Conosciuta all’estero più per le sue bellezze naturalistiche che per il suo patrimonio culturale, la Norvegia investe in cultura e crede nell’arte.
In linea generale le opportunità in Norvegia non mancano, è un Paese ricco, con una buona qualità della vita, e ai norvegesi va riconosciuto il merito di saper mantenere una certa semplicità, strategia vincente per restare degli esseri umani ottimisti in questo mondo che va un po’ alla rovescia. E anche se non mancano le contraddizioni a tanti livelli, per esempio di fronte alla conservazione dei beni culturali e architettonici (vedi l’attuale indicazione per la demolizione dell’Y-blokka, edificio disegnato dall’architetto Erling Viksjø e decorato da Carl Nesjar e Pablo Picasso), si ha la netta sensazione che il Paese stia mettendo non soltanto le persone, le famiglie, i giovani e i bambini nella condizione di riprendersi dalla crisi innescata dal COVID-19, ma che stia riconoscendo anche alla cultura, all’arte e alla creatività l’importanza strategica che queste dovrebbero ricoprire in una società avanzata.
Sono cifre significative quelle che la Norvegia ha stanziato a supporto di cultura, sport e volontariato per fronteggiare la crisi di questo 2020 ostico e bisesto. Parliamo di circa 1,8 miliardi di Corone messe a disposizione dal Ministero della Cultura in un pacchetto di aiuti straordinari per il settore della creatività. Nello specifico, oltre alle borse di studio destinate a sostenere economicamente il lavoro di musicisti, scrittori e artisti, 650 milioni di Corone sono andate a supporto delle istituzioni culturali del Paese come i musei finanziati con fondi pubblici e le istituzioni musicali e teatrali.
L’azione concreta con cui si sono esposte le istituzioni norvegesi attraverso gli aiuti economici alla cultura è la conseguenza naturale della consapevolezza del Governo che al mondo della creatività debba spettare indipendenza economica e che agli artisti occorra un supporto per produrre in modo libero senza dipendere dal mercato dell’arte, visto che si tratta di soggetti professionalmente vulnerabili con un reddito instabile. E dove, purtroppo molte altre realtà si sono trovate escluse dagli aiuti, come nel caso delle gallerie, ad esempio, si sono attivate con aiuti straordinari altre istituzioni. Per citarne soltanto un paio, Nasjonalmuseet e Fritt Ord.
Il museo nazionale si è dotato di un budget straordinario di 30 milioni di Corone a supporto della creatività norvegese da destinare a nuove acquisizioni. L’intero budget verrà utilizzato nel corso del 2020 per acquistare direttamente dalle gallerie e da altri centri di produzione artistica opere d’arte, oggetti legati alle arti applicate e al design realizzati da artisti norvegesi.
A garanzia di una continuità e vivacità del dibattito in ambito culturale, artistico e sociale, si è mossa, invece, Fritt Ord, la fondazione che ha come scopo statutario quello di promuovere e supportare la libertà di espressione, le arti e il dibattito pubblico su temi d’interesse culturale. Con un extra budget di 40 milioni di Corone, Fritt Ord sta supportando progetti digitali di mediazione e comunicazione per la diffusione online di contenuti culturali, supportando di fatto gallerie private e altre realtà minori escluse da sostegni pubblici legati alla crisi innescata dal COVID-19.
Attraverso quattro interviste realizzate a Oslo ad altrettante donne che lavorano con e per l’arte, proviamo a riportare l’esempio di come le realtà culturali norvegesi stiano reagendo con ottimismo e sensibilità di fronte alla spiazzante condizione con cui la pandemia ha ridisegnato le nostre vite.
‒ Maria-Elena Putz
MARIANNE REVE, COORDINATRICE DIDATTICA, ASTRUP FEARNLEY MUSEET, OSLO
L’Astrup Fearnley Museet di Oslo è uno dei maggiori musei in Norvegia dedicati all’arte contemporanea internazionale, con proposte di mediazione e didattica pensate per diverse tipologie di pubblico: bambini, giovani, adulti. Qual è il metodo didattico che ha guidato le vostre proposte fino a oggi?
Le nostre attività didattiche e di mediazione si pongono nel segno del dialogo con il visitatore. Hanno l’obiettivo di creare interesse intorno all’arte contemporanea, nonché di aiutare i visitatori a relazionarla con le proprie esperienze stimolando riflessioni personali, per costruire, comprendere e difendere opinioni diverse.
