Munari (artista) politecnico. In attesa della grande mostra a Milano

Negli spazi al piano terra del Museo del Novecento, una mostra presenta Munari come artista fra gli artisti, restituendo all’artefice milanese la sua complessità. Tra estetica e interdisciplinarietà, ispirazione e resa formale. Abbiamo intervistato in anteprima il curatore, Marco Sammicheli.

5 aprile-7settembre 2014. L’obiettivo di Munari politecnico è rivelare la sua propensione artistica, compito che idealmente prosegue l’esposizione allestita nel 1996 nelle sale della Fondazione Vodoz-Danese di Milano, rileggendo la collezione e aprendola a un dialogo con una generazione di artisti che con lui hanno avuto un rapporto dialettico.
Il percorso della mostra mette in dialogo le opere di Bruno Munari (Milano, 1907-1998) con quelle appartenenti alle Collezioni Civiche del Comune di Milano, al Museo del Novecento e agli archivi di Isisuf – Istituto Internazionale di Studi sul Futurismo, di cui Munari fu tra i fondatori assieme a Carlo Belloli. Le prime quattro sezioni della mostra sono dedicate rispettivamente agli orientamenti artistici giovanili di Munari attraverso il disegno, il collage e una prassi visuale riferibile alle pratiche delle avanguardie storiche; al suo rapporto con la ricerca scientifica, come ancella e supporto di intuizioni plastiche, di risposte linguistiche nonché come elemento attivatore di funzioni creative; all’arte come matrice generative di nuovi approdi disciplinari; alla produzione artistica durante il susseguirsi di diversi movimenti novecenteschi. Il curatore, Marco Sammicheli ne approfondisce temi e scelte intrapresi.

Il titolo Munari Politecnico quale destinazione, quale intento del percorso vuole indicare? Quanto l’interdisciplinarietà suggerita dalla parola ‘politecnico’ scalfisce la dimensione artistica di Munari?
L’idea di Munari Politecnico trae origine dalla modalità con la quale lui brandisce la molteplicità della tekne, la sua metodica,  quel processo attraverso il quale aggredire il presente e anticipare il futuro. La mostra intende focalizzarsi e recuperare due momenti, due periodi di Munari come artista: rispettivamente il Futurismo e gli Anni Cinquanta, con le correnti dell’Arte Cinetica e Programmata. Nel primo caso la padronanza della tecnica è utile a Munari per sconfiggere il passato e aggredire il presente. Durante gli Anni Cinquanta, invece, non esiste più l’assoluta divinizzazione del proprio stile di ricerca, che viene invece piegata ai limiti del presente, in direzione del futuro. Limiti, seppur molteplici, relativi alla funzionalità e alla tecnica compositiva intesa come una vera e propria cassetta degli attrezzi. Munari, nel proprio percorso di sperimentazioni, infatti, non pone mai cieca fiducia nelle formule, nella scienza, nei fenomeni fisici e neppure nelle proporzioni artificiali, semplificando tutti questi dettami e superandoli con movimenti esatti, con risultati visuali.

Quali le reali novità di un’esposizione su Munari e quali le tipologie dei lavori allestiti?
Vorrei che, attraversando la mostra, si leggesse una tensione estetica. Vorrei restituire la complessità umana e compositiva della figura di Munari, ruolo che è sempre stato depurato e ridotto per normalizzanti cause commerciali. Il Museo del Novecento è un luogo dell’arte e per l’arte, il più adatto per mostrare l’anima primordiale e primigenia dell’essenza interiore, della metafisica di Munari. Lui utilizzava l’arte come forma di sperimentazione, ben al di là del gioco e della pedagogia. L’arte per lui non si è mai rivelata un semplice esito di metodo, ma nelle sue mani è sempre diventava qualcos’altro. Munari Politecnico incarna la volontà di proseguire l’esposizione allestita nel 1996 nelle sale della Fondazione Vodoz-Danese di Milano, attraverso sculture, libri illeggibili, disegni, collage e progetti intersecati a opere di artisti che con Munari hanno intessuto un rapporto dialettico. Artisti, ad esempio, citati negli stessi libri di Munari, oppure con i quali lui ha lavorato, dai quali ha tratto ispirazione o che ha anticipato. Autori assieme ai quali ha anche partecipato a mostre d’arte, scrivendo, inevitabilmente, alcuni capitoli della storia estetica del Novecento. Desidero porre ordine nelle carte della vita compositiva di Munari, attraverso le testimonianze di personalità e istituzioni che in questa mostra hanno concorso a elaborare un’identità plurima, intensa, profonda. Mi riferisco non solo a Isisuf, ma anche, ad esempio, a Giovanni Anceschi e a Giovanni Rubino.

