Tra pittura e filosofia. 3 nuovi libri su Caravaggio, Artemisia Gentileschi e Bill Viola
Una scelta particolare, quella dell’editore Inschibboleth, di inaugurare la nuova collana “La stanza dipinta”, dedicata alla pittura, con due pittori e un videoartista. Dimostrando un approccio insieme retrospettivo e innovativo per una forma d’arte spesso oberata dalla sua stessa storia

L’editore romano Inschibboleth ha presentato di recente, al Teatro Manzoni di Roma, la nuova collana La stanza dipinta. Filosofia e pittura diretta da Giuseppe Di Giacomo e Salvatore Tedesco e di cui ho dato un‘anticipazione, su queste pagine, nel recensire il bel volume di Tedesco su Artemisia Gentileschi. Saluto, dunque, con piacere la scelta dell’editore di inaugurare questa nuova sezione già densa, al suo esordio, di titoli avvincenti. Mi riferisco a Caravaggio. L’eternità dell’istante di Giuseppe di Giacomo; Artemisia Gentileschi. Et lei vederà in effetti questo talento di Salvatore Tedesco e, Bill Viola. Trascendenze digitali, di Alessandro Alfieri.
Una nuova collana dedicata alla pittura
La collana può dirsi, già dal titolo, una vera e propria dichiarazione d’intenti evidente nella scelta esplicita, dei due curatori, di centrare l’interesse sulla pittura, sulla corporeità della pittura, sulla sua materialità e sul suo contrario, ovvero l’immaterialità. Ciò mi appare in tempi di post-Covid un motivo, non solo di curiosità, ma di vero e proprio interesse. A questo si aggiunge, inoltre, il filo comune del continuum temporale che sembra legare, pur nell’autonomia del pensiero e delle scelte, i contributi dei singoli studiosi. Ovvero, partire dalla pittura e da un autore per far parlare l’opera, il vissuto e il confronto tra il tempo di chi l’ha prodotta e lo sguardo del presente sottoponendo, tuttavia, l’intero ragionamento ad un ferreo controllo incrociato tra le fonti e la bibliografia.
“La stanza dipinta” e il concetto di temporalità
La temporalità diventa, dunque, nei volumi dei tre filosofi un percorso di riflessione importante per andare oltre il già detto, oltre quella pur necessaria vulgata che, talvolta, si reitera stancamente nel fare storia dell’arte, producendo pigrizia intellettuale, se non vera e propria entropia e non creando sistema. La sfida, che in questo esordio mi appare vincente, consiste, pur presentando artisti ormai nel canone o comunque antologizzati, nel sollecitare quella che i curatori definiscono come “una messa in questione sempre rinnovata” quando ci accostiamo ad un’opera d’arte.

Caravaggio e la corporeità. Il nuovo volume di Giuseppe Di Giacomo
Potente il punto di vista di Giuseppe Di Giacomo sulla materialità e corporeità presente in alcune opere di Caravaggio. Capolavori dove l’azione è sempre sospesa e la sospensione è, secondo il filosofo, “l’attimo che si dà tra ciò che è sempre accaduto e ciò che sta per accadere”; come nell’Incredulità di san Tommaso di Potsdam. Una riflessione che nel ribadire la modernità del grande artista mi porta, per un percorso di idee mio, personale, alle parole di Jannis Kounellis quando, nel parlare del suo poverismo, della concreta materialità del suo lavoro e dei maestri che avevano ispirato la sua ricerca, citava Pollock, Masaccio e Caravaggio, soffermandosi, proprio, sull’ Incredulità di san Tommaso e sulla potenza immaginifica di quel dito infilato nel costato di Cristo.