Centrale, tra i progetti, Plot / Oslo, un “art club” per i giovani tra i 15 e i 25 anni, sviluppato insieme a Nasjonalmuseet e Kunstneres Hus, con l’obiettivo di coinvolgere i ragazzi aprendo a un confronto con l’arte contemporanea attraverso workshop, corsi e proiezioni video.
Come hai vissuto questo periodo così insolito e come vedi il futuro della didattica museale?
Mi occupo di mediazione e didattica presso l’Astrup Fearnley Museet da oltre 10 anni, ma sono passata al ruolo di coordinatrice pochi giorni prima che venisse confermata la chiusura dei musei nel Paese a causa dell’epidemia da COVID-19. Ho dovuto imparare, agire e reagire in tempo reale e questo mi ha permesso di testare diverse proposte digitali rivolte al nostro pubblico. Il 16 giugno il museo ha riaperto e vedremo passo dopo passo quali proposte digitali continuare a offrire e quali, invece, saremo in grado di organizzare in sede. L’essenziale, per il momento, è garantire la massima sicurezza ai visitatori che vorranno ricominciare a frequentare il museo.
Quali proposte virtuali hai ideato per il pubblico del museo nei mesi di chiusura degli spazi espositivi?
Ci siamo rivolti ai più piccoli attraverso dei video tematici digitali a partire dalle opere esposte all’interno mostra Alpha Crucis sull’arte africana contemporanea. Prendendo spunto dalle opere, abbiamo quindi impostato delle attività laboratoriali che potessero essere svolte a casa autonomamente in un secondo momento.
Il pubblico adulto, invece, dal quale abbiamo ricevuto un riscontro molto positivo, ha potuto seguirci attraverso diverse proposte. Percorsi più tradizionali come i live-streaming alle mostre, all’architettura museale e alla collezione permanente sono stati accompagnati da nuovi format: il Lunedì meditativo, con file audio che prevedevano esercizi di meditazione della durata di 5’ di fronte a un’opera d’arte, On the inside in cui abbiamo accompagnato virtualmente il nostro pubblico dietro le quinte per raccontare il lavoro di diversi professionisti museali, come il conservatore o il direttore del museo. Infine, abbiamo proposto Opere scelte, dove diverse persone che gravitano attorno al mondo della cultura hanno raccontato, sotto forma di articolo, riflessioni e approfondimenti personali sulle opere scelte dalla collezione permanente. Un’esperienza coinvolgente e molto interessante!
L’offerta digitale è un aspetto inedito nel tuo lavoro o utilizzavi questi strumenti anche prima dell’emergenza? E quali sono a tuo parere i punti di forza e di debolezza del passaggio al virtuale?
La comunicazione e l’uso di strumenti digitali per ottimizzare la visita al museo sono aspetti con cui ci confrontiamo da molti anni all’Astrup Fearnley Museet. Tuttavia, la chiusura del museo in relazione al COVID-19 ha imposto nuove priorità, come lo sviluppo di nuovi contenuti e proposte digitali per i visitatori. Questo è certamente uno degli aspetti più positivi innescati dalla crisi, durante la quale abbiamo coinvolto con successo un pubblico impossibilitato a visitare fisicamente il museo. Allo stesso tempo, in qualità di mediatrice, ritengo essenziali l’incontro, lo scambio di idee e il dialogo con le persone nel museo. Spero quindi che questo aspetto partecipativo del nostro lavoro possa riprendere al più presto.
Come pensi che cambierà il rapporto tra museo e spettatore?
Per quanto riguarda il digitale, penso che la crisi ci abbia costretto a diventare più propositivi e che le numerose offerte susseguitesi sulla rete in questi ultimi mesi abbiano contribuito ad abbassare quel muro invisibile che allontana spesso il pubblico dall’arte contemporanea. Da un lato, penso quindi che la maggior parte dei musei vorrà continuare a offrire in futuro proposte pensate per il digitale, dato il forte potenziale inclusivo, e che le offerte digitali abbiano incuriosito e aperto gli occhi anche a chi nutriva ancora un po’ di reticenza nei confronti dell’arte contemporanea. Dall’altro, penso che l’esperienza diretta dell’arte rimanga per i nostri visitatori una necessità anche in futuro, anzi, forse il desiderio di recarsi al museo o in una galleria è stato persino stimolato dalle stesse proposte digitali.
Da poco più di una settimana l’Astrup Fearnley Museum ha una nuova direttrice, Solveig Øvstebøs, che succede a Gunnar B. Kvaran dopo 19 anni di direzione. L’hai già incontrata? Avete ragionato su come sarà il futuro della didattica al museo?
