Rimandata Philip Guston: Now al 2024. Incriminate le figure che evocano il KKK nei dipinti

La mostra, che avrebbe dovuto tenersi a Boston, Houston, Washington DC e Londra, si terrà tra quattro anni. Secondo i direttori delle istituzioni ospitanti il clima storico attuale non sarebbe adatto ad ospitare la grande retrospettiva dell’artista

A mandarin pretending to be a stumblebum. Così nel 1970 il critico d’arte Hilton Kramer definiva il noto pittore Philip Guston in una recensione sul New York Times in occasione della mostra alla Marlborough Gallery che segnò una svolta nell’arte dell’artista riportandolo, non senza poche critiche, alla figurazione. Guston, l’artista che amava l’Italia, e che Venezia ha celebrato con una mostra alle Gallerie dell’Accademia nel 2017, con la sua pittura enigmatica ed esistenziale è al centro, a quarant’anni dalla sua morte, di una querelle che sta scaldando il mondo culturale anglosassone. Come riportano infatti Artforum e il New York Times il 2020 avrebbe dovuto essere l’anno di una importante esposizione sull’artista, divisa tra Boston, Houston, Washington DC e Londra dedicata al maestro (al secolo Philip Goldstein) nato a Montreal nel 1913 da una famiglia di ebrei ucraini in fuga da Odessa.

PHILIP GUSTON: NOW RIMANDATA AL 2024

Ma questa volta non è stato il Covid a cancellare l’evento che si sarebbe dovuto tenere in quattro musei (la National Gallery of Art di Washington DC, il Museum of Fine Arts di Boston, il Museum of Fine Arts di Houston e la Tate Modern di Londra), bensì una decisione dei direttori delle rispettive istituzioni, che avrebbero posticipato il tutto di quattro anni, al 2024. Motivo? Nelle opere di Guston, soprattutto nei suoi lavori più tardi, ricorre la presenza di figure incappucciate che richiamerebbero dichiaratamente ai suprematisti del Ku Klux Klan. Si tratta di opere tarde del maestro scomparso nel 1980: tra queste The Studio, che gli spettatori della mostra di Venezia hanno potuto vedere alle Gallerie dell’Accademia nel 2017. Come è noto gli Stati Uniti e l’Europa stanno attraverso un periodo di forti tensioni, di scontri e di opportune riflessioni a seguito dei fatti che hanno sconvolto l’America intera dopo l’uccisione di George Floyd. Una ondata di indignazione ha scosso il mondo occidentale generando manifestazioni, dissenso e la riconsiderazione di simboli e icone di un passato che pone la storia sotto la lente dello sguardo dell’uomo bianco. Riflessioni, peraltro, che si sono allargate alle tematiche di genere e che hanno coinvolto i movimenti MeToo e LGBTQ (In Italia il dibattito ha per esempio riguardato la ormai arcinota statua milanese di Indro Montanelli). È in questa cornice che si sarebbe sviluppata la decisione di rimandare la mostra Philip Guston: Now, nata cinque anni orsono in una dimensione storica ben diversa, secondo i direttori. Il clima pertanto non sarebbe quello giusto e non permetterebbe agli spettatori di valutare il lavoro con la giusta distanza.

PHILIP GUSTON NOW: LE RAGIONI DELLE ISTITUZIONI

Naturalmente la decisione ha scatenato le critiche di storici e critici d’arte che avrebbero, secondo Artforum, accusato i musei di tradire la propria funzione, sottraendosi al dibattito necessario su questi temi. Peraltro secondo molti le opere incriminate, stando anche alle origini dell’artista che avrebbe sofferto le privazioni e i dolori derivanti dall’ignoranza e dal razzismo, sarebbero state concepite come atti di denucia. Il critico Robert Storr avrebbe parlato di una scelta paternalista, mentre la figlia di Guston (sopra l’intero testo) Musa Meyer avrebbe espresso tutto il proprio rammarico. In una nota congiunta i quattro direttori Kaywin Feldman della National Gallery di Washington, Frances Morris, direttrice della Tate Modern, Matthew Teitelbaum, alla guida del Museum of Fine Arts, Boston Gary Tinterow, del Museum of Fine Arts, Houston, hanno dichiarato:“dopo molte riflessioni e ampie consultazioni, le nostre quattro istituzioni hanno deciso congiuntamente di ritardare la mostra Philip Guston Now. La rimandiamo fino a quando pensiamo che il potente messaggio di giustizia sociale e razziale che è al centro del lavoro di Philip Guston possa essere interpretato più chiaramente. Riconosciamo che il mondo in cui viviamo è molto diverso da quello in cui abbiamo iniziato a collaborare per la prima volta a questo progetto cinque anni fa. Il movimento per la giustizia razziale che ha avuto inizio negli Stati Uniti e si è diffuso in tutto il mondo – oltre alle sfide di una crisi sanitaria globale – ci ha portato a fare una pausa. In qualità di direttori di musei, abbiamo la responsabilità di soddisfare le urgenze reali del momento. Riteniamo necessario riformulare la nostra programmazione e, in questo caso, fare un passo indietro e introdurre ulteriori prospettive e voci per modellare il modo in cui presentiamo il lavoro di Guston al nostro pubblico. Questo processo richiederà tempo. Collettivamente e individualmente, restiamo fedeli a Philip Guston e al suo lavoro. Abbiamo in programma di ricostruire la retrospettiva con il tempo per riconsiderare le molte questioni importanti che il lavoro solleva”.Artribune ospiterà una riflessione di Peter Benson Miller sull’argomento.

Santa Nastro

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Santa Nastro

Santa Nastro è nata a Napoli nel 1981. Laureata in Storia dell'Arte presso l'Università di Bologna con una tesi su Francesco Arcangeli, è critico d'arte, giornalista e comunicatore. Attualmente è vicedirettore di Artribune. È Responsabile della Comunicazione di FMAV Fondazione…

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