MiArt e Fondazione Trussardi al cinema. Il racconto di Massimiliano Gioni e Vincenzo De Bellis

MiArt 2014, dal 28 al 30 marzo, ogni sera a partire dalle 22. Al Planetario di corso Venezia va in scena “Cine Dreams”, durante il quale si alterneranno i lavori di tre artisti: Stan VanDerBeek, Jeronimo Voss e Katie Paterson. Un nuovo progetto a cura di Massimiliano Gioni e Vincenzo De Bellis, che abbiamo intervistato.

A Milano Cine Dreams non è solo un progetto espositivo, ma è il risultato di un’intesa. Una collaborazione al 50% tra la Fondazione Trussardi e MiArt, tra Massimiliano Gioni e Vincenzo De Bellis. Ogni scelta è il frutto di un dialogo fitto tra le due diverse istituzioni milanesi che, il 28, 29 e 30 marzo a partire dalle 22, presenteranno installazioni, proiezioni multimediali, interventi sonori e video di tre artisti. L’ingresso è gratuito, la sede è unica: si tratta del Civico Planetario Ulrico Hoepli, in corso Venezia 57. Venerdì 28 marzo il programma apre con la proiezione dell’opera che dà il titolo all’intera rassegna, Cine Dreams di Stan VanDerBeek (New York, 1927 – Baltimora, 1984). A seguire, nei due giorni successivi, i protagonisti saranno due artisti emergenti, rispettivamente Jeronimo Voss (Hamm, 1981) e Katie Paterson (Glasgow, 1981). Artribune ha intervistato i due curatori per approfondire alcuni aspetti di questa preziosa kermesse.

Il progetto Cine Dreams della Fondazione Trussardi come si inserisce nel programma di eventi paralleli di MiArt 2014? Quali gli obiettivi e le peculiarità?
Vincenzo De Bellis: Ha un ruolo fondamentale, è volutamente l’unico progetto che io come curatore co-organizzo in prima persona fuori dal contesto della fiera. È una co-produzione a tutti gli effetti e ha vari obiettivi, tra cui sottolineare la nuova essenza di MiArt in qualità di interlocutore culturale a Milano, dimostrando come la fiera possa effettivamente agire da cassa di risonanza e amplificatore del meglio che questa città offre.

In veste di curatore, e non solo di direttore di MiArt, ti è stato possibile selezionare assieme a Massimiliano Gioni gli artisti che saranno presentati al Planetario? Come avete interagito durante la realizzazione del percorso?
Vincenzo De Bellis: Sin dallo scorso anno, dalla collaborazione per Liberi tutti, abbiamo iniziato un fitto dialogo a distanza scrivendoci praticamente tutti i giorni per qualche mese, scambiandoci idee su progetti e artisti. Sia nel caso di Liberi tutti sia in questo di Cine Dreams, però, è stato Massimiliano ad avere il primo spunto e la prima idea, ed è giusto che sia così, perché entrambi i progetti sono stati costruiti nello spirito dell’attività della Fondazione.

Katie Paterson, Second Moon, 2013 - Lunar meteorite, box - Photo © MJC - Courtesy of the artist

Katie Paterson, Second Moon, 2013 – Lunar meteorite, box – Photo © MJC – Courtesy of the artist

Quali altre istituzioni private parteciperanno al programma di eventi della fiera e come descrivere il connubio tra MiArt 2014 e l’attività espositiva della Fondazione Trussardi?
Vincenzo De Bellis: Oltre alla Fondazione Nicola Trussardi, Hangar Bicocca e Triennale sono le altre due istituzioni private che collaborano con noi nel 2014 e ne siamo felicissimi perché, insieme a tutte le istituzione pubbliche, svolgono un ruolo centrale nella produzione di significati sul contemporaneo in città. Per quanto riguarda il connubio tra MiArt 2014 e l’attività della Fondazione Trussardi, lo descriverei come “tailored”, fatto su misura per noi due e per Milano.

Potresti formulare un augurio che accompagni Cine Dreams in rapporto a questa nuova edizione di MiArt?
Vincenzo De Bellis: Più che un augurio che accompagni Cine Dreams, ne farei uno a chi ci legge: di approfittare dell’occasione per vedere dei lavori fantastici che non potrebbero essere visti in un contesto diverso da quello del planetario e al tempo stesso per conoscere un po’ meglio un’architettura meravigliosa.

