La mostra Documenta è stata davvero qualcosa di diverso

I 100 giorni di Kassel hanno dimostrato che cambiare il sistema dell’arte non è utopia. Basta partire dal concreto e sviluppare un dialogo orizzontale. Finendo per allestire una mostra rivoluzionaria

Nei dibattiti mediatici intorno a documenta 15, c’è un aspetto molto importante dell’evento che risulta quasi assente: il fatto che documenta 15 abbia rappresentato una proposta tangibile offerta ad artisti, curatori e istituzioni artistiche per lavorare in modo diverso. Questa proposta ha suscitato reazioni positive all’interno della scena artistica sia in Germania che a livello internazionale. Quali sono le ragioni di questo entusiasmo? Potrebbe non essere così visibile al di fuori del contesto dell’arte contemporanea, ma molte persone impegnate in questo settore sono sempre più critiche nei confronti del sistema artistico, e in particolare dell’ideologia neoliberista che è alla base del suo funzionamento. Il sistema dell’arte è costruito su strutture e meccanismi derivanti da una particolare configurazione storica, evolutasi insieme alla fase neoliberista del tardo capitalismo, alla quale si lega profondamente. Alcuni degli elementi più problematici dell’attuale sistema dell’arte sono: l’individualismo e la competizione, la mancanza di solidarietà, la proliferazione di burnout, i finanziamenti a breve termine, l’assenza o la contrazione dei fondi strutturali, l’insufficiente riconoscimento per pratiche e lavori le cui temporalità si dilatano oltre il breve periodo e, ancora, una comprensione di facciata della ‘diversità’, obsolete strutture di governance e il culto costante del giovane, del nuovo, del mobile e del flessibile. La delusione e la derivante critica all’attuale sistema dell’arte si traducono raramente in iniziative di più ampio respiro, volte a un reale cambiamento. Sembra esserci una percezione diffusa che non esista una reale alternativa allo status quo. Abbiamo chiamato questa situazione “capitalist art realism”, parafrasando l’espressione “capitalist realism” coniata da Mark Fisher. In questo contesto, documenta 15 ha rappresentato una proposta davvero unica, su larga scala, per creare un modello diverso per il mondo dell’arte. Documenta 15 non solo ci ha offerto l’occasione per immaginare un’alternativa a questo sistema, ma ci ha anche dimostrato come sia possibile costruirla.

documenta fifteen. The Nest Collective, Return To Sender, 2022, installation view, Karlswiese (Karlsaue), Kassel, 2022. Photo Nils Klinger

documenta fifteen. The Nest Collective, Return To Sender, 2022, installation view, Karlswiese (Karlsaue), Kassel, 2022. Photo Nils Klinger

UN NUOVO VOCABOLARIO PER IL SISTEMA DELL’ARTE

Tale nuova proposta affonda le sue radici nel linguaggio usato in documenta 15 per descrivere i suoi contenuti e programmi. L’attuale sistema dell’arte è costruito su un vocabolario che si ispira all’ethos del tardo capitalismo: le mostre sono “progetti”, gli artisti sono “produttori” o “creatori”, i visitatori “clienti”, “utenti”, o persino “consumatori”. Il sistema attuale dell’arte ruota intorno a “domande di finanziamento”, “risultati misurabili”, “deadline” e “dichiarazioni d’artista”. Siamo così immersi in questa terminologia che non riusciamo più a vedere come le sue componenti ideologiche influenzino le strutture e le condizioni in cui artisti e altri art worker operano. Ormai, il fatto che pratiche artistiche e curatoriali siano sviluppate e valutate sulla base di una serie di ‘progetti’ non desta alcuna meraviglia. Che dire delle attività che per loro natura non sono riducibili a una concatenazione di attività e obiettivi da raggiungere? Che dire delle attività che resistono a ‘timeline’ con un inizio e una fine? Documenta 15 ha coraggiosamente e poeticamente sostituito questi termini con concetti come lumbung, nongkrong o harvest. Molti di questi termini si rifanno al mondo rurale o alla sfera domestica, opponendosi a divisioni settoriali, tra cultura elevata e cultura popolare, pubblico e domestico, o alle ormai fin troppo comuni divisioni tra risorse/produttori/consumatori.

