Future Forum di Udine (e Napoli). Intervista con Renato Quaglia

Un mese di conferenze, incontri, workshop, dibattiti. È il “Future Forum” che, fino al 20 novembre, si tiene alla Camera di Commercio di Udine. Con una incursione di una settimana al Teatro San Carlo di Napoli. Sui temi caldi dell’innovazione e del futuro abbiamo intervistato Renato Quaglia, project manager del progetto.

Innovazione e provincia: l’Italia ha realtà produttive piccole o talora minuscole che, anche in ambito tecnologico, riprendono – talora loro malgrado – un modello artigianale, di bottega. Penso a esempi come Arduino e Winx, per citare due casi. Quali sono pregi e difetti di una situazione “industriale” di questo genere?
Il sistema italiano è fatto di piccola e micro-impresa, struttura costitutiva di una storia imprenditoriale frammentata e, nei casi migliori, centrata sul talento soggettivo e individualista. Peter Marsh e alcuni analisti internazionali annunciano l’ingresso nella quarta rivoluzione industriale: il consumatore chiederà un prodotto personalizzato sulle proprie esigenze individuali, il produttore dovrà adeguare la propria capacità produttiva alla domanda così specializzata. Resterà solo un aneddoto la frase con cui Ford riconosceva il diritto al consumatore americano di decidere se il colore dell’auto sarebbe potuto essere “nero oppure nero”. Una domanda di prodotto soprattutto stabilita dal consumatore invece che soprattutto indotta dal produttore, dove pare perdere ruolo la distribuzione – che nel Novecento per taluni settori è stata invece soggetto decisivo -, disegnano un sistema ancor più frammentato (spaventosamente dispersivo, tenuto insieme solo dalla rete), ma in cui il modello artigianale della nuova modernità può tornare a far valere le proprie qualità distintive, senza mediazioni o compromessi, finalmente valutato per quanto è capace di produrre.
Le premesse di sistema che descriviamo non prescindono dalla necessità di innovazione, evoluzione tecnologica, capacità di comunicazione e marketing, disponibilità a connessioni e partnership locali e internazionali… Insomma, non basterà essere piccoli, bravi e determinati, si dovrà essere anche dinamici cittadini del mondo.

Come si colloca il Friuli in questo scenario?
Il Friuli, come molte regioni produttive italiane, ha tutte le premesse per questo passaggio a una età nuova, ma (pur senza generalizzare) deve rinunciare alla contemplazione del passato di successi, per costruire senza rimpianti un nuovo approccio al tempo nuovo.

Si parla continuamente e a tutti i livelli di “crisi”. Ma, stando a quello che scrive nel suo bestseller un economista come Thomas Picketty, sostanzialmente si tratta di un ritorno a una situazione per così dire normale, dopo una bolla durata qualche decennio. Se lo scenario fosse realmente questo, quale approccio deve adottare il comparto creativo?
Si tornerà a una situazione normale, dice Picketty, ma nel senso che si definirà un nuovo modello, una condizione iniziale completamente diversa da quella che abbiamo conosciuto sino ad oggi. La bolla potrebbe essere considerata come una reazione di contrasto alla crisi di quel modello. Non credo si tratterà in nessun modo di un ritorno al modello precedente, ma dell’inizio di un nuovo modello.
Il comparto creativo ha la possibilità di partecipare a un re-inizio, di abitare il nuovo mondo che si sta disegnando. La tecnologia e una diversa consapevolezza dei diritti e dei doveri di cittadinanza, dicono gli analisti, saranno due variabili costitutive decisive. Per l’artista è straordinario appartenere a un tempo di passaggio da un’epoca che si sta concludendo a una nuova che sta iniziando.

Renato Quaglia e Giovanni Da Pozzo

Renato Quaglia e Giovanni Da Pozzo

Il fenomeno del brain drain sta raggiungendo livelli preoccupanti in Italia, con numeri (di qualità e quantità) vertiginosi in uscita, mentre in entrata sono assai ridotti e – nel caso dell’immigrazione extra-europea – gestiti in maniera emergenziale. Quali politiche può adottare il nostro Paese per invertire o perlomeno rendere meno netta la tendenza?
I flussi sono una ricchezza, il ricambio, lo scambio, la partenza e il ritorno sarebbero il segno di salute di un sistema, che dal confronto con culture diverse apprende, integra e cresce. Beck teorizza l’anarcoeconomy, un modello economico non lasciato alla deregulation, ma seguito pur in un (apparentemente) spontaneo procedere. Non mi appassiona, tanto quanto il dibattito intorno ad alcune leggi che si ritengono ostacoli per l’investimento estero nel nostro Paese. Sono più condivisibili le analisi con cui l’Ocse riconosce le ragioni della marginalità italiana nella mancata emancipazione del suo sistema economico, del resto analoghe a quelle che da moltissimo tempo pongono ad esempio l’Italia fuori dai grandi circuiti dell’arte contemporanea: una mancanza di ricambio generazionale, una indisponibilità generalizzata verso l’innovazione, il prevalere di logiche di appartenenza a logiche di merito.

