La mostra alla Galleria Nazionale di Roma che spiega cos’è l’attivismo estetico

26 artisti da tutto il mondo per una mostra collettiva che sceglie il linguaggio dell’attivismo estetico per sensibilizzare sulle criticità del nostro tempo. Ne abbiamo parlato con Cristiana Collu e col curatore Gerardo Mosquera

Ci pone davanti all’evidenza di un mondo che brucia, martoriato dal galoppante cambiamento climatico e sotto i colpi di onnipresenti conflitti sociali, l’Hot Spot di Mona Hatoum (Hot Spot III, 2009), che dà il titolo alla mostra in scena alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, fino al 26 febbraio 2023. Eppure la scenografica installazione in ferro e neon raffigurante la Terra – che nel Salone Centrale della Galleria dialoga, per contrapposizione, con il pannello glaciale concepito da Pier Paolo Calzolari (Senza titolo, 1991), altra faccia di una stessa medaglia che traduce in immagini evocative la catastrofe ambientale – non vuole essere una dichiarazione di resa, né di introspettiva contemplazione del male che avanza. Anzi, il contrario.

COS’È L’ATTIVISMO ESTETICO

Lo spiegano con chiarezza Cristiana Collu, direttrice del museo, e Gerardo Mosquera, curatore della collettiva che esplicita nel sottotitolo – Caring for a burning world – l’impegno a prendersi cura e a sperare in un futuro migliore, partendo dal contributo che la creatività può portare alla causa: “Prendo in prestito il termine Artivismo, perché ingloba il concetto di attivismo nell’alveo dei meccanismi propri dell’arte, che comunica attraverso la sensibilità, la poesia, il simbolismo. E che chiama chi ne fruisce all’interpretazione” spiega il curatore cubano. “Dato il tema, ho preferito selezionare artisti che recepiscono i problemi del nostro tempo attraverso una sensibilità estetica e un simbolismo marcato, e che attraverso i loro lavori ci spingono a immaginare un futuro diverso, perché elaborano gli elementi della realtà che ci circonda per esprimere la loro creatività e costruire una narrazione fondata sull’arte e sulla poesia”. E di attivismo estetico parla anche Cristiana Collu, che conferma la sintonia con Mosquera, consolidata su collaborazioni passate: “Ho chiesto a Gerardo di ragionare insieme sul presente, perché questo progetto ci aiutasse a capire come un museo può raccontare il momento critico che stiamo affrontando (nell’ambito di un impegno di più ampio respiro assunto dalla Galleria Nazionale, che a dicembre ospiterà anche una giornata di studi sulla sostenibilità, ndr). Trattare temi del genere è difficile, si rischia di privilegiare un approccio documentaristico, che denuncia lasciando indietro l’aspetto poetico e suggestivo dell’arte. Recuperiamo l’incanto e l’immaginazione, attraverso lo sguardo degli artisti. È un messaggio di speranza, il nostro, una visione positiva, sotto la tutela dei Gorilla (le sculture di Davide Rivalta, 2022, ndr) che accolgono i visitatori sulla scalinata d’ingresso, non certo minacciosi, ma protettivi e benevoli”. Perché “l’amore è profondamente politico. Quando capiremo questa verità avverrà la nostra rivoluzione”, continua Collu prendendo in prestito le parole scritte nel 2001 da Bell Hooks.

Glenda Léon, Listening to the Stars III, 2020

Glenda Léon, Listening to the Stars III, 2020

HOT SPOT. LA MOSTRA ALLA GALLERIA NAZIONALE

La mostra, però, è innanzitutto un invito a prendere consapevolezza del presente, “e smettere di negare, perché ogni giorno abbiamo evidenza di ciò che sta succedendo”, incalza Mosquera. Il percorso espositivo svela un mondo composito, riunendo le reazioni di artisti molto diversi tra loro, capaci di immaginare una via per la rinascita, attraverso messaggi non meno urgenti e puntuali di chi affronta le medesime tematiche con piglio militante. Nelle foto di Gideon Mendel, per esempio, la testimonianza della devastazione causata dalle inondazioni che affliggono diversi angoli del pianeta coesiste con la spiccato senso estetico delle composizioni, giustapposte sulla parete a evocare una cronaca sentimentale. Intanto, in sala riecheggia il canto del duo Ibeyi, protagonista del videoclip (River, 2015) che si ripete in loop, alludendo a un legame primordiale e armonioso con la natura, nel canto rivolto al fiume identificato con Ochùn, la dea yoruba dell’acqua dolce. Sulla sfondo, campeggia maestosa su un’intera parete la cosmologia “liquida” (Notti di speranza, 2022) dell’artista brasiliana Sandra Cinto, opera inedita realizzata per la mostra, che individua nell’atto del disegnare un gesto di libertà: “Il disegno è un linguaggio potente, che tutti possiamo tornare a esercitare. Il mio paesaggio notturno invita a sperare, a non arrendersi alla paura. Come artista ho il compito di essere un ponte, di prendere per mano le persone per fargli capire che possono sognare e volare”. Una reazione d’artista alla difficile situazione politica brasiliana, come ribadisce la stessa autrice. Si cammina ancora tra il pianoforte fiorito di Glenda Leòn (Objecto magico encontrado, Roma, 2005-2022), emblema di resilienza, il cavallo agonizzante di Daphne Wright (Stallion, 2009) e i tronchi specchianti di Michelangelo Pistoletto (Cinque tronchi divisione moltiplicazione, 1996), per riflettere sulle relazioni tra presenza umana e ambiente. In totale sono 26 gli artisti coinvolti, provenienti da tutto il mondo e appartenenti a generazioni differenti, da Ida Applebroog (New York, 1929, in mostra con i suoi Angry birds of America) a Rachel Youn (Abington, 1994). Nessuno slogan puntualizza il messaggio. E al cospetto della polisemia dell’arte, qui investita di un potere curativo, non se ne avverte la necessità.

Livia Montagnoli

https://lagallerianazionale.com/

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati