
Il tema centrale della mostra, il leitmotiv che accompagna tutte le opere esposte, è come catturare il vuoto, ovvero come Pablo Picasso (Malaga, 1881 ‒ Mougins, 1973) e Alexander Calder (Philadelphia, 1898 ‒ New York, 1976) abbiano affrontato il tema del non-spazio: Calder con curiosità e ambizione intellettuale, mobilitando nuove forze che sfidano i limiti dimensionali; Picasso, invece, più intimamente, abolendo qualsiasi confine tra l’autore e il suo soggetto.
La rassegna, curata dai nipoti degli artisti, Alexander S.C. Rower e Bernard Ruiz-Picasso, in collaborazione con Laurent Le Bon, presidente del Musée Picasso, si apre con i ritratti dei due, fotografati da Man Ray intorno al 1930, e subito appare chiaro che, nonostante i 17 anni di differenza, l’ambiente intellettuale nel quale si muovono Picasso e Calder è il medesimo. E la prima delle dodici sezioni in cui è suddivisa la mostra lo chiarisce immediatamente: Figure, 1928, uno dei progetti per il monumento ad Apollinaire commissionato a Picasso nel 1921, una maquette in fil di ferro e tela, fu rifiutato dal Comitato Apollinaire come numerose altre proposte di Picasso. L’opera è l’interpretazione delle parole di Apollinaire estrapolate dalla raccolta Il poeta assassinato: “Una profonda statua nel nulla, come la poesia e come la gloria”. Al soffitto è invece appeso un esempio di ciò che Duchamp per primo battezzò “mobile”, il tratto distintivo di Calder: una variazione del 1937 sulla sfera, rappresentazione bidimensionale di un oggetto tridimensionale, uno spazio vuoto che gioca con le ombre sul muro di fronte.

L’ASTRAZIONE
Attraverso le sezioni successive ‒ Catturare il vuoto, Disegnare nello spazio, Vuoto e pieno, In sospensione, Scolpire il vuoto, Nell’atelier, Vanità, Fare e disfare, La gravità e la grazia, Tagliare e piegare e La grande velocità ‒ il parallelismo tra le opere di Picasso e quelle di Calder mette in campo una questione che non è più solo relativa ai due artisti, ma, come sottolinea il critico Donatien Grau in catalogo, “è la grande questione dell’arte moderna: l’astrazione”.
Oltre ai numerosissimi mobile, sono esposti anche alcuni dipinti di Calder come My Shop, 1955, olio su tela apparentemente incompleto, ma firmato e datato, che ritrae il suo studio e che ben esemplifica l’idea di non finito che permea tutta la sua produzione. Nella stessa sezione è esposto L’Atelier de la Californie, 1956, che ritrae lo studio di Picasso presso la villa La Californie a Cannes, dove egli visse dal 1955 al 1961; il soggetto non è nuovo per Picasso, che spesso immortalò i suoi atelier ingombri di oggetti e di opere, ma in questo particolare olio su tela lo spazio è quasi vuoto, soltanto le linee moresche della casa sono riconoscibili e lo spazio sembra più un luogo intimo e mentale che reale.

Calder Foundation, New York © 2019 Calder Foundation, New York / ADAGP, Paris
GRAVITÀ E GRAZIA
Il concetto di astrazione è qui legato indissolubilmente alla nozione della gravità o, come brillantemente tratteggiato in una delle ultime sezioni della mostra, di gravità e grazia. In mostra da un lato la scultura di Picasso Petite fille sautant à la corde, 1950, con il commento di Françoise Gilot e Carlton Lake, dal libro Life with Picasso: “Pablo aveva sempre voluto realizzare una scultura che non toccasse il suolo”. Di fronte le maquette in bronzo On One Knee, Tightrope Worker e Dancer del 1944, che Calder presentò a un concorso internazionale. Le opere avrebbero dovuto essere in calcestruzzo di grandissime dimensioni (dai 9 ai 12 metri d’altezza) e, soprattutto, sospese – pericolosamente – su una piazza gremita di pedoni.
La mostra al Musée Picasso, grazie al percorso che si snoda attraverso 120 opere, permette di conoscere meglio e più intimamente l’immensa produzione di due pilastri del XX secolo come Picasso e Calder, mettendo in luce le loro – a volte inaspettate – connessioni.
‒ Emanuela Bernascone