I tesori del Museo Egizio di Torino in versione fumetto

Claudio Marinaccio ha esordito lo scorso anno nel mondo del fumetto con la sua prima storia lunga: un diario di bordo ironico e spontaneo sul tema della malattia. Lo abbiamo incontrato, chiedendogli di accompagnarci nel suo museo del cuore: il Museo Egizio di Torino. Ecco la sua guida in formato comics

Dopo il suo esordio con Trentatré raggi ionizzanti, un racconto ironico e spontaneo che ripercorre le fasi della malattia, Claudio Marinaccio (Torino, 1982) ha messo a segno una serie di collaborazioni come vignettista con diverse testate di rilievo nazionale. Lo abbiamo incontrato per conoscere meglio il suo primo libro e la storia che c’è dietro, e insieme a lui abbiamo visitato il Museo Egizio di Torino. Il fumetto, in esclusiva per Artribune, è il primo di una serie di brevi storie dedicate ai più importanti musei del mondo pubblicate settimanalmente sul nostro sito.

Cosa vuol dire per te essere fumettista?
Per me è abbastanza semplice come definizione. Fumettista è chi racconta storie (vere o inventate che siano) attraverso il mezzo fumetto.

Sei uno scrittore e giornalista, prima ancora che fumettista. Mi aiuti a presentarti a chi non ti conosce?
Il tempo verbale giusto per la prima parte è il passato. Ero uno scrittore, ma quella parte di me è morta e sepolta. Le ho fatto anche una sorta di funerale bruciando tutti gli inediti che ancora non avevo pubblicato. Ora faccio fumetti e racconto le mie storie così. Ho fatto un fumetto lungo, o graphic novel se preferisci, e sto collaborando tanto con quotidiani e riviste facendo la mia roba e viaggiando. Sempre con un punto di vista molto personale. E mi diverto tantissimo, al netto di tutto il grandissimo lavoro e la fatica che ci sono dietro.

Al 2016 risale il tuo primo romanzo, Come un pugno. Al 2021 invece il tuo esordio nel mondo della nona arte. Com’è avvenuto il salto dalla scrittura al disegno e, più in generale, come convivono oggi queste due anime nella tua ricerca?
La storia è curiosa e inizia con un fallimento. Una grossa casa editrice mi chiede di farle leggere qualcosa di mio. Mando dei capitoli di un libro a cui stavo lavorando e mi rispondono che il libro è piaciuto ma avevo scelto un tema complesso per il periodo (era appena iniziata la pandemia e io volevo raccontare la mia malattia). Poi mi propongono di fare da ghost writer ad altri autori “che non scrivevano bene come me”, hanno usato proprio testuali parole. Davanti a questo cortocircuito concettuale perdo la brocca e decido di abbandonare per sempre la scrittura, anche in maniera un po’ violenta e brutale. Lasciando anche tutte le collaborazioni con i giornali per cui scrivevo e che mi ero costruito nel tempo.

E quindi hai dirottato sul fumetto…
La sera stessa mi sono messo a disegnare quello che a oggi è il mio primo fumetto lungo. Quella mail di risposta la leggo ogni tanto e mi fa sorridere, perché mi è servita a capire quello che avrei sempre voluto e dovuto fare nella vita. Per trovare la strada giusta mi sono perso un sacco di volte. Però adesso sono sereno, ne è valsa la pena.

© Claudio Marinaccio per Artribune Magazine

© Claudio Marinaccio per Artribune Magazine

IL PRIMO FUMETTO DI CLAUDIO MARINACCIO

Il tuo primo fumetto, Trentatré raggi ionizzanti (pubblicato da Feltrinelli lo scorso anno), indaga e ripercorre con spontaneità l’esperienza durissima della malattia, vissuta (e superata) in prima persona. Me lo racconti?
Il libro parla di quello che ho vissuto a seguito di un sarcoma dei tessuti molli che ho avuto al braccio destro: dalla scoperta casuale all’operazione e alle successive cure. È un tumore rarissimo, è come aver vinto la lotteria, ma al contrario e al posto dei soldi c’è la fine della tua vita. Ma è un libro che fa ridere. Sembra un ossimoro concettuale, ma non lo è. Avevo la necessità di fare uscire questa storia e di raccontarla in quella maniera. Non è una guida: ognuno è libero di affrontare la sua malattia come si sente, senza dover subire il giudizio altrui. Il libro parla della mia esperienza e di cosa è successo, di tutte le situazioni surreali che si sono verificate e di tante cose curiose che mi sono accadute. Alla fine di tratta sempre di vita, solo un po’ più complicata.