Giuseppe di Giacomo, Caravaggio. L’eternità dell’istante
Inschibboleth Edizioni, 2025
pag. 194, €18,00
ISBN 9788855295574
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La decostruzione di Artemisia Gentileschi nel libro di Salvatore Tedesco
Del testo di Tedesco ho già scritto su Artribune ricordando, tuttavia, in questo contesto, come il filosofo smonti uno per uno i falsi primati che accompagnano, da tempo, la narrazione sulla ormai celeberrima artista. Una decostruzione che paradossalmente non “ridimensiona” Artemisia ma ne riconfigura sul fronte pittorico e della personalità l’autorialità. (Ne ho riflettuto nel mio saggio Sull’insegnamento universitario di storia dell’arte contemporanea e le scritture al femminile in: “I problemi della Pedagogia”, gennaio-giugno 2019, n.1, pp. 75-103).
Salvatore Tedesco, Artemisia Gentileschi. Et lei vederà in effetti questo talento
Inschibboleth Edizioni, 2025
pag. 144, € 14,00
ISBN 9788855295444
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Il testo di Alessandro Alfieri su Bill Viola
Infine, ultimo ma non ultimo, in questa alternanza generazionale certo non casuale, il volume di Alfieri; un contributo dinamico, brillante e ricco di spunti utili e preziosi su Bill Viola, il sacro, la percezione del tempo, e il linguaggio della critica d’arte. Una riflessione, quella dello studioso, che incorpora autori fondanti quali, tra i molti citati nel libro, Benjamin, Deleuze, Lyotard, attivando interessanti spostamenti di senso che accendono molte curiosità. Tra queste l’aver centrato l’attenzione su un artista qual è stato Viola che non ha mai dipinto, pur attingendo, per definire e teorizzare il suo Rinascimento tecnologico, alla pittura. Pittura come lingua vitale, come fonte iconografica e, soprattutto, come archivio della memoria. Basti pensare a The Greeting ispirato alla Visitazione di Pontormo. Alla luce di queste considerazioni appare ancora più rilevante e coraggiosa la scelta dei curatori Di Giacomo e Tedesco di collocare il testo di Alfieri all’interno di una collana denominata La stanza dipinta. Una scelta solo apparentemente spiazzante e tutt’altro che stravagante, che io considero apprezzabile, perché nell’affrontare, tramite Viola, il tema cogente della temporalità, dell’eccesso di immagini, della diffusione in forma epigenetica di queste, l’autore entra nel cuore della contemporaneità e di quelle che sono alcune delle tensioni irrisolte del nostro tempo.
Alessandro Alfieri, Bill Viola. Trascendenze digitali
Inschibboleth Edizioni, 2025
pag. 174, € 14,00
ISBN 9788855295451
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Stanze dipinte, tra ieri e oggi
I tre volumi, dunque, s’inseriscono con nuovi apporti nel dibattito attuale, riflettendo, seppur da punti di vista diversi, forse anche sulla scia di Cesare Brandi, sulla contrapposizione tra astanza e flagranza del reale (Cesare Brandi, Teoria della critica, Torino, Einaudi, 1974). Ma al cuore del raffinato quanto colto e ben strutturato progetto editoriale curato da Di Gennaro e Tedesco mi piace intravedere, in forma di analogia, La camera Picta o Camera degli Sposi di Andrea Mantegna e realizzata tra il 1465 e il 1474, a Palazzo Ducale di Mantova. Vero e proprio capolavoro assoluto del Rinascimento La Camera Picta incorpora una concezione unitaria ma al tempo stesso dinamica, in divenire, dell’ambiente dove lo spettatore è al centro di uno spazio in cui prospettiva e ottica coesistono attuando una sorta di interazione/integrazione tra interno ed esterno, tra uomo, natura, mito e storia. La Camera Picta, ritenuta manifesto del Rinascimento, non va certo riletta in funzione attualizzante, ma vista come un’opera che parla al nostro tempo, così come il nostro tempo, per parafrasare Salvatore Tedesco, parla a Mantegna e al suo capolavoro di Palazzo Ducale.
Gabriella De Marco
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