documenta 15. lumbung Kios. Photo Marco Enrico Giacomelli

documenta 15. lumbung Kios. Photo Marco Enrico Giacomelli

IL CONCETTO DI LUMBUNG

Documenta 15 potrebbe essere ribattezzata ‘lumbung n.1′. Lumbung è stato un concetto e un principio chiave in questa edizione. Come la maggioranza ormai saprà, lumbung è un termine indonesiano che indica il granaio del riso, un deposito comune in cui il raccolto di una stagione viene conservato e gestito in modo collettivo per il bene (comune) della comunità. Nel contesto di documenta 15, abbracciare il lumbung come ethos e modello organizzativo ha significato spostare l’attenzione dall’individuo alla collettività, dai famosi 100 giorni di mostra a quello che accade oltre i giorni di Kassel. Ha significato pensare ai diversi tipi di risorse che ciascuno porta alla comunità (denaro, tempo, ma anche immaginazione, competenze, conoscenza, empatia, solidarietà…) e a come queste risorse possano essere condivise in modo equo al fine di avvantaggiare i membri di una comunità nel lungo termine. Significa tradurre i concetti di commons e di commoning nei meccanismi di un grande evento artistico internazionale.
Al centro di questo modello alternativo c’è un insieme di valori che si ispirano a queste idee, valori emersi dalle esperienze e dalle conversazioni di ruangrupa, del team artistico e degli altri artisti del lumbung. Questi valori sono: generosità, curiosità, umorismo, essere ancorati localmente, trasparenza, rigenerazione, autosufficienza, indipendenza e resistenza.
Aderire a questi valori nel contesto di documenta 15 ha significato per i curatori, per il team artistico e per l’intero ecosistema del lumbung formulare e sviluppare una serie di alternative pratiche e metodi speculativi per ripensare il funzionamento del settore dell’arte. Le pratiche sviluppate in documenta 15 non devono essere intese come dei modelli finiti e pronti per essere implementati in altri contesti. Quello iniziato con documenta 15 è un percorso che affonda le proprie radici nelle pratiche dei collettivi artistici del sud globale, si sviluppa e prende nuove forme nei cinque anni di preparazione di documenta 15 e, ora che la mostra è conclusa, continua a crescere, evolvendosi nei contesti fortemente localizzati e allo stesso tempo interconnessi dei membri del lumbung.