Atto, Bruno Munari, Udine, 1988 © Isisuf. Istituto internazionale di studi sul Futurismo

Atto, Bruno Munari, Udine, 1988 © Isisuf. Istituto internazionale di studi sul Futurismo

I lavori e i progetti selezionati provengono prevalentemente dalla Fondazione Vodoz-Danese. Di fronte a quale collezione ti sei trovato? Come la descriveresti?
Per me avere accesso alla Collezione ha significato  scoprire e aprire una sorta di baule di famiglia. Seppure Bruno Danese e Jacqueline Vodoz fossero formalmente una coppia di mecenati e imprenditori, la loro famiglia è sempre stata sublimata ed è cresciuta all’interno dei progetti ai quali hanno dato vita. Nella meravigliosa sede di Santa Maria in Fulcorina ho avuto modo di visionare un fondo di opere tanto di designer come Enzo Mari quanto di artisti. Attraversando l’Arte Povera, la Pop Art italiana, così come l’Arte Cinetica e Programmata, ho avuto modo di apprezzare la meticolosità  scientifica con la quale sono stati sistematizzati gli archivi della collezione. Raccolta che ha preservato lavori dall’eccezionale rarità con una cura tale da metterne in rilievo anche il valore affettivo, diventando veicoli necessari di una storia, quella di Munari come artista, che necessita ancora di saper essere raccontata.

Durante il percorso di ricerca che ha portato a Munari Politecnico, come si è trasformata, in questo ultimo periodo,  l’idea acquisita nel corso dei tuoi anni di formazione nei confronti del designer, dell’architetto, dell’inventore e dell’artista?
La mia conoscenza di Munari è profondamente cambiata. Le nozioni che ricomponevano la sua figura sono state, nei miei anni di formazione, viziati dal design e dall’editoria didattica, dimensioni da sempre associate al suo percorso. L’iter che ho dovuto affrontare è stato quello di un Munari straordinario, di un artefice che esce propriamente dall’ordinario per anticiparlo e stravolgerlo. Per due motivi. Il primo è riguardante una definizione di Munari come di un artista anomalo che crea anomalie. E il secondo fa diretto riferimento a un Munari come artista nervoso. È stato lo stesso Anceschi a usare questo aggettivo, nel raccontarmi di una colazione avvenuta con Munari, durante l’allestimento di una mostra alla quale entrambi stavano partecipando. Il termine nervoso fa riferimento non a uno stato di aggressività, quanto all’impazienza contagiosa che lo caratterizzava nel momento della creazione. Direi dunque che anomalia e nervosismo restano le sostanze della mia ricerca sull’artefice milanese. Ho dovuto accantonare gran parte dell’editoria, del design e della grafica di Munari, per scoprire la sua assoluta contemporaneità come anticipatore, sperimentatore e osservatore di linguaggi artistici. Sono rimasto impressionato dalla curiosità che lo ha sempre sospinto nei luoghi deputati alla nascita di nuove tendenze.
Intendo inoltre sottolineare che Munari Politecnico non utilizzerà le opere in mostra lungo il percorso permanente che espone la collezione del Museo del Novecento. La mia mostra intende far chiarezza sulla figura di Munari sottolineandone il ruolo formale ed estetico, senza adombrare la centralità comunque già conferitagli. Il processo di riscoperta che intendo far emergere vuole infondere nei visitatori, a partire dalla mia generazione (35 anni), una consapevolezza diversa anche della città di Milano. Nessuno come Munari ha saputo ascoltare maestri e maestranze che la hanno attraversata, cibandosi di artisti giovani, poco noti negli Anni Sessanta, come Paolo Scheggi e Mary Vieira, con i quali lui ha avvertito una sintonia, una complicità. Artisti che oggi rappresentano un punto di riferimento per molti addetti ai lavori, proprio come Grignani, con il quale Munari, seppur attraversando periodi di scontri evidenti, ed evidenti incomprensioni, ha collaborato dando vita al gruppo di Exhibition Design.

Esiste in mostra un’opera, un pezzo che consideri un piccolo volano dell’intera macchina espositiva?
Sì certo, si tratta di due piccoli libri che raccolgono gli schizzi di Munari. Una raccolta assembla tutte le macchine di Munari ed è un progetto di libro incompiuto, una sorta di taccuino. Il secondo, invece, fa riferimento all’Alfabeto composto per Lucini a Palazzo Reale negli Anni Ottanta. Sono, per me, indispensabili per tre motivi. Dapprima perché sono una condensa dell’incredibile trasversalità e dell’abilità di Munari, diventando traccia e applicazione diretta dell’arte nell’atlante del graphic design. In secondo luogo perché, attraverso le foto di Ada Ardessi, ho potuto vedere come l’alfabeto fosse stato realizzato e presentato. In ultimo perché entrambi i volumi sottolineano la relazione fortissima che  Munari ha intessuto con le eccellenze e le competenze artigiane di Milano, come la tipografia dei fratelli Lucini.