È un progetto nato successivamente alla guarigione o intrapreso appena scoperta la malattia?
Il tumore era nel mio braccio destro, mi hanno asportato gran parte del bicipite e se mi fosse venuto qualche anno prima avrebbero dovuto amputarmi il braccio. La mattina dopo l’operazione mi sono svegliato dalla sbornia di un’anestesia totale e potevo muovere perfettamente la mano. Un mezzo miracolo: non potevo sprecare quel dono, quell’opportunità! E così mi sono messo a disegnare “sul serio”. Nel senso che è una cosa che faccio da quando sono bambino, ma lì ho deciso che avrei voluto farlo per davvero e mi sono buttato in un mondo che conoscevo solo da lettore. Il titolo del fumetto mi è venuto in mente il giorno della mia prima radioterapia, mi faceva ridere e poi ho iniziato a disegnarlo pochi giorni dopo la fine di questa terapia in cui avevo il braccio ustionato e facevo una fatica terribile a togliere persino la maglietta. Disegnare mi ha aiutato a buttare fuori da me questa storia, a liberarla. Ora non è più solo mia.

Il fumetto alterna momenti divertenti ad altri di riflessione, senza mai scadere nella retorica del dolore. Si ride, e non poco: come quando con i tuoi cari commenti la notizia del tumore dicendo “che è peggio di quando la Juventus è finita in serie B”.
L’ironia è la mia cifra stilistica. A me piace ridere, far ridere e ridere di tutto – nel contesto giusto si può e si deve fare. In quel periodo facevo battute crudeli sul mio conto e anche con i miei compagni di ospedale abbiamo spesso riso in contesti che abitualmente vengono visti come seri e cupi. Ovviamente non volevo essere retorico, anzi. Ho cercato il più possibile di essere sincero e genuino, nel bene e nel male.

CLAUDIO MARINACCIO TRA MUSICA E FUMETTO

A proposito di Juventus, la storia abbonda di riferimenti alla cultura popolare – forse un modo per rimanere ancorati alla realtà e non lasciarsi sopraffare dai sentimenti più negativi…
La cultura pop, o popolare che dir si voglia, è una parte interessantissima che amo alla stessa maniera della cultura definita alta. Anche se, per me, non c’è questa sostanziale distinzione: fa tutto parte di un grande insieme da cui ognuno attinge quello che è più nelle sue corde. Lo snobismo di alcuni cosiddetti intellettuali nei confronti di ciò che è popolare mi fa ridere.
Rimanendo in tema calcistico, non c’è cultura di serie A o B. Ma non è stata una scelta che ho fatto per scacciare i sentimenti negativi, anzi. Io mi commuovo spesso quando guardo vecchie partite o imprese sportive e non ne capisco benissimo il motivo. Forse mi piace l’idea di tutta la fatica che c’è dietro. E poi i sentimenti stanno dappertutto e, positivi o negativi che siano, arrivano quando gli pare a loro. Anche guardando un cartone animato per bambini. Ovviamente non parlo di Bambi, perché quello fa piangere tutti.

La musica è una costante nel tuo lavoro. Il fumetto è pieno di riferimenti a gruppi musicali e dischi, come Blackstar di David Bowie. Direi che non è un caso.
La musica è parte integrante di tutta la mia vita, una compagna costante che mi affianca tantissimo quando disegno. Anche perché credo che la musica sia l’arte che è più facile da seguire. Che non significa che sia facile farla bene, anzi… Però mentre si ascolta si possono fare altre cose, mentre per altre tipologie di arte serve spesso usare la vista e siamo troppo dipendenti da questo senso per fare altro. In questo momento, nella rivista che ho fondato insieme a Marco Corona e Claudio Calia (si chiama Smoking Cat), sto facendo un fumetto a puntate sul mio rapporto con il rap, parlando con i protagonisti della scena e godendomi concerti strepitosi.

UN OMAGGIO A FUMETTI AL MUSEO EGIZIO

Il fumetto per Artribune, invece, di cosa parla?
Il fumetto fa parte di una miniserie in cui racconterò alcuni musei a cui sono particolarmente legato. Questo su carta è il primo e parla del Museo Egizio di Torino, gli altri usciranno sul sito di Artribune a novembre. Ognuno può essere letto singolarmente, ma uniti faranno capire ancora di più la mia visione dei musei e di cosa significhino. Ci tenevo particolarmente perché sono luoghi strepitosi, dove perdersi, dove nutrirsi di ciò che si vede e anche dove divertirsi e stupirsi. A me piace tantissimo andarci e godermi quel momento.

Perché hai scelto proprio il Museo Egizio di Torino per cominciare questa avventura?
Ho scelto il Museo Egizio perché essendo torinese ho un legame particolare con quel luogo. È un posto che chi viene a Torino deve visitare, perché fa parte delle cose da vedere così come la Mole, il Po e Superga. E poi ho una passione viscerale per i geroglifici: in fondo gli antichi egizi usavano i disegni per comunicare, ed è un concetto molto vicino a quello del fumetto.

Alex Urso

https://www.instagram.com/clamarinaccio

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Alex Urso

Alex Urso

Artista e curatore. Diplomato in Pittura (Accademia di Belle Arti di Brera). Laureato in Lettere Moderne (Università di Macerata, Università di Bologna). Corsi di perfezionamento in Arts and Heritage Management (Università Bocconi) e Arts and Culture Strategy (Università della Pennsylvania).…

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