a fare la spesa lo facciamo con la Panda, non con una monoposto da Formula 1; viceversa, se dobbiamo gareggiare in pista, evitiamo di stressare il piccolo motore di un’utilitaria e saliamo piuttosto su una vettura da corsa. Ogni circostanza ha il suo strumento, ma i musei non sempre sono macchine flessibili e duttili capaci di adattarsi a cambiamenti radicali per poi tornare sugli standard precedenti e così via. Significherebbe sottoporli a uno stress non senza conseguenze.
Aprire senza pubblico (come pure hanno provato a fare quest’estate) rischia di essere per una parte dei musei una partita in perdita micidiale. Non solo mancano i turisti, infatti, ma non si possono mettere in conto neppure i visitatori locali rinchiusi a casa da provvedimenti anti-contagio e impossibilitati di fatto a viaggiare tra le città della Penisola.

Senza i volumi di pubblico preventivati, tutta la macchina rischia di funzionare molto male, generare disagi, produrre costi eccessivi e varie anomalie”.

Forzare i musei alla riapertura in presenza di tutte queste condizioni avverse rischia di essere un suicidio. Per molti spazi (quelli ad esempio che abitualmente assoldano personale aggiuntivo) significa spendere parecchio a fronte di ricavi nulli, con un impatto significativo sul bilancio; per altri spazi significa mettere a rischio i rapporti con i concessionari che si occupano della biglietteria o di altri servizi, i quali rescinderebbero gli accordi lasciando anche quel fronte scoperto. Per tacere della situazione del personale interno: la pandemia ha rallentato concorsi e turn over mentre i pensionamenti sono andati avanti spediti; questo significa che i musei sono molto più sguarniti di personale rispetto all’inizio del 2020 e questo vale sia per gli spazi statali che per quelli appartenenti a enti locali.

MUSEI COME CENTRI DI RICERCA

Sì, va bene, ma i musei non sono mica solo spazi pensati per far pascolare le scomparse scolaresche e gli evaporati turisti, sono anche e soprattutto luoghi di ricerca”, potremmo affermare, cercando di confutare quanto abbiamo detto fin qui. Verissimo. Ma infatti i musei sono chiusi al pubblico, mica sono abbandonati! Al loro interno la ricerca continua eccome, così come continuano gli studi, i restauri e altro ancora. Se uno studioso deve visitarli può accordarsi con la direzione e farsi aprire, se un giornalista vuole aggiornarsi per scrivere un contenuto può contattare chi di dovere e si troverà una soluzione. Sebbene in emergenza, il ruolo di centro di ricerca non sta venendo meno, o per lo meno non del tutto.

I RISPARMI DELLO STAR CHIUSI

Sia chiaro, a star chiusi i musei non è che risparmino cifre strabilianti: il riscaldamento non può essere spento del tutto, la cosa vale anche per le luci, per non dire delle continue manutenzioni che devono giustamente andare avanti. Tuttavia qualche ottimizzazione si riesce a portare a casa. A queste si aggiungano i contributi statali che sono arrivati e altri ne arriveranno e si consideri la buona gestione dei direttori. Tutto questo insieme dovrebbe riuscire a far superare la buriana agli spazi della cultura. L’alternativa? Rischiare di arrivare spompati, senza ossigeno e coi bilanci pericolosamente a brandelli nei mesi della ripartenza vera. Quando serviranno energie, fondi e idee per un rilancio entusiasmante.

Massimiliano Tonelli

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Massimiliano Tonelli

Massimiliano Tonelli

È laureato in Scienze della Comunicazione all’Università di Siena. Dal 1999 al 2011 è stato direttore della piattaforma editoriale cartacea e web Exibart. Direttore editoriale del Gambero Rosso dal 2012 al 2021. Ha moderato e preso parte come relatore a…

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