Occorre aprirsi alla complessità del presente attraverso la consapevolezza che la contemporaneità non è solo un’epoca di progressi tecnologici, ma soprattutto è il tempo dei cambiamenti climatici, delle estinzioni di massa, dell’acidificazione degli oceani e di istituzioni educative sempre più tecnocratiche e depoliticizzate che minacciano di eliminare la formazione di saperi, di pratiche critiche e alternative.
Può l’educazione sfuggire alla trappola della strumentalizzazione e contribuire alla trasformazione piuttosto che al mantenimento dello status quo? Si apre con questo interrogativo il volume curato dall’antropologo Peter Sutoris, docente presso l’Università inglese di York.
Educating for the Anthropocene. Schooling and Activism in the Face of Slow Violence è una lettura utile per comprendere cosa significhi educare generazioni di persone le cui decisioni e azioni determineranno l’abitabilità del pianeta e la sopravvivenza degli esseri umani come specie. L’autore articola un discorso profondamente critico del sistema educativo delle moderne società, che sembrano aver smarrito la capacità di elaborare alternative allo status quo, di pensare e agire altri mondi possibili. È proprio questa la sfida del presente e del futuro. L’educazione è fondamentale per rendere praticabile un necessario sforzo di immaginazione radicale.
EDUCAZIONE E ANTROPOCENE NEL LIBRO DI SUTORIS
È interessante notare come nella lingua italiana l’etimologia della parola educazione incorpori questa azione immaginativa e creativa di alternative allo status quo. Infatti, la radice latina è ex ducere che non significa altro che portar fuori, uscire dalla comfort zone per aprirsi a nuove pratiche, a nuove azioni. Per dare corpo a possibili nuove pratiche educative Sutoris ha sviluppato delle ricerche in vari luoghi e territori, in particolare in India e Sudafrica, individuando una modalità educativa che definisce come pluralismo agonistico, in cui gli attivisti/partecipanti pensano con i morti a come immaginare lo sviluppo futuro per i non nati. A guidare la ricerca è l’idea di Hannah Arendt del tutto è possibile, principio che scalza la logica del tutto è permesso nei confini dell’ordine stabilito. Un cambio radicale di paradigma operativo e politico che contrasta con le pratiche quotidiane di apprendimento statale nelle scuole che educano esseri funzionali ai meccanismi del capitalismo estrattivo.
Sebbene le idee di Arendt siano state poco applicate all’educazione e all’ambiente (sono state più influenti nelle scienze politiche), contribuiscono al modo in cui pensiamo all’educazione per l’Antropocene. Le sue idee permettono di riflettere sui parallelismi tra la violenza lenta dell’Antropocene e quella veloce dei regimi totalitari del XX secolo (in particolare il nazismo e lo stalinismo) che Arendt ha analizzato, evidenziando i paesaggi culturali e politici che permettono la violenza nelle società moderne.
AGIRE CONTRO LA VIOLENZA DELL’ANTROPOCENE
Attraverso la lente arendtiana, Sutoris osserva i modi in cui i singoli si impadroniscono della propria agency, della propria capacità d’azione nonostante i venti contrari sistemici che devono affrontare. Il volume ci aiuta a conoscere attivisti che, pur diffidando della scuola, lavorano per costruire ponti con gli educatori nelle scuole. Si tratta di insegnanti anomali che si cimentano nel rischioso compito di mettere attivamente in discussione le strutture postcoloniali e neo-liberali in cui sono costretti a operare. Incontriamo bambini di età compresa tra gli undici e i quattordici anni la cui immaginazione di mondi futuri non è un prodotto diretto né della scuola né dell’attivismo, ma riflette piuttosto una re-immaginazione di elementi del passato che collega mondi passati e futuri. La violenza lenta dell’Antropocene sta tutta nel degrado ambientale che nei luoghi osservati dall’autore è particolarmente evidente e strisciante, condizionando tutti gli aspetti della vita delle comunità che vi abitano. Vivere è questione di decidere come si vive, e al tempo della crisi ecologica queste scelte racchiudono in ogni momento la potenziale possibilità di diramarsi in molteplici direzioni, non necessariamente già esplorate e rassicuranti. Educare al possibile e determinare un cambiamento di rotta ci mette di fronte alla necessità di ricercare sentieri, forse interrotti dall’obsolescenza programmata di una cultura votata all’usa e getta oppure di aprirci all’impensabile. Agiamo comunque, non nell’isolamento antropocentrico, ma in compagnia degli altri, nella mescolanza di tutte le forme di vita e non che formano il pianeta.
Il saggio di Peter Sutoris è uno strumento efficace per comprendere come l’educazione e l’antropologia non siano questioni accademiche come tante altre, ma si definiscono come pratiche culturali, sociali e quindi politiche per rispondere a un’impasse globale.
Marco Petroni
Peter Sutoris – Educating for the Anthropocene. Schooling and Activism in the Face of Slow Violence
The MIT Press, Cambridge (Mass.) 2022
Pagg. 296, $ 40
ISBN 9780262544177
https://mitpress.mit.edu/
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati