I benefici di una piattaforma per gli artisti emergenti

Arte, musica, serie tv, tutto in un’unica piattaforma che consenta agli aspiranti artisti di diventare artisti emergenti. Ecco perché potrebbe essere utile, anche a livello economico

Discorso difficile, quello sugli artisti emergenti. Difficile da perimetrare, perché coinvolge innumerevoli traiettorie, storie, regole ed eccezioni. Si è in bilico tra l’ovvio e l’indimostrabile: tra l’eccessiva specificità e la genericità più impalpabile. Eppure è una riflessione che va affrontata. Primo perché lo stato di salute degli artisti emergenti è lo stato di salute della nostra cultura da qui a cinque anni, e secondo perché capire quali siano i canali attraverso i quali una persona può fare quel passaggio da aspirante a emergente è un elemento centrale nello sviluppo dell’offerta culturale dei nostri territori.
Prendiamo il caso della musica: è fuor di dubbio che almeno una parte dei musicisti che oggi sono in vetta alle classifiche provenga da un talent show o abbia ottenuto l’attenzione di pubblico e case discografiche attraverso canali di streaming musicale.
Dei nove artisti italiani presenti nella top ten della FIMI – Federazione Industria Musicale Italiana di questa settimana, cinque rispondono a questa descrizione. Accanto a essi c’è invece il percorso tipico dei generi che scaturiscono dalla scena hip-hop, una tra le produzioni musicali più attive negli ultimi anni nel nostro Paese.
Sullo sfondo di queste classifiche ci sono però migliaia di artisti musicali che non riescono a raggiungere il proprio pubblico: non tutti i generi sono adatti per i talent show, né tutte le produzioni musicali sono fatte per poter finire al primo posto degli ascolti su YouTube.
Certo, gli strumenti che sono messi a disposizione dalla rete sono tantissimi: dal già citato YouTube ai classici Spotify, Apple Music o Soundcloud fino a servizi forse meno noti come RateYourMusic, Gnoosic, HypeMachine.
Pur con tutti questi strumenti, però, non sempre è facile per le persone trovare musicisti emergenti che rispondano ai propri interessi o ai propri gusti. La numerosità di discussioni che sui social vengono dedicate al tema ne è una prova. Le fonti citate in queste discussioni però possono stimolare più di una riflessione. Oltre ai prevedibili social network e alle piattaforme di streaming, alcuni utenti riportano anche altre tipologie di ricerche: radio, etichette discografiche e, in alcuni casi, in modo del tutto inatteso, viene anche citata la rete bibliotecaria della propria città.

“Perché dunque non creare un nuovo intermediario urbano? Uno spazio dedicato a quelle proposte culturali che non sono adatte ai canoni neo-classici dell’era del web?”

Per quanto ampia ed eterogenea sia dunque la produzione musicale, c’è un tratto che è comune a quasi tutte le risposte: l’esigenza di una selezione. Che si tratti della selezione operata dal talent show, o che si tratti di un algoritmo che propone musica da ascoltare sulla base dello storico degli ascolti, la maggior parte delle nuove scoperte è veicolata attraverso una selezione, o, altrimenti detto, un intermediario. Questa evidenza è, bisogna dirlo, un po’ controintuitiva: gli ultimi quindici anni di internet hanno spinto alla disintermediazione più totale in tutti i campi dell’esperienza umana, e il risultato diquesto processo è il ritorno agli intermediari. Poco importa se si basino su un sapere critico (il talent show), o sul comportamento aggregato di centinaia, migliaia di ascolti: sta di fatto che l’essere umano digitale ha scoperto che per affrontare l’enorme mole di contenuti disponibili ha bisogno di un sistema di reputazione. E questo vale per la musica, ma vale anche per altre tipologie di contenuti (serie tv, film, libri, artisti visuali). Ed ecco il passaggio cruciale: e se questo intermediario fosse fisico? È vero, nell’era in cui Decentraland ospita Cannes, e Venezia premia produzioni cinematografiche per Oculus, questa riflessione assume tutti i connotati del reazionario. Eppure, la funzione che le più evolute intelligenze artificiali svolgono oggi nel proporre agli utenti contenuti affini alle proprie necessità non è di molto distante da quella che il locale per concerti svolgeva prima che internet cambiasse completamente le regole del gioco: selezionare contenuti da proporre ai propri utenti per rispondere il più possibile alle esigenze degli stessi, con lo scopo di fidelizzarli e trarre vantaggi economici diretti e indiretti.
Perché dunque non creare un nuovo intermediario urbano? Uno spazio dedicato a quelle proposte culturali che non sono adatte ai canoni neo-classici dell’era del web?

“Perché non proporre una nuova piattaforma che offra ai propri utenti un’esperienza culturale eterogenea, basata su un modello di ricavi diversificato?”

In un momento in cui le persone vedono aumentare vertiginosamente i prezzi dei concerti dei big, perché non proporre una nuova piattaforma che offra ai propri utenti un’esperienza culturale eterogenea, basata su un modello di ricavi diversificato, che integri ricavi da servizi, da attività commerciali, e che nel frattempo favorisca l’affermazione di contenuti nuovi?
Si tratta, in fondo, di integrare i modelli di business tradizionali e quelli tipici dei portali di internet: al classico vieni, ascolti e nel frattempo mangi e bevi dei pub Anni Novanta, si possono associare numerose altre voci di ricavo. L’affitto degli spazi per la realizzazione di presentazioni aziendali di industrie culturali e creative; il modello del pre-roll per pubblicizzare prodotti e servizi in linea con l’ascolto; il modello fiera (o e-commerce), con la possibilità, ad esempio, di dare spazio ad artisti visuali, stilisti, maker e artigiani trattenendo una quota sul venduto. E ancora, sale cinematografiche legate alle sole serie; living lab; talent show dal vivo, contest di cucina dal vivo, spettacoli di teatro o di micro-teatro, o tantissime altre ispirazioni provenienti dal mondo fisico e digitale.
Stesso dicasi per la formula di vendita agli utenti finali: primi 10 giorni gratis, poi abbonamenti mensili; perché più utenti hai e più lo spazio aumenta di valore. E non solo dal punto di vista immobiliare, ma anche da un punto di vista culturale, sociale ed economico, nel senso di economia reale, con flussi di ricavi che generano maggior ricchezza sul territorio e avviano, al tempo stesso, nuove catene di creazione del valore nei settori dello spettacolo, ma anche nell’arte contemporanea e, più in generale, nelle ICC.
Sarà forse paradossale, ma guardandolo da un punto di vista economico e finanziario, un modello di questo tipo potrebbe proprio interessare quelle piattaforme che oggi, di fisico, hanno soltanto i server.

Stefano Monti

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Stefano Monti

Stefano Monti

Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

Scopri di più