Qual è il rapporto degli artisti invitati con la notte, con i sogni, con il cinema e con il buio artificiale?
Massimiliano Gioni: Abbiamo deciso di invitare tre artisti, uno per sera. Stan VanDerBeek è la figura storica, il nonno si potrebbe dire o il padre fondatore della rassegna, e in generale un pioniere del connubio arte e scienza, un grande sperimentatore che nel 1972 aveva realizzato una delle poche opere d’arte concepite appositamente per planetari. È la sua opera – misto di happening, “cinema espanso”, psichedelia e trionfo di immagini simultanee da vera e propria società dello spettacolo – a dare il nome all’intera rassegna: Cine Dreams era una proiezione simultanea di venti film e altri materiali presentati al Planetario di Rochester, nello Stato di New York, il primo planetario al mondo ad avere un sistema completamente automatizzato di proiezioni. Per Cine Dreams VanDerBeek invitava il pubblico a passare l’intera notte al planetario, immergendosi in un flusso ininterrotto di immagini, in un’esplosione di immagini in movimento proiettate sulla cupola del planetario. VanDerBeek – che da sempre era affascinato dai legami tra cinema e psicoanalisi – pensava che il suo cinema dei sogni, il suo “cinema della mente“, come lo chiamava, acquisisse una forza ancora più intensa nello spazio del planetario, che paragonava a una caverna e al grembo di una madre: uno spazio nel quale i sogni individuali degli spettatori potessero essere condivisi e plasmati in una specie di inconscio collettivo reso visibile dalle immagini dei film proiettati sulla cupola.
Per VanDerBeek – che con i suoi Movie-Murals, presentati di recente alla Biennale di Venezia, e i suoi Movie-Dromes ha anticipato l’esplosione di immagini tipica della nostra cultura digitale – il cinema e in particolare l’esperimento corale di Cine Dreams erano esempi di un’intelligenza collettiva, di una specie di grande cervello globale nel quale confluissero i sogni e le immagini degli spettatori e quella materia multiforme e fantasmatica che caratterizza la società delle immagini.

Stan VanDerBeek, Movie-Drome interior, Stony Point, New York, 1965 - © Estate of Peter Moore / VAGA, New York - Photo Peter Moore

Stan VanDerBeek, Movie-Drome interior, Stony Point, New York, 1965 – © Estate of Peter Moore / VAGA, New York – Photo Peter Moore

Certo, era un esperimento anche molto hippie, molto Anni Sessanta, e l’abbiamo ricreato in maniera il più possibile fedele sotto la supervisione degli eredi dell’artista. E, come era già successo per la sua unica presentazione nel 1972, gli spettatori sono invitati a restare tutta la notte, se vogliono, e a portarsi coperte e cuscini, e c’è anche un numero di telefono al quale possono lasciare le descrizioni dei loro sogni. L’opera di VanDerBeek rimane quanto mai attuale per le sue intuizioni sulla natura delle immagini tipica della condizione digitale.

Ci sono poi i due “nipoti”…
Massimiliano Gioni: A fare da contrasto all’inflazione di immagini di VanDerBeek abbiamo invitato due giovani artisti, Jeronimo Voss e Katie Paterson, il cui lavoro sembra più affascinato dall’ecologia e da immagini più distanti e rarefatte.
Di Voss presenteremo Eternity Through the Stars, una proiezione multimediale che era stata realizzata per Documenta e per il planetario di Kassel. È un’opera in cui si combinano vecchie diapositive e mappe astronomiche e geografiche ormai obsolete. Quella di Voss è una riflessione sulla molteplicità del mondo e dell’universo. In un certo senso è complementare alla visione frammentaria e sincronica di VanDerBeek, ma nel caso di Voss la sua opera guarda al passato e alla storia dell’astronomia. Quindi da una parte c’è VanDerBeek con una visione del futuro nata negli Anni Sessanta e dall’altra Voss si ricollega al pensiero filosofico e scientifico della fine Ottocento, per scoprire interessanti corrispondenze con la fisica contemporanea.
Katie Paterson è una giovane artista scozzese il cui lavoro si è spesso misurato con la rappresentazione della vastità del mondo. Se Voss e VanDerBeek sembrano animati da un simile horror vacui, Paterson invece adora le distanze siderali, il vuoto, l’orizzonte piatto e ininterrotto del Polo Nord o del deserto. Per Cine Dreams, Paterson ha creato una nuova performance e installazione, all’apparenza molto semplice, che consiste nella proiezione sulla volta del planetario di 27mila stelle accompagnate dall’esecuzione al pianoforte della Sonata al Chiaro di Luna di Beethoven. La Sonata di Beethoven però è gentilmente stata stravolta, perché le note sono state spedite sulla Luna sotto forma di onde radio e quindi riflesse sulla terra, con vari ritardi e pause che sono stati integrati nello spartito originale: il risultato è una composizione nella quale la Luna e la distanza tra pianeti e satelliti vengono tradotti in suoni e silenzi, mentre sulla cupola del planetario scorrono le immagini di stelle morte. Quella di Paterson è un’opera che nasce e si sviluppa all’opposto di quella di VanDerBeek: in VanDerBeek la confusione e la cacofonia della società delle immagini, in Paterson una ricerca di una nuova ecologia dello sguardo e della mente, un’opera in cui John Cage e Romanticismo sembrano combinarsi perfettamente in una sorta di memento mori di portata cosmica.

