Tutto, e il suo contrario. L’editoriale di Marco Senaldi

Ne parlava Arthur Schopenhauer e sono ritornati sull’argomento anche i situazionisti. Volere tutto, e il suo contrario, è un’aspirazione umana che affonda le radici in profondità e che oggi sembra riflettere una tendenza tipica del presente: un senso di insoddisfazione da cui potrebbero derivare conseguenze non soltanto negative.

IL (NON) TUTTO
Il titolo di un famoso libretto degli Anni Settanta, Vogliamo tutto, pareva all’epoca sintetizzare una sacrosanta aspirazione delle masse a ottenere quel benessere che loro spettava, sull’onda del situazionista “Siate realisti: chiedete l’impossibile”. Ma oggi, a distanza di decenni, siamo riusciti finalmente a completare quello slogan con il suo giusto supplemento: effettivamente noi Vogliamo tuttoe il contrario di tutto. L’ineffabile formula lacaniana del “pas-tout” (non-tutto), confinata per decenni nel limbo dei concetti incomprensibili, è oggi del tutto omologata: in qualunque scelta ci capiti di fare, dall’acquisto dell’auto al luogo in cui vivere, dal dettaglio dell’abito all’orientamento sessuale, la tentazione di “andare in due direzioni contemporaneamente” è forse l’impulso più autentico che proviamo, dimostrando non una qualche “carenza” nel corpo compatto della nostra identità, ma la cronica insufficienza del concetto stesso di “Tutto”, la sua intima incapacità di soddisfarci, questa sì davvero “totale”.

LE OPPORTUNITÀ DI UN PARADOSSO
Tuttavia, questa discorde totalità andrebbe forse interpretata non solo come lacerante paradosso, ma anche come un’incredibile opportunità riservata alla nostra epoca. Non è forse questo l’impulso segreto che ci spinge incessantemente, invece che a generare nuovi contenuti, a rileggere quelli già dati in quadri mentali del tutto inediti? Che dire del recupero della semi-dimenticata psicofisiologia ottocentesca, riletta alla luce delle neuroscienze applicate a fenomeni come il cinema, in un testo sorprendente come Lo schermo empatico di Vittorio Gallese e Michele Guerra (Cortina, 2015)? Oppure della reinterpretazione di Heidegger come pensatore della metamorfosi e della “plasticità”, nel saggio di Catherine Malabou, Le Change Heidegger, du fantastique en philosophie (Éditions Léo Scheer, 2004, che attende ancora una traduzione italiana), o della rilettura sovversiva a cui Gilles Deleuze sottopone Spinoza (Spinoza. Filosofia pratica, 2016) oggi riproposta da Orthotès editore di Salerno, che ha inoltre pubblicato una interessante ri-analisi del pensiero di Gentile (Paolo Bettineschi, Critica della prassi assoluta. Analisi dell’idealismo gentiliano, 2012) seguita dai Discorsi di religione, dello stesso Gentile (2015)?

Arthur Schopenhauer

Arthur Schopenhauer

SCHOPENHAUER OTTIMISTA?
Certo, fa sorridere l’inconsapevole schizofrenia culturale che conduce il classico soggetto postmoderno ad affrontare le cupezze schopenhaueriane armato dei Fiori di Bach per l’“ottimismo”; ma, e se il vero ottimista, oggi, fosse proprio Schopenhauer? Benché sulla sua figura pesi il giudizio storico di “reazionario”, divenuto inappellabile, soprattutto dopo la biografia di Rudiger Safranski (lo stesso che sollevò a suo tempo il “caso Heidegger”), a rileggere Il mondo come volontà e rappresentazione sorge più di un sospetto che questo ritratto sia incompleto, per non dire fuorviante. Non solo Schopenhauer è un animalista convinto, e apertamente si schiera (a inizio Ottocento!) contro la vivisezione, ma in più punti delinea un ritratto psicologico della malvagità umana che sembra presagire perfettamente la “personalità autoritario-sadica” definita più di un secolo dopo dalla Scuola di Francoforte. Come non leggere una premonizione della figura di un Hitler nel ritratto dell’uomo malvagio che “vede la faccia orrenda nell’angoscia di chi è da lui oppresso; e con la quale è così strettamente avvinto che per l’appunto il più tristo orrore proviene da lui medesimo”?
Forse la completa contraddizione in cui siamo irretiti potrebbe funzionare da imprevisto piede di porco per scardinare pregiudizi che credevamo inalterabili – e così permetterci visioni e revisioni fino ad oggi impensabili, arditezze culturali mozzafiato. In questo stesso dissidio giace un’apertura di senso del passato riservata miracolosamente solo a noi, uomini di oggi.

Marco Senaldi

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #32

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Marco Senaldi

Marco Senaldi

Marco Senaldi, PhD, filosofo, curatore e teorico d’arte contemporanea, ha insegnato in varie istituzioni accademiche tra cui Università di Milano Bicocca, IULM di Milano, FMAV di Modena. È docente di Teoria e metodo dei Media presso Accademia di Brera, Milano…

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