L’ho incontrata di recente e la mia impressione è che sia una professionista di grande spessore con in serbo un programma ambizioso per il museo. È interessata alle persone e alle loro opinioni, sia dei visitatori sia dei dipendenti.
Subito dopo l’estate lanceremo Blikkåpnere (letteralmente significa “coloro che aiutano ad aprire gli occhi”) un progetto per i giovani realizzato in collaborazione con Fondazione Sparebank, Nasjonalmuseet e Kunstneres Hus. Grazie a questa proposta, saremo in grado di offrire 15 posti di lavoro part-time nel settore della mediazione a giovani professionisti, con lo scopo di sviluppare delle proposte didattiche per un’audience di loro coetanei.
ANE GRAFF, ARTISTA, VIVE A OSLO
La prima parte del 2020 è stata un momento estremamente difficile a livello umano e sociale. Com’è cambiato il tuo universo quotidiano e come hai vissuto il temporaneo “congelamento” di programmi espositivi di musei e manifestazioni internazionali?
Sono molto prudente quando si parla di questo virus, pur non appartenendo a una categoria considerata “a rischio”, perché dell’epidemia da COVID-19 conosciamo ancora troppo poco per sapere con certezza quali saranno le ripercussioni di tutto questo sul lungo periodo.
Dopo le prime settimane di lockdown ho gradualmente ritrovato la mia quotidianità, ma cercare di produrre è stata una sfida dato che l’edificio che ospita il mio studio è stato a lungo inaccessibile. Al netto di tutte le difficoltà del caso, tuttavia, mi sento una persona privilegiata e penso sia bello avere così tanto tempo da dedicare alla famiglia e a mia figlia di 8 mesi. Non dover viaggiare per installare nuove mostre significa anche questo. Ricevo uno stipendio riservato agli artisti perciò non dipendo economicamente dalle vendite delle mie opere. La ritengo una vera fortuna, considerando l’incertezza di come potrà svilupparsi d’ora in avanti il mercato dell’arte.
Le tue sculture e le tue installazioni attingono spesso dal contesto scientifico, riflettono su come il corpo umano sia esposto a agenti esterni, come virus e batteri, nonché alla tossicità dell’ambiente. Penso al tuo intervento alla Biennale del 2019 con States of inflammation. Siamo nel 2020 e il tuo lavoro sembra sempre più attuale. Che riflessioni hai fatto a questo proposito?
Mi interesso da tempo allo studio di come le innumerevoli relazioni tra uomo-corpo e mondo esterno interagiscano tra loro. Tuttavia, il fatto che l’installazione States of inflammation fosse proprio esposta al Kiasma di Helsinki quando è iniziato il lockdown, e che sia chiaramente rimasta inaccessibile per un lungo periodo, mi ha fatto percepire ancora di più l’urgenza e l’attualità di queste riflessioni.
Pensavo che la resistenza batterica agli antibiotici fosse la minaccia più incombente per la salute pubblica mondiale, ma i fatti dimostrano che siamo esposti a molteplici fattori di rischio. La ricerca artistica è importante, offre l’opportunità di sconfinare in altre discipline e affrontare questioni urgenti, oltre ogni formalismo. E viceversa: anche l’arte può ispirare nuove modalità di approccio e nuovi punti di vista per molti altri settori.
Quanto sono importanti le relazioni sociali e come pensi potrà cambiare il rapporto tra arte contemporanea e pubblico nel prossimo futuro?
Le condizioni sociali sono naturalmente importanti per tutti noi e ciò che desidero è che i contenuti e le mie opere raggiungano quante più persone possibili, non mi piace essere autoreferenziale. Quindi spero che il pubblico continui ad andare alle inaugurazioni e a supportare gli artisti vedendo ciò che fanno e che producono. Anche attraverso le piattaforme digitali, se questa fosse l’unica opzione. Noi artisti abbiamo bisogno del pubblico!
TUVA TRONDSDATTER TRØNSDAL, DIRETTRICE E FONDATRICE DI GALLERI GOLSA, OSLO
La prima parte del 2020 è stata un momento estremamente difficile a livello umano e sociale, ma concentrandoci esclusivamente sugli aspetti professionali, quali sono i rischi e le preoccupazioni di Galleri Golsa?
I miei dubbi riguardano in prima battuta l’attività del prossimo autunno, la gestione incerta dei confini, delle regole di quarantena, di quali linee guida da parte delle autorità sanitarie occorrerà rispettare. La galleria lavora con artisti locali e internazionali, quindi la nostra attività è strettamente legata e vincolata alla movimentazione e al trasporto delle opere, nonché alla possibilità per gli artisti di viaggiare, raggiungerci a Oslo e allestire le loro opere in galleria. Queste preoccupazioni sono puramente operative, ma ovviamente le conseguenze finanziarie di questo periodo determinano e influenzano le scelte del nostro prossimo futuro.