Katie Paterson, Second Moon, 2013 - Images from Second Moon App - Photo © courtesy of the artist

Katie Paterson, Second Moon, 2013 – Images from Second Moon App – Photo © courtesy of the artist

I progetti sono quindi in parte o totalmente site specific?
Massimiliano Gioni: Il progetto di VanDerBeek per ovvie ragioni non è site specific, ma come tutti i progetti in mostra poteva esistere solo e unicamente nella cornice di un planetario. E questa è la prima ricostruzione e la sua seconda presentazione dal 1972. Il progetto di Voss è stato concepito per il planetario di Kassel ed è stato presentato poi a Berlino e per la prima volta in Italia. E anche questo progetto può essere presentato solo in un planetario e in particolare con un sistema di proiezione speciale, che si chiama Full Dome. Il progetto di Katie Paterson è stato invece concepito appositamente per questa presentazione e anche in questo caso si avvale della tecnologia Full Dome e del lavoro di alcuni programmatori: è un progetto apparentemente semplice, ma ha richiesto mesi di ricerca per raccogliere in un unico file la posizione di 27mila stelle morte.

In base all’esperienza affinata lo scorso anno, quali punti di forza sono stati registrati stabilendo di aprire una rassegna espositiva di breve durata durante i giorni di MiArt?
Massimiliano Gioni: Vincenzo De Bellis e MiArt ci hanno invitato a collaborare da subito, non appena Vincenzo è stato nominato: l’idea era di arricchire le serate della fiera, di portare nuove energie e nuove occasioni per vedere progetti inusuali in una città come Milano, che è sempre ricca di arte e di artisti, ma è troppo spesso un po’ addormentata o chiusa in se stessa, soprattutto quando si tratta di sperimentare o anche solo di tirare mattina, come diceva lo scrittore Umberto Simonetta. Non che sia necessariamente una programmazione da nottambuli, la nostra, ma ci piace pensare che con Liberi tutti l’anno scorso e con Cine Dreams quest’anno, la collaborazione tra Fondazione Nicola Trussardi e MiArt sia l’inconscio della fiera: lo spazio dove le opere d’arte non sono in vendita, dove si celebra un’idea comunitaria e collettiva di arte e dove si coltivano i sogni, anche i più assurdi e allucinati.

Quale tipologia di dialogo strutturale, architettonico instaureranno gli artisti selezionati con il padiglione del Portaluppi?
Massimiliano Gioni: Questa è la prima volta in oltre ottant’anni che il Planetario apre le porte all’arte contemporanea, quindi è un piccolo evento storico che è stato possibile grazie alla collaborazione del Comune di Milano e in particolare del direttore del Planetario, Fabio Peri, che ha particolarmente apprezzato che tutte le opere presentate in Cine Dreams siano state concepite per lo spazio dei planetari e che siano direttamente collegate ai temi di ricerca del planetario. Quindi non si tratta solo di un dialogo superficiale, ma di una serie di esempi di opere d’arte che cercano ispirazione nell’astronomia e nella scienza. Certo, come sempre, l’arte e gli artisti si possono permettere il lusso di travisare qualsiasi dottrina scientifica, ma grazie al cielo – verrebbe da dire proprio in questo contesto – i sogni di artisti, scienziati e spettatori in fondo non sono cosi dissimili, perché condividono tutti il diritto di non credere alla realtà e di inventarsi nuovi mondi, più o meno possibili.

Ginevra Bria

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Ginevra Bria

Ginevra Bria

Ginevra Bria è critico d’arte e curatore di Isisuf – Istituto Internazionale di Studi sul Futurismo di Milano. È specializzata in arte contemporanea latinoamericana.

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