documenta 15. Archives des luttes des femmes en Algérie. Photo Hichem Merouche

documenta 15. Archives des luttes des femmes en Algérie. Photo Hichem Merouche

LA CURATELA DECENTRALIZZATA

La natura processuale e propositiva di questa documenta ha avuto importanti implicazioni sull’esperienza dei più di 738mila visitatori che sono transitati per Kassel quest’estate. Documenta 15 ha compreso più di 1500 collettivi e artisti i quali sono stati invitati a Kassel ‘per continuare a fare quello che facevano nei loro contesti’. Un simile invito ha lasciato loro la libertà di decidere cosa realizzare nell’ambito della mostra e come spendere il budget a loro assegnato. Questo approccio curatoriale riflette una trasformazione attualmente in corso nel mondo dell’arte: è sempre più comune al giorno d’oggi che alcuni professionisti della cultura smettano di chiamarsi ‘curatori’ e preferiscano formule come ‘facilitatori’ o ‘cultural worker’. Queste scelte mostrano un certo malessere nel definirsi attraverso formule che alimentano tradizionali rapporti di potere, tra curatori e artisti, direttori e impiegati. Nuove espressioni come quelle sopra citate manifestano un desiderio di rapporti più equi, nei quali le parti possano contribuire in eguale misura a definire i principi di una collaborazione e a formulare i programmi da realizzare. L’attuazione di tali modelli democratici, all’interno delle istituzioni artistiche, non significa necessariamente un ripensamento completo dei loro sistemi di funzionamento. Anche piccoli cambiamenti, come l’introduzione di organi rappresentativi dei lavoratori all’interno di musei o accademie, possono essere un passo in questa direzione. Simili ridefinizioni dell’autorità curatoriale si incontrano già nelle precedenti edizioni, in particolare ricordiamo documenta 11 di Okwui Enwezor, in cui cinque piattaforme dislocate sui cinque continenti hanno indagato la cultura contemporanea nelle sue complesse relazioni con più ampi sistemi di conoscenza. Quello che è nuovo in documenta 15 è l’approccio radicale adottato da ruangrupa. Attraverso un sistema di assemblee, chiamate majelis, ruangrupa ha condiviso il proprio percorso curatoriale, invitando il team artistico, gli artisti lumbung e i membri lumbung a diventarne parte. Come si è presto reso evidente, una tale scelta non è stata né priva di rischi né di conseguenze. Uno degli elementi fondamentali per realizzare un approccio curatoriale decentralizzato in un contesto come quello di questa documenta, coinvolgendo artisti e collettivi provenienti da contesti molto diversi e in tempi di pandemia globale, è la creazione di un’atmosfera di fiducia e trasparenza. Uno degli strumenti attraverso cui è stata alimentata quest’atmosfera, durante i 100 giorni di documenta e nei mesi precedenti a essa, è stato l’utilizzo di un sistema di mini-majelis: piccole assemblee composte da cinque/sette collettivi artistici. I collettivi di ciascun mini-majelis si sono incontrati regolarmente durante l’intero periodo di preparazione, per conoscersi e scambiarsi esperienze, idee e pensieri riguardo al percorso che stavano intraprendendo. In aggiunta al budget di produzione ricevuto da ciascun collettivo, i membri di ogni mini-majelis hanno ricevuto un ulteriore budget di produzione da ridistribuire o da gestire collettivamente per realizzare un progetto comune.

documenta fifteen. Dan Perjovschi, Rainer Dierichs Platz, Kassel, 2022. Photo Frank Sperling

documenta fifteen. Dan Perjovschi, Rainer Dierichs Platz, Kassel, 2022. Photo Frank Sperling

NONGKRONG: DOV’È L’ARTE?

