Serve a qualcosa essere pacifisti?

All’Imperial War Museum di Londra è protagonista una mostra dedicata alla storia del Movimento pacifista in Gran Bretagna. Uno sguardo al passato e al presente, che induce a mettere in dubbio l’efficacia del pacifismo.

Il 15 febbraio 2003 quasi due milioni di persone hanno percorso le vie di Londra: si è trattato della più grande manifestazione di massa della storia britannica. Gridavano il loro no alla guerra scatenata dalla coalizione occidentale sul suolo iracheno. Per questa occasione David Gentleman progettò una serie di famosi manifesti per sostenere Stop the War Coalition: tra questi il celebre No More Lies. Risultato? Decine di migliaia di soldati britannici spediti al fronte.
Dall’IWM di Londra si esce con l’amaro in bocca. People Power: fighting for Peace è una mostra beffarda. Certamente non nelle intenzioni dei curatori, che attraverso l’esposizione di trecento oggetti rari raccontano l’epopea centenaria del Movimento pacifista in Gran Bretagna. Dipinti, documenti, manifesti, striscioni, distintivi e musica rivelano la creatività generata da coloro che si sono opposti alla guerra nell’ultimo secolo.
La narrazione inizia con la Prima Guerra Mondiale e l’introduzione della leva obbligatoria nel 1916. Allora sono solo 16mila uomini – tra cui gli artisti che fanno riferimento a Bloomsbury – a proclamarsi obiettori di coscienza e per farlo e rischiano grosso: il fervore patriottico inizialmente è grande e solo i costi catastrofici del conflitto – registrati in modo memorabile da artisti come CRW Nevinson (Paths of Glory, 1917) e Paul Nash (Wire, 1918) – rendono robusta, durante gli Anni Venti, la crescita della coscienza pacifista.

Genesi del simbolo di Gerald Holtom per la CND-Campaign for Nuclear Disarmament, 1958

Genesi del simbolo di Gerald Holtom per la CND-Campaign for Nuclear Disarmament, 1958

DAGLI ANNI QUARANTA ALLA GUERRA FREDDA

Con l’avvento del fascismo negli Anni Trenta, però, i pacifisti si trovano in difficoltà: per molti infatti la guerra diviene il male minore rispetto all’avanzata hitleriana. Durante la Seconda Guerra Mondiale, gli obiettori sono 62mila e a loro viene affidato tra gli altri compiti anche quello di disinnescare le bombe inesplose.
La più grande sezione della mostra però è dedicata al periodo della Guerra Fredda dominata dalla paura di un’apocalisse nucleare. Visivamente rappresentato dal simbolo del disarmo nucleare disegnato nel 1958 da Gerald Holtom (obiettore di coscienza durante il secondo conflitto mondiale), il movimento pacifista si salda agli atteggiamenti anti-establishment degli Anni Sessanta. La connessione del Movimento pacifista con la cultura popolare in questo periodo è testimoniata da ephemera di vario genere e tipo sostenuti da figure per quel tempo mitiche come Joan Baez, John Lennon e Yoko Ono.

David Gentleman, Stop the War. No More Lies, 2003

David Gentleman, Stop the War. No More Lies, 2003

E OGGI?

La mostra racconta anche l’oggi, con i tentativi del Movimento di opporsi alle recenti guerre in Nord Africa e in Medio Oriente. Tutti ricorderanno il fotomontaggio creato da Peter Kennard e Cat Phillip in cui un ghignante Tony Blair sembra fare un selfie di fronte a una massiccia esplosione nel deserto.
Un’esposizione beffarda, abbiamo detto. Perché, nonostante tutti sforzi del Movimento internazionale per la pace, la specie umana sembra non aver imparato molto. Guerra del Golfo (1990-1991), guerre balcaniche (1991-1995), guerra in Afghanistan (2001-2014), la guerra in Iraq (2003-2011). E la catastrofe rappresentata dalla Siria oggi. O la disperata situazione della Somalia e, peggio ancora, del Sud Sudan. Si è parlato spesso della futilità della guerra. Non vale anche per ogni Movimento per la pace?

Aldo Premoli

Londra // fino al 28 agosto 2017
People Power: Fighting for Peace
IMPERIAL WAR MUSEUM
Lambeth Road
www.iwm.org.uk

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Aldo Premoli

Aldo Premoli

Milanese di nascita, dopo un lungo periodo trascorso in Sicilia ora risiede a Cernobbio. Lunghi periodi li trascorre a New York, dove lavorano i suoi figli. Tra il 1989 e il 2000 dirige “L’Uomo Vogue”. Nel 2001 fonda Apstudio e…

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