A quale tipo di finanziamenti avete potuto accedere per fronteggiare la crisi?
Abbiamo lavorato sodo perché il pacchetto di aiuti economici previsto a livello nazionale ha privilegiato in larga parte istituzioni culturali e artisti, a discapito delle gallerie private, che sono state aiutate in misura assai minore. Pertanto non abbiamo potuto accedere a un supporto diretto per la gestione della nostra attività ordinaria. Il supporto economico è giunto, invece, per lo sviluppo della nostra offerta online attraverso la collaborazione con scrittori, fotografi e videomaker, che ci hanno aiutato a veicolare i contenuti dei nostri progetti espositivi. Questo ci ha permesso di integrare le mostre con contenuti speciali e di comunicare con un pubblico numeroso.
Il potenziamento della comunicazione digitale ha facilitato il contatto con i collezionisti e gli artisti?
Ritengo che la possibilità di raccogliere informazioni online sugli artisti e sulle opere rappresenti una grande opportunità per molti acquirenti, attuali e potenziali. E lo è sicuramente anche la trasparenza dei prezzi, che fa decadere la reticenza di molte persone nel richiedere il costo di un’opera. Parallelamente, penso si debba fare attenzione a non saturare l’interesse dei collezionisti di fronte a un’eccessiva quantità di “viewing room”.
Detto questo, ogni galleria deve comprendere qual è la sua dimensione reale, indipendentemente dai trend di comunicazione. Per noi di Galleri Golsa è stato chiaro fin da subito che, in un momento di rarefazione dei rapporti interpersonali, la cosa essenziale fosse il contatto diretto con collezionisti e artisti.
Come immagini il futuro del mercato dell’arte e delle fiere internazionali?
Il mercato è condizionato dalla situazione di difficoltà venutasi a innescare a causa del COVID-19, ma penso che si sia anche ampliato il bacino degli appassionati d’arte. La maggior parte dei galleristi, noi compresi, spera in una sete di conoscenza da parte dei collezionisti e del pubblico, nella loro voglia di riappropriarsi degli spazi dedicati alla cultura e di rivedere dal vivo le opere d’arte. La socialità è parte integrante del mondo dell’arte e mi auguro che continuerà a esserlo anche in futuro, non appena le cose si normalizzeranno.
Quale feedback ti hanno dato gli artisti rappresentati da Galleri Golsa durante il lockdown? E qual è il loro atteggiamento di fronte all’opportunità di mostrare le loro opere in spazi virtuali?
Abbiamo notato una sostanziale differenza di attitudine tra gli artisti stranieri e quelli norvegesi. In Norvegia siamo economicamente fortunati, gli artisti hanno ricevuto un supporto dallo Stato e questo si sta ripercuotendo chiaramente sulla loro produzione. Gli artisti stranieri con cui lavoriamo sono spesso dipendenti dalle mostre e dalla vendita delle loro opere, pertanto si sono messi in gioco accogliendo nuove sfide e mostrandosi più aperti a progetti digitali alternativi.
C’è un clima collaborativo tra le gallerie di Oslo? Vi siete confrontati tra colleghi al momento di riaprire gli spazi?
A Oslo gli spazi espositivi non sono molti e il dialogo tra le gallerie è buono. Se la chiusura è avvenuta quasi contemporaneamente in tutta la città, diverse invece sono state le strategie e le proposte alla riapertura delle gallerie.
Noi abbiamo scelto di aprire con una mostra collettiva dal titolo PLUSS 1 chiedendo agli artisti rappresentati dalla galleria di portare il loro “più uno”. In questo modo, abbiamo dato la possibilità ad altri 10 artisti di cui erano state cancellate le mostre di esporre nei nostri spazi.
E come sta reagendo il vostro pubblico?
Per ora siamo soddisfatti e abbiamo avuto più visitatori del solito, soprattutto nei fine settimana.
Quali sono i vostri prossimi progetti?
Vogliamo ripartire da due mostre che erano in programma questa primavera ma che abbiamo dovuto annullare. E lavoreremo allo sviluppo di progetti digitali. Questo periodo ci ha fatto capire, infatti, quanto sia importante per molti dei nostri appassionati poterci seguire da remoto dato che molti di loro vivono fuori Oslo.
