La grande tradizione dei sepolti vivi
Copertina gotica, titolo col punto esclamativo, emozioni forti sin dalle prime pagine. Poi il plot rallenta la sua corsa, ed emerge la scrittura barocca e (melo)drammatica di Marie Corelli. Infiocchettata di riferimenti alle arti visive. Ragion per cui la nostra rubrica “Stralcio di prova” si getta a capofitto nelle pagine di “Vendetta!”.
Nel variegato mondo della piccola editoria italiana, c’è chi – unica via d’uscita per non soccombere ai grandi gruppi – si specializza negli ambiti più differenti. Fra di essi, la romana Gargoyle, come indica piuttosto chiaramente il nome, si dedica alla letteratura horror e gotica. Uno dei suoi filoni più interessanti concerne la riscoperta di autori negletti dall’editoria contemporanea.
Fra le ultime uscite che riguardano questo lavoro di ricerca, un volume dato alle stampe nel 1886 da Marie Corelli, Vendetta – The Story of One Forgotten. Il termine ‘vendetta’ non è la traduzione di ‘revenge’ o ‘vengeance’, ma proprio la parola utilizzata dalla Corelli. Che in realtà si chiamava Mary Mackay ed era scozzese, ma che dalla melodrammaticità italica era profondamente affascinata.
Assai ottocentesca e assai popolare (per i gusti dell’epoca) è quest’opera seconda, benché la prima risalga al medesimo anno. Curiosa è l’immedesimazione dell’autrice con il protagonista: da donna a uomo, da britannica a italiano; anzi, napoletano. Ed è tutto un fiorire di atteggiamenti misogini da un lato (“Se per le donne la pena per l’infedeltà coniugale fosse la pubblica fustigazione, ci sarebbe un numero minore di questi scandali: il divorzio dovrebbe venire dopo la frusta”, p. 77) e di paternalistica approvazione dello spirito mediterraneo dall’altro.
Quel che tuttavia interessa a Stralcio di prova sono i riferimenti artistici. E qui la Corelli stupisce. Non strabilia, ma stupisce. E non ci riferiamo tanto al fatto che il deuteragonista, l’infingardo Guido Ferrari, di “professione” faccia il pittore (in realtà è sostanzialmente un mantenuto, ma una parvenza d’occupazione la mantiene), ma ad altre considerazioni la cui validità resta attuale. Poiché in certi casi Marie Corelli sembra parlare dal futuro, tenendo conto che scrive a fine Ottocento: l’abbiam ricordato, disquisisce sul divorzio, reso possibile in Italia soltanto nel 1970 (ma il Regno di Napoli sperimentò tale possibilità sin dal 1809), e pure di turismo, guardato con sospetto e malcelato elitismo (“Avellino è una di quelle cittadine sognanti, tranquille e pittoresche, non ancora rovinate dal turismo; non ci sono visite guidate”; “Cosa ne sanno i turisti, condotti in gregge come pecore, di Monte Vergine o di Cibele? Niente, e ancor meno se ne curano, quindi la pacifica Avellino sfugge alle loro deturpazioni, riconoscente di non essere segnalata tra le mete più importanti delle guide”, p. 246).
Venendo agli artisti esplicitamente citati, una Flagellazione di Cristo attribuita a Fra’ Angelico ha un ruolo importante nell’economia della trama, poiché se da una parte richiama le sofferenze alle quali è sottoposto il protagonista, dall’altra indica le ricompense future, qui impersonate dalla giovane Lilla Monti. Un richiamo diretto allo spazio-tempo dell’autrice si ritrova poi nella breve ode che tesse a Luke Fildes (il testo italiano contiene qui un refuso che ne stravolge il cognome in ‘Fields’), che nel 1879 era già membro della Royal Academy e dunque piuttosto celebre: “L’unico uomo ai giorni nostri che, nonostante sia nato nella terra delle nebbie velate e delle nuvole cariche di pioggia, è comunque riuscito a dotare il suo tocco della ricchezza e della lucentezza inesauribili dei radiosi colori italiani” (p. 267), anche grazie al soggiorno veneziano, di cui An Al-Fresco Toilette (1874) è la testimonianza più emblematica.
Da Venezia a Genova, Marie Corelli rammenta un episodio occorso a Heinrich Heine a Palazzo Durazzo di fronte a un dipinto di… Giorgio Barbarelli, che i più stenteranno a riconoscere, se non quando si ricorderà del ben più noto soprannome Giorgione. Fra Quattro e Cinquecento si situa anche l’ultima citazione pittorica di Vendetta!, e se l’accaparra il Correggio, artista presente nella collezione della National Gallery di Londra, fondata nel 1824: “Mi corse incontro con grazia agile, ansiosa come una bambina, il pesante mantello di lussuoso zibellino russo le scendeva dalle spalle mostrando l’avito scintillante e la pelliccia scura del cappuccio aumentava per contrasto il chiarore del suo avvenente volto, tanto da farlo sembrare quello di un angelo di Correggio in una cornice di ebano e velluto” (p. 310). E quest’ultima citazione basti per comprendere la ragione per cui la scrittura di Marie Corelli suonasse, anche all’epoca sua, esageratamente melò.
Marco Enrico Giacomelli
Marie Corelli – Vendetta!
Trad. it. di Monica Meloni
Gargoyle Books, Roma 2011
Pagg. 352, € 15
ISBN 9788889541548
www.gargoylebooks.it
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