Ada Ardessi, Bruno Munari, Biennale di Venezia, 1966 © Isisuf. Istituto internazionale di studi sul Futurismo

Ada Ardessi, Bruno Munari, Biennale di Venezia, 1966 © Isisuf. Istituto internazionale di studi sul Futurismo

I lavori selezionati come dialogheranno in rapporto al progetto allestitivo di Paolo Giacomazzi e quali caratteristiche verranno messe in rilievo da esso?
Il progetto cerca di ingaggiare un rapporto 1:1 tra visitatore e opera. I lavori che esporremo sono talvolta delicatissimi, fragili, talvolta minuti o composti di materiali deperibili e hanno bisogno di una struttura che li ponga molto vicino al corpo di chi guarda, che li faccia entrare nell’area percettiva di chiunque senza subire danneggiamenti. Giacomazzi ha creato un sistema espositivo che mette in corrispondenza i manufatti di Munari con una galleria parallela di opere d’arte, lavori che non interferiscono né si confondono con i processi formali e ideativi di Munari. Mi riferisco a Paolini, così come a Huber, Alviani e tanti altri che verranno posti accanto al percorso principale, di modo che chiunque lo attraversi, alzando gli occhi, possa riscontrare similitudini e non figliolanze di sorta. Richiami che leghino tra di loro autonomie formali e sovrapposizioni materiche.

Con quali altri eventi, spazi e programmi Munari Politecnico si intersecherà durante il lungo tempo della sua apertura al pubblico?
È in essere un calendario di attività legate a Munari Politecnico che tra il Museo del Novecento, il Politecnico di Milano e gli spazi dell’Expogate, di fronte a Castello Sforzesco, riuniranno persone e personalità incontrate durante la formulazione del percorso. Gli ospiti interverranno seguendo un programma pubblico di incontri che renderanno ufficiale le loro testimonianze in qualità di collaboratori, amici, ricercatori ed esperti di Munari, validando la visione della mostra. Questo programma anticipa e allo stesso tempo registra gli interventi che saranno riportati all’interno di una pubblicazione; volume che risulterà in itinere, dunque, durante il corso dello svolgimento degli appuntamenti. Interviste e saggi di personalità che hanno incontrato Munari o che con lui hanno lavorato, infine, si accosteranno a interventi di studiosi che si sono concentrati su questa figura nodale del Novecento.

A tuo modo di vedere, la mostra potrebbe inserirsi, in futuro, nelle programmazioni di un panorama museale internazionale?
Me lo auguro. L’obiettivo al quale puntiamo è quello di mantenere viva la curiosità dimostrata da parte di una grande istituzione museale newyorchese che seguirà da distante non solo lo svolgimento della mostra, ma anche la pubblicazione e il riscontro di pubblico che la mostra potrà suscitare. Non manco infine di sottolineare il fatto che la mostra, grazie a diverse persone coinvolte, possa anche optare per incontrare istituzioni in Francia e in Brasile

Ada Ardessi, Bruno Munari, Monte Olimpino, 1972 © Isisuf. Istituto internazionale di studi sul Futurismo

Ada Ardessi, Bruno Munari, Monte Olimpino, 1972 © Isisuf. Istituto internazionale di studi sul Futurismo

Potresti svelare alcune caratteristiche del catalogo che prenderà forma seguendo la durata di esposizione del percorso e che verrà presentato a fine estate?
La fine dell’estate sarebbe una data opinabile. Comunque il volume verrà presentato non più tardi dell’autunno e prevedrà l’accostamento di tre sezioni. La prima che raccoglierà testimonianze dal vivo, dati e fotografie pronte a scongiurare la trappola romantica dell’aneddoto. La seconda sezione sarà costituita da saggi di diversi curatori e studiosi. Mentre l’ultima sezione sarà dedicata a un apparato iconografico e fotografico incentrato non solo sul reportage svolto all’epoca di Munari, ma anche sulle foto dell’allestimento di Munari politecnico.

Potresti formulare un pensiero, un augurio che accompagni Munari politecnico al pubblico?
Mi auguro che questa mostra crei dibattito, mi auguro non rimanga un episodio sterile. Il percorso e il suo intento non deve passare in sordina né deve rimanere un’occasione per dar adito ad una smorta polemica locale. Mi auguro che il nostro lavoro, attraverso la risposta del pubblico, possa acquisire la giusta rilevanza, grazie anche al piedistallo che ci è stato offerto di Piazza Duomo. Vorrei che tutti i pubblici coinvolti ci aiutassero a scalfire quella mitografia buonista e natalizia che è sempre stata addossata, almeno per quanto riguarda l’Italia, a un artefice come Munari, aggiungendo un mosaico di conoscenza apportata da chi con lui ha lavorato e vissuto a stretto contatto. Nel frattempo, infatti, la mostra ha messo in moto un sistema di donazioni e acquisizioni al Museo del Novecento che ha apportato alla città di Milano vere rarità. Vorrei che Munari politecnico non creasse sonnolenza intellettuale e che non rimanesse sulle pagine della carta stampata, in cerca di continui commenti e giustificazioni.

Ginevra Bria

Milano // fino al 7 settembre 2014
Munari politecnico
a cura di Marco Sammicheli
MUSEO DEL NOVECENTO
Via Marconi 1
[email protected]
www.museodelnovecento.org

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Ginevra Bria

Ginevra Bria

Ginevra Bria è critico d’arte e curatore di Isisuf – Istituto Internazionale di Studi sul Futurismo di Milano. È specializzata in arte contemporanea latinoamericana.

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