MARY GRACE WRIGHT, DIRETTRICE DI STANDARD (OSLO)
STANDARD ha inaugurato a Oslo nell’aprile del 2015. La galleria si pone l’obiettivo di promuovere a livello internazionale l’arte contemporanea norvegese e di presentare in Norvegia artisti internazionali. Dopo il lockdown ha inaugurato un programma espositivo intitolato One Plus One, con un calendario di mostre settimanali.
Su quale tipo di supporto istituzionale ha potuto contare la galleria in questo periodo di crisi legato al COVID-19?
Il Nasjonalmuseet di Oslo ha istituito un fondo per l’acquisto di opere d’arte promosse dalle gallerie norvegesi e, grazie a questo progetto di acquisizioni istituzionali, è stata acquistata una nostra opera per la loro collezione permanente. Abbiamo ricevuto, inoltre, un supporto dalla fondazione Fritt Ord grazie al quale abbiamo commissionato ad alcuni scrittori i testi di accompagnamento della mostra collettiva con cui la galleria ha riaperto dopo il lockdown.
Negli ultimi mesi, fiere internazionali, musei e gallerie hanno lavorato molto online. Qual è la posizione della galleria a questo proposito e come avete mantenuto il contatto con collezionisti e artisti?
La comunicazione e la presenza sul digitale assumono indubbiamente un ruolo importante. Tuttavia, abbiamo scelto di astenerci dall’invio di aggiornamenti e anteprime, consapevoli che molte persone vivono in questo momento preoccupazioni più grandi. Per rispettare il loro spazio emotivo e personale, abbiamo dato libera scelta a chi ne avesse voglia di interagire con la galleria mettendo a disposizione informazioni e contenuti online attraverso il nostro sito e Instagram.
Come immagini il futuro delle mostre d’arte e delle fiere internazionali?
È difficile a dirsi, nessuno lo sa. Tempo fa abbiamo deciso di ridurre la nostra presenza alle fiere internazionali partecipando a tre appuntamenti annuali, in modo da poterci concentrare sulle mostre in galleria. La nostra scelta era e resta quella di puntare sulla qualità più che sulla quantità, siamo certi che questa sia una visione coerente con la direzione di STANDARD.
C’è un clima collaborativo tra le gallerie di Oslo? Vi siete confrontati tra colleghi al momento di riaprire gli spazi?
Certamente, il clima è collaborativo e noi siamo in costante contatto con i nostri colleghi, con cui ci confrontiamo continuamente su calendari e programmazioni.
Quale risposta hai ricevuto da parte degli artisti di fronte all’opportunità di mostrare le proprie opere in spazi virtuali?
All’inizio c’è stata un’inevitabile delusione per l’annullamento o il posticipo di molte mostre, ma gradualmente i nostri artisti si sono dimostrati gli esseri umani gentili ed empatici che conosciamo e adoriamo. Ritengo che questo sia un momento da dedicare alla famiglia, in cui dare giusta priorità alle cose importanti, come ad esempio, le proteste a supporto del movimento Black Lives Matter.
Per quanto riguarda l’esposizione in spazi virtuali, penso che questa sia la cosa più distante che un artista possa volere, quindi no, non puntiamo su questo.
E come sta reagendo il vostro pubblico?
Uno dei nostri spazi espositivi affaccia direttamente su un viale trafficato di Oslo e abbiamo deciso di lasciare libertà di azione ai nostri visitatori, che possono scegliere liberamente di entrare o meno in galleria. Il progetto espositivo One Plus One con cui abbiamo riallestito la galleria è visibile, infatti, anche dalla strada. Abbiamo rimosso i pannelli che coprivano le pareti finestrate e lasciato le luci accese 24 ore su 24. Ogni lunedì cambiamo opera, artista, e relativo testo descrittivo commissionato a uno scrittore. One Plus One è un progetto che può dunque essere osservato anche dalla strada. I nostri visitatori abituali, invece, visitano la galleria ancora più spesso di quanto non facessero prima.
Quali sono i vostri prossimi progetti?
Abbiamo dovuto riprogrammale le nostre attività e posticipare al prossimo autunno le mostre previste in primavera. Al progetto in corso One Plus One, che chiude il 19 luglio, se ne aggiunge un altro fino al 26 giugno legato alle viewing room di Art Basel, e che sarà comunque visitabile anche negli spazi della galleria.
Ups and Downs – 15 years of STANDARD (OSLO), seguita da una personale dell’artista Tauba Auerbach, saranno invece le esposizioni con cui riapriremo dopo la pausa estiva per celebrare i 15 anni di attività della galleria.
https://www.standardoslo.no/en/home
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