Documenta 15 presenta pratiche artistiche che affondano le proprie radici nella vita, in tutte le sue molteplici forme e significati. “L’arte è radicata nella vita“, si legge nel catalogo, e, in quanto tale, può diventare un luogo e un tempo in cui la vita prospera liberata dai vincoli imposti dal regime neoliberista dell’arte. Durante i 100 giorni di documenta 15, il pubblico ha potuto sperimentare sessioni di cucina, workshop, discussioni, lezioni di musica, panel politici e molto altro. Sarebbe stato interessante, quest’estate, iniziare la visita di documenta guardando il programma degli eventi dei giorni, piuttosto che la cartina delle sedi, impegnandosi in marce forzate per ‘vedere tutto’. Un simile approccio avrebbe permesso di partecipare alle conversazioni più diverse, di stringere nuove amicizie, di addentrarsi nelle atmosfere vibranti e informali create dai vari collettivi artistici. Per utilizzare il vocabolario di documenta 15, sarebbe stato interessante provare il nongkrong, piuttosto che visitare la mostra. Nongkrong, che in indonesiano indica l’atto di trascorrere del tempo in relax con degli amici, è una pratica intrinsecamente anti-gerarchica e inclusiva. Crea situazioni ideali in cui nuove creazioni e idee possono emergere spontaneamente in una dimensione temporale considerata “improduttiva” secondo il paradigma neoliberista.
Il concetto di nonkrong è particolarmente interessante in tempi critici come quelli che stiamo vivendo, in cui crescono sempre più appelli alla necessità di re-imparare e di dis-imparare le modalità con cui ci relazioniamo ai molteplici mondi che ci circondano.
Una mostra come quella di documenta 15, ispirata all’idea di nonkrong, potrebbe aver suscitato un certo disagio e disorientamento in alcuni visitatori. Alcuni artisti invitati a documenta o coinvolti nel processo di harvesting (documentazione) hanno riflettuto con ironia e humour su quest’esperienza di spaesamento, come emerge da un gruppo di lavoro di documenta 15 intitolato ‘Where is the Art?’ e dai meme dell’account Instagram @freezemagazine (conosciuti anche come @cem_____a). Ma questa frustrazione e spaesamento sono veramente motivati? Se pensiamo alla storia dell’arte occidentale, non abbiamo avuto molti collettivi d’arte attivi nella storia delle avanguardie? Non abbiamo avuto il movimento Fluxus, che già negli Anni Sessanta sperimentava la dissoluzione dei confini tra vita e arte? Non abbiamo già incontrato l’estetica relazionale, l’activist art e la socially-engaged art? Ciò che è veramente nuovo e radicale in documenta 15 è che, per la prima volta, abbiamo visto queste idee tradotte sulla scala di uno degli eventi più importanti del mondo dell’arte contemporanea. Crediamo che tale trasposizione di pratiche su larga scala continui i discorsi dei movimenti appena citati, sviluppandoli ulteriormente.
Molte delle pratiche artistiche di documenta 15 ridefiniscono profondamente ruoli, posizioni e forme dell’opera d’arte, dell’artista, del pubblico, della mostra e dell’istituzione. Utilizzare gli spazi dell’arte per conversare e cucinare insieme o per creare una stamperia collettiva (Britto Art Trust) non ha semplicemente aperto i confini del white cube, li ha dissolti, permettendo alla vita reale nelle sue molteplici sfaccettature di reclamare i suoi spazi. Se pensiamo al potere trasformativo dell’esperienza estetica, se ci impegniamo nel non facile esercizio di re-learning, il disagio e il disorientamento percepiti durante la visita di documenta 15 potrebbero trasformarsi in un’esperienza di gioia, comunanza, e, possibilmente, di ispirazione duratura.

Documenta 15 ruruKids

Documenta 15 ruruKids

ASSISTENZA ALL’INFANZIA E ACCESSIBILITÀ

Un altro elemento di documenta 15 che potrebbe aver suscitato la sorpresa dei visitatori all’ingresso della sede che storicamente rappresentava il centro di tutta la mostra, il museo Fridericianum, è stato l’opera Public Daycare di Graziela Kunsch. Aperto dalle 10 alle 17, questo spazio consisteva in una struttura di accoglienza per bambini di età compresa tra 0 e 3 anni. Sviluppata in collaborazione con una residente locale, Elke Avenarius, la struttura offriva ambienti per giocare, fare foto e video, o perdersi in una biblioteca per l’infanzia. Posizionare un simile progetto in una sede così centrale di documenta è uno statement che richiama l’attenzione sulla necessità di ripensare alle condizioni che rendono possibile il lavoro artistico, al di là del sostegno alla realizzazione del singolo progetto. L’istituzione artistica non è più solo lo spazio in cui supportare ed esporre opere d’arte, ma diventa anche un luogo in cui riflettere sulle condizioni che rendono possibile e accessibile la creazione artistica.
Le giovani famiglie sono ad esempio una categoria particolarmente discriminata nel settore dell’arte. Le istituzioni artistiche, come ad esempio le residenze per gli artisti, raramente sono adeguate alle esigenze delle famiglie. In Germania, nel contesto in cui è stata realizzata documenta 15, una madre invitata da un’istituzione a realizzare una ricerca, una nuova opera o una mostra difficilmente riuscirà a farsi rimborsare le spese di viaggio del partner, nonostante queste siano necessarie per la realizzazione della commissione. Il tema dell’accessibilità, tanto degli spazi fisici che di quelli digitali, è sviluppato anche con un riguardo a visitatori neuro-diversi o al pubblico diversamente abile. L’ architettura stessa della mostra è stata progettata pensando alle diverse necessità: tutte le sedi disponevano di rampe o ascensori, divani e diversi tipi di sedute, e persino la guida alla mostra e il sito web sono stati prodotti anche nella versione ‘easy-read’. Il sito presenta anche una traduzione in linguaggio internazionale dei segni, proposto anche nei contenuti dei video introduttivi sparsi in diverse sedi della mostra. Mappe di accessibilità, disponibili in tutte le sedi, aiutavano a identificare rampe, ascensori e altri supporti per l’accessibilità, mentre diverse ‘zone tranquille’ offrivano ai visitatori più sensibili un luogo in cui godere di ‘una pausa nel corso della propria visita’.

