Cinema. No: le ragioni della semplicità

C’è un film del 2012 di Pablo Larraín che s’intitola “No”. Racconta di come una certa leggerezza affossò il regime di Pinochet. Lasciando i vecchi schemi e accettando la sfida del presente.

TRILOGIA DELLA DITTATURA
No (2012), terzo film della “trilogia della dittatura” di Pablo Larraín, è anche il più complesso e affascinante della serie. Se il regime di Pinochet era restituito ai suoi albori con un’atmosfera visiva lugubre e funeraria in Tony Manero (2008) e soprattutto in Post Mortem (2010), in questo caso la sua fase crepuscolare – coincidente con il famoso referendum sulla sua presidenza indetto nel 1988 – viene restituita con inquadrature colorate, sovraccariche.
I cadaveri che si accumulavano per le strade grigie e plumbee nel secondo capitolo (memori forse de I cannibali, 1969, di Liliana Cavani) lasciano lo spazio a un tipo di minaccia visiva molto più ariosa, frenetica, convulsa. Il formato 4:3 e la qualità sgranata delle immagini, impiegati nominalmente per creare un effetto di continuità con gli spot reali e gli altri documenti storici televisivi, configura un approccio sorprendente alla storia e alla memoria. Il look “Anni Ottanta” è infatti un varco per penetrare quella che è una transizione storica, non solo cilena ma di tutto l’Occidente.

UN PUBBLICITARIO CONTRO PINOCHET
René Saavedra, il giovane, scapestrato e coraggioso pubblicitario assunto a guidare la campagna del No, è il veicolo di questa transizione e al tempo stesso il perno dell’intera narrazione.
Il suo coraggio è diversissimo da quello esibito dai padri della sinistra e dai giovani resistenti, che insistono prima attoniti e poi infuriati alle sue proposte comunicative animate da una leggerezza e da una spensieratezza spiazzante. Lo accusano immediatamente, infatti, di rimuovere le colpe e le responsabilità, la durezza del quindicennio di dittatura e i crimini commessi. Solo che i “loro” spot risultano respingenti, inguardabili, luttuosi. Il dilemma che si pone fin da subito è quello tra la testimonianza di una posizione, con la consapevolezza di essere condannati a perdere, o il tentativo spregiudicato di vincere con ogni mezzo espressivo a disposizione.
La sfida di Saavedra è dunque quella di sfuggire continuamente allo schema rappresentativo e recitativo costruito per anni dalla distopia per l’opposizione e la resistenza, un conflitto preordinato, per allestire un conflitto all’insaputa dell’avversario, per così dire. Un conflitto, cioè, basato su parametri, regole, convenzioni sconosciute perché inediti: le convenzioni di un mondo nuovo.

Pablo Larraín, No, 2012 - still da film

Pablo Larraín, No, 2012 – still da film

RIDICOLIZZARE IL REGIME CON UN ARCOBALENO
La comunicazione punta dritta alla semplicità, anche a costo di una certa semplificazione, allo scopo di spedire il messaggio al maggior numero di persone possibile e di renderlo soprattutto attraente. L’effetto del NO con l’arcobaleno, l’effetto di un Cile del futuro immaginario costruito interamente “come-lo-spot-di-una-bibita”, l’effetto del coinvolgimento progressivo di artisti, cantanti, attori famosi, è quello di rendere sempre più grigia, ottusa e respingente la realtà politica, e persino sociale, del regime: di farlo apparire per ciò che è, noioso e obsoleto prima ancora che crudele. La campagna di Saavedra costruisce sapientemente – passo dopo passo, trasmissione dopo trasmissione – un desiderio che prima non esisteva, o esisteva in forma sopita, una domanda per un’offerta di là da venire.
Gli  avversari – guidati da un Guzmán interpretato dallo stesso Alfredo Castro protagonista dei primi due film, che quindi incarna perfettamente la trasformazione stessa della nazione lungo gli Anni Settanta e Ottanta, la sua paura e la sua paralisi – non possono vincere. Perché più cercano di imitare la freschezza e la positività, più lasciano emergere l’immobilismo, la pesantezza e la stupidità della dittatura: è come se la morte goffamente tentasse di simulare la vita. (“Tutti aspirano a essere ricchi: ma non tutti lo diventano, solo qualcuno. È impossibile perdere quando tutti aspirano a essere quel qualcuno”, dice a un certo punto uno dei pubblicitari del regime.)
Il risultato è impietoso, e l’intelligenza del NO diventa passo dopo passo qualcosa di inafferrabile, proprio perché dà forma a un’aspirazione. La scelta proposta, dunque, è quella tra rimanere legati ai propri vecchi schemi, rassicuranti anche se garanzia di sconfitta (forse proprio perché garanzia di sconfitta), o accettare la sfida del presente rovesciando il tavolo da gioco. E giocando ostinatamente il proprio, di gioco.

Christian Caliandro

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #25

Abbonati ad Artribune Magazine
Acquista la tua 
inserzione sul prossimo Artribune

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

Scopri di più