Didatticarte, il blog che insegna l’arte a studenti e docenti

Intervista a Emanuela Pulvirenti, ideatrice del blog Didatticarte, nato come supporto didattico e diventato un vero e proprio punto di riferimento nell’ambito della istruzione a tema artistico.

L’arte è stata indiscutibilmente una delle protagoniste dei social in lockdown.
Ci siamo domandati perché e se dobbiamo porci limiti all’uso di immagini artistiche.
Lo abbiamo chiesto a Emanuela Pulvirenti, architetto e docente, ideatrice del seguitissimo blog Didatticarte.

Come e quando è nato Didatticarte? E quale è la tua formazione?
Didatticarte è nato nel 2011 sotto forma di sito web per caricare le slide con le lezioni di storia dell’arte e poi nel 2013 è diventato anche un blog. In verità non aveva molto a che fare con la mia formazione perché io sono un architetto specializzata nell’illuminazione dei beni culturali. Prima di diventare insegnante mi occupavo di arte da un punto di vista molto tecnico e progettuale. Ma questo mio approccio operativo e trasversale è rimasto anche nella mia attività didattica perché ho sempre cercato di trasformare la teoria in pratica e di avere uno sguardo interdisciplinare.

Per chi lo hai pensato creandolo? E come hai cercato di raggiungere i tuoi interlocutori?
Quando Didatticarte era un semplice sito html lo avevo pensato solo in funzione degli studenti del liceo dove insegnavo. Dato che avevo trasformato in slide tutta la disciplina e i ragazzi mi chiedevano quei materiali, inizialmente glieli inviavo per email, ma la cosa risultava sempre farraginosa per cui ho creato quel sito col primo nome che mi è venuto in mente in modo che potessero andare a scaricarle loro stessi. Quando il sito è diventato l’attuale blog (ma la primitiva sezione delle slide c’è ancora), non l’ho più pensato per gli studenti ma come uno spazio mio, personale, dove ragionare ad alta voce sulla scuola, dove inventare percorsi non ortodossi e ipotesi didattiche. Successivamente ho inserito anche il racconto di alcune attività scolastiche che mi sembrava interessante documentare.
Gli interlocutori sono arrivati da soli, attraverso la pagina Facebook che avevo creato in origine insieme al sito. Tuttavia non ho mai scritto pensando a cosa potesse interessare i lettori. Non cerco volontariamente il post virale. Continuo anche oggi a scrivere soprattutto per me. Per questo gli articoli non seguono un piano editoriale, ma nascono in base alla suggestione del momento.

Cosa ti ha più sorpresa in questi anni, cosa non ti aspettavi oltre al meritatissimo successo e ai premi ricevuti?
Mi ha sorpresa essere diventata un riferimento per tanti insegnanti. Come ho spesso raccontato negli incontri di formazione che facevo fino allo scorso anno, ho sempre avuto un rapporto difficile con la scuola. Tutto quello che ho inventato in tanti anni di lavoro ‒ spesso fatto quasi di nascosto ‒ è nato per coinvolgere studenti totalmente disinteressati e per sopravvivere a un sistema irrigidito da prassi e rituali in cui non sono mai riuscita a riconoscermi. Evidentemente tanti insegnanti hanno sentito la stessa necessità di reinventare da capo il proprio metodo didattico e si sono riconosciuti nelle proposte che ho lanciato.

Cosa pensi del crescere costante di profili social che usano l’arte per ironizzare e al tempo stesso raccontare il presente?
Di alcuni ho una pessima opinione. Quelli che mettono in bocca ai personaggi dei dipinti delle scemenze qualsiasi per strappare una risata non li ritengo solo volgari ma anche dannosi, perché dell’arte offrono un approccio ignorante e superficiale instillando l’idea che anche quella possa essere una forma di fruizione delle opere (e vanificando tutto il lavoro di chi promuove ogni giorno la conoscenza e la cultura dell’arte). Mi lascia perplessa anche la recente moda di imitare le pose dei dipinti, lanciata da tanti musei durante il periodo di isolamento. Perché, anche in questo caso, il risultato è spesso una forma di banalizzazione delle opere di cui si è ripreso solo l’elemento più esteriore ma al quale non è seguito alcun approfondimento.
È vero, anch’io ho fatto queste cose con gli studenti (ma ho iniziato dieci anni fa), però il tableau vivant si faceva solo alla fine del percorso di studio dell’opera, altrimenti è solo un divertimento privo di sostanza. Non solo, ho fatto alcune operazioni irriverenti sia con gli alunni che per conto mio: ho mescolato opere d’arte con le ibridazioni, mi sono intrufolata nei dipinti, ma cerco sempre di restare al di qua del limite oltre il quale l’operazione diventa del tutto gratuita. Duchamp ci insegna che anche per dissacrare un’opera d’arte ci vuole cultura.