Joseph Beuys, 7000 querce, Documenta VII, Kassel, 1982

Joseph Beuys, 7000 querce, Documenta VII, Kassel, 1982

DOCUMENTA KASSEL OLTRE IL WHITE CUBE

Un altro aspetto di documenta 15 che riflette dinamiche più ampie del mondo dell’arte riguarda il processo di trasformazione del ruolo degli artisti. Se l’arte è radicata nella vita, gli artisti smettono di essere individui isolati nelle loro torri d’avorio o galleggianti in un mondo sospeso. Come si è potuto percepire in documenta 15, oggi gli artisti sono radicati nei problemi materiali per la sopravvivenza umana e non.
Il collettivo indonesiano Jatiwangi Art Factory, ad esempio, è entrato nell’ambito del policy-making, lanciando l’iniziativa New Rural Agenda in risposta alla New Urban Agenda delle Nazioni Unite. La New Rural Agenda s’impegna a promuovere dibattiti multi-specie sul tema della rivendicazione delle terre e rigenerazione del suolo. Con quest’iniziativa, il collettivo Jatiwangi Art Factory è stato persino invitato a partecipare al prossimo vertice del G20 che si terrà in Indonesia nel novembre 2022.
Gli artisti di documenta 15 sono educatori, cuochi, apicoltori, maestri, decisori politici, economisti. Superando i confini ideologici del white cube, si sono immersi nella complessità di alcune delle più pressanti sfide di questi anni. È loro intenzione superare la critica decostruttivista e contribuire offrendo soluzioni (o almeno miglioramenti) concreti; e documenta 15 ha offerto loro lo spazio, il tempo e le risorse per farlo. Queste nuove dinamiche stanno permettendo all’institutional critique di trovare una strategia di uscita dal cul-de-sac in cui è finita. Invece di avanzare una critica che sarà eventualmente assorbita dal sistema oggetto della critica stessa, i membri e gli artisti del lumbung si impegnano direttamente nella formulazione di alternative concrete alle loro realtà. Di nuovo, sicuramente questa non è la prima volta che incontriamo simili convergenze di politica ed estetica nella storia di documenta, e più in generale dell’arte. Pensiamo alle canoniche querce piantate da Joseph Beuys in collaborazione con la comunità di Kassel in occasione di documenta 7, o alla più recente opera Carved to Flow di Otobong Nkanga per documenta 14, che ha creato sistemi rigenerativi di produzione e distribuzione tra Kassel, Atene e Akwa Ibom. In dialogo più o meno diretto con questi e altri precedenti, documenta 15 ha presentato una serie di proposte, alcune speculative e altre più concrete, per ripensare in modo più sostenibile ed equo le nostre realtà interconnesse.

documenta fifteen, Asia Art Archive, The Black Archive, 2022, installation view, Fridericianum, Kassel, 2022. Photo Frank Sperling

documenta fifteen, Asia Art Archive, The Black Archive, 2022, installation view, Fridericianum, Kassel, 2022. Photo Frank Sperling