Esiste una certa insistente retorica relativa al concetto di “smart city”. A sviluppi talora molto interessanti sotto il profilo tecnologico ci scontriamo però spesso con limiti che definirei banalmente di civiltà: in soldoni, a cosa serve una città iperconnessa se poi è attraversata da flussi enormi e disordinati di auto?
E aggiungerei: a cosa serve l’iperconnessione se non ci permette di connettere le nostre aspettative con la nostra condizione effettiva? Certamente un uso integrato della tecnologia potrebbe migliorare e sviluppare molto ambiti, dalla trasmissione dei saperi alla condizione delle persone non autosufficienti o dei grandi anziani. Mi pare più interessante, perché motivato dall’oggettiva condizione di marginalità delle aree interne e dei territori non metropolitani, il nuovo concetto della “smart-land”, su cui si stanno riposizionando diversi progetti europei e su cui il nostro Paese potrebbe più utilmente declinare una tendenza che effettivamente, in Italia, non ha portato a risultati molto interessanti.

Uno dei temi del Future Forum lega salute e alimentazione. Il tema di Expo 2015 sarà proprio quello del food. Quali sono gli sviluppi che si possono prevedere e magari incoraggiare per far andare di pari passo ricerca nutrizionale e patrimonio enogastronomico?
Siamo un Paese che può permettersi di dibattere di nutrizione portando il tema sulle specificità di gusto, discernendo di aree e processi di produzione, di raffinata autenticità d’origine, mentre il tema della nutrizione in larghe parti del pianeta tocca invece e drammaticamente la sopravvivenza. La ricerca trova nella mappatura del dna sviluppi inaspettati sull’uno come, più importante, sull’altro approccio. Per i temi che interessano la nutrizione occorre superare  i pregiudizi ideologici che limitano la ricerca e che non sempre sono poggiati su dati scientifici. Occorre permettere alla ricerca di sperimentare su un campo, quello dell’alimentazione, su cui si giocano destini di sopravvivenza e i veri nuovi squilibri del pianeta tra nazioni ricche, povere ed emergenti. Il patrimonio enogastronomico italiano, che invece appartiene di diritto alle industrie culturali, gli esperti segnalano sia più utilmente valorizzabile in una prospettiva di turismo esperienziale e di cultura del gusto e dell’alimentazione.

Future Forum

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Capitolo turismo: qui i problemi sono innumerevoli, dalla logica emergenziale nel trattare questioni come quella di Pompei a “soluzioni” meramente evenemenziali e mediatiche come la recente proposta del ministro Franceschini di pavimentare il Colosseo. Come immaginare una politica strutturale sul turismo? Come immaginare il Grand Tour del 2050?
Già oggi il 9% del Pil mondiale è prodotto dal turismo. I principali istituti internazionali prevedono flussi sempre maggiori di persone che si sposteranno per connettersi a culture diverse e non più percepite lontane. Ma cercheranno esperienza, non solo testimonianza. Capacità di accoglienza e diversa articolazione dell’offerta, non semplice gestione o peggio, sfruttamento, della permanenza e dei soliti attrattori. Non credo siano sufficienti trovate singolari, per di più concentrate sui soliti grandi attrattori: c’è un territorio complesso, una storia diffusa straordinaria, stili di vita originali, un contemporaneo mediato tra passato e presente, che segue politiche di promozione individuali, non riesce a integrare le diverse offerte di territorio e che potrebbe offrire molto più di quanto rappresenterebbe un singolo intervento sul solito campione turistico ipersfruttato, per quanto mediaticamente interessante (sul momento, peraltro).
Se è l’esperienza quella che guiderà il turismo dei prossimi vent’anni, la cultura e la complessità di offerta del territorio italiano, nel suo complesso e integrando patrimonio storico e paesaggio, enogastronomia e stili di vita, potranno organizzarne l’offerta. Dovrà essere però riorganizzato il sistema di offerta: la parcellizzazione è oggi dispersione di proposta e di spesa, Regioni, Stato, comunità e territori dovranno produrre sistemi integrati, affidandoli a pochi soggetti capaci di organizzarne l’offerta, la promozione e la valorizzazione.

Marco Enrico Giacomelli

http://www.futureforum.it/

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Marco Enrico Giacomelli

Marco Enrico Giacomelli

Giornalista professionista e dottore di ricerca in Estetica, ha studiato filosofia alle Università di Torino, Paris 8 e Bologna. Ha collaborato all’"Abécédaire de Michel Foucault" (Mons-Paris 2004) e all’"Abécédaire de Jacques Derrida" (Mons-Paris 2007). Tra le sue pubblicazioni: "Ascendances et…

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