Esiste un limite che dobbiamo porci all’uso delle immagini? Oppure leggi questo fenomeno come una deriva pop, legata alla facilità di accedere alle banche dati nonché alla straordinaria forza comunicativa dell’arte?
Il limite deve darcelo la conoscenza. Non dovremmo usare immagini che non sappiamo decodificare. Faccio un esempio che ho raccontato anche sul blog. Lo scorso anno, il giorno prima di Pasqua, ho pubblicato sulla pagina Facebook di Didatticarte (attualmente seguita da oltre 200.000 persone) il dipinto dell’Agnus Dei di Francisco de Zurbarán, un’opera del 1640 che raffigura un agnellino con le zampette legate e piovono commenti del tipo: “Ma vi sembra giusto che quell’agnello stia per essere condotto al macello?”, “Gli animali non si toccano!”, “Fermate questa strage!”. Ecco, commenti del genere denotano tre gravi problemi nell’approccio attuale alle immagini dell’arte.

Il manuale di arte e immagine Artemondo scritto da Emanuela Pulvirenti per Zanichelli

Il manuale di arte e immagine Artemondo scritto da Emanuela Pulvirenti per Zanichelli

Quali sono?
Primo. Il titolo Agnus Dei ci dice che quello non è un animale qualsiasi ma è Cristo stesso nella forma con cui lo presenta il Vangelo: l’agnello di Dio. Dunque l’animale legato allude al sacrificio di Cristo in croce non alla macellazione massiva di agnelli nel periodo di Pasqua…
Secondo. Anche a voler leggere l’immagine letteralmente, andrebbe quanto meno storicizzata: nel Seicento la possibilità di cibarsi di carne era un evento rarissimo e un privilegio verso cui provare il massimo rispetto e gratitudine. Nulla a che vedere con l’eccesso di consumo di carne dei nostri tempi. Naturalmente c’erano già le macellerie. Luoghi dove si vendeva una merce tanto preziosa da meritare di essere immortalata in pittura.
Terzo, anche a voler ignorare la metafora insita nel titolo e l’epoca in cui è stato dipinto, è, appunto, un dipinto. Non è la foto di un ovile reale. Quell’agnello di Zurbarán non è mai esistito e non è stato mai mangiato. Scambiare un dipinto barocco per il bersaglio delle rivendicazioni animaliste significa fare un grave torto all’arte, alla storia e all’intelligenza.

Hai avuto modo di riflettere sull’esperienza della didattica a distanza tu che hai pubblicato anche un manuale per la scuola, Artemondo, edito da Zanichelli?
Quest’anno ho fatto una pausa dalla scuola, per cui non posso portare nessuna testimonianza diretta della didattica a distanza (che avrei preferito chiamare didattica digitale). Tuttavia penso che, in assenza di certe sovrastrutture scolastiche che ho vissuto sempre come limitanti, mi sarei divertita più del solito a sperimentare nuove forme di insegnamento. Peraltro, avendo poche ore per ogni classe, ho sempre coinvolto gli studenti in modalità digitali fuori dall’orario scolastico. È un’opzione che non dovrebbe essere applicata solo in emergenza ma integrarsi in modo naturale con la didattica d’aula. Due approcci sono meglio di uno, no?

www.didatticarte.it/Blog/

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Annalisa Trasatti

Annalisa Trasatti

Sono laureata in Beni culturali con indirizzo storico artistico presso l'Università di Macerata con una tesi sul Panorama della didattica museale marchigiana. Scrivo di educazione museale e didattica dell'arte dal 2002. Dopo numerose esperienze di tirocinio presso i principali dipartimenti…

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