THE COMMON POT O LA CASSA COMUNE

Come potrebbe aver notato qualche visitatore con un background in economia, molti sono stati i concetti economici emersi durante la mostra: surplus, valori di scambio, risorse, redistribuzione. Trasportare i valori promossi dalla pratica del lumbung nei meccanismi di un’istituzione come documenta ha significato anche riflettere sulle reciprocità tra modelli economici e il sistema dell’arte: quali economie supportano pratiche artistiche e quali modelli economici emergono o vengono alimentati da tali pratiche? Nel contesto di documenta 15, esiste un gruppo di lavoro chiamato Lumbung Economy che mira a creare un’economia dell’arte alternativa, ispirata a pratiche economiche indigene come il lumbung indonesiano, il Buen Vivir del Centro e Sud America e il Maaya del Mali. Attraverso processi di governance e decision-making orizzontali, i membri di questo gruppo di lavoro hanno creato diversi sistemi per liberare e condividere risorse, intese come tempo e denaro, ma anche come conoscenze, creatività, e forme di solidarietà. Tali modelli economici alternativi sono nati da conversazioni aperte e inclusive a cui sono stati invitati diversi ospiti, tra cui ricercatori, community leader, avvocati, economisti. Il gruppo di lavoro, tuttora esistente, è composto da quattro sotto-gruppi: lumbung Kios, lumbung Currency, lumbung Land (a cui partecipa Jatiwangi Art Factory), lumbung Gallery. La lumbung Gallery, in particolare, è un tentativo di ripensare il modello convenzionale della galleria d’arte, basato su valori come il guadagno individuale, la speculazione, la mercificazione dell’arte, reinterpretandolo secondo il sistema di valori del lumbung. I prezzi delle opere d’arte sono calcolati in base ai bisogni primari e redditi di base, a cui vengono sommate altre variabili materiali, come i costi di produzione. Reinterpretando forme organizzative tipiche delle cooperative, la lumbung Gallery implementa un modello di ‘transvestment’, in cui il capitale e le entrate vengono ridistribuiti all’interno della comunità, depositando parte delle vendite in una ‘cassa comune’. La gestione di questa cassa comune, così come il funzionamento della lumbung Gallery, è organizzata attraverso assemblee e altri meccanismi di governance collettiva che garantiscono una comunicazione aperta e trasparente. Tale esperimento economico è stato sviluppato in collaborazione con The Artists, una piattaforma non profit in cui un gruppo altamente qualificato di avvocati, art manager, curatori e altri esperti d’arte sperimenta nuove possibilità d’iterazione tra comunità artistica e mercato dell’arte.

Documenta 15 The Nest Collective_1

Documenta 15 The Nest Collective

CAMBIARE IL SISTEMA DELL’ARTE

Creare le basi per un cambiamento sistemico non è un compito né facile né immediato. Affinché il cambiamento sia strutturale, deve coinvolgere tutti i nodi del sistema ‒ le strutture organizzative, le strutture di finanziamento, le scuole d’arte – e, come spesso accade, questo crea forti tensioni tra chi lavora per il cambiamento e l’ambiente istituzionale conservatore. A fronte di queste tensioni, non bisogna però rassegnarsi e pensare che ogni tentativo sia inutile. L’unica possibile via per superare l’impasse è affrontare queste tensioni, trovare modi per affrontare i problemi in modo collettivo e solidale, e mantenere alta l’energia all’interno della comunità artistica progressista. Come è anche necessario mantenere vivo un esame critico e costruttivo delle idee progressiste proposte.
Senza pretendere di essere modelli finiti o perfettamente applicabili in qualunque contesto, le idee qui discusse dimostrano che un’alternativa al sistema dell’arte neoliberista è possibile. Finalmente qualcuno (e probabilmente non dobbiamo stupirci che si tratti di un collettivo di art worker del Sud Globale) ha avuto il coraggio di sperimentare questa alternativa. È compito di tutti coloro che sono insoddisfatti dell’attuale sistema dell’arte analizzarli, adattarli ai propri contesti e continuare a sperimentare in un’ottica di cambiamento. Solo così sapremo se il “capitalist art realism” può essere superato. Questo è il lascito del Lumbung n. 1, e non vediamo l’ora di scoprire i prossimi.

Aneta Rostkowska e Giulia Bellinetti

La versione originale dell’articolo è stata pubblicata il 23 settembre 2022 su Metropolis M

https://documenta-fifteen.de/

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