Le scritte sui muri. Del museo. A colloquio con Ateliersi

A seguito della prima presentazione dello spettacolo “Se la mia pelle vuoi”, avvenuta al MAMbo di Bologna, conversiamo con Fiorenza Menni e Andrea Mochi Sismondi, direzione artistica, e con Tihana Maravic, progettualità e comunicazione di Ateliersi.

Cos’è Ateliersi? Perché questo nome?
Andrea Mochi Sismondi: Ateliersi è un collettivo di produzione artistica, nato dall’esigenza di porsi con rinnovata intensità in dialogo, nella costruzione drammaturgica di spettacoli e gesti performativi, con l’antropologia, la psicologia sociale, le arti visive e le produzioni musicali.
Fiorenza Menni: L’Atelier per noi è un luogo di estremo lusso, dove mantenersi vicini a ciò che si è incontrato ponendolo in relazione con necessità e desideri per l’elaborazione di nuove forme. Il è il luogo in centro a Bologna che abbiamo in concessione dal Comune, dove creiamo gli spettacoli e accogliamo residenze e aperture pubbliche di artisti di discipline diverse. Abbiamo avvicinato i due termini creando il neologismo Ateliersi, forma riflessiva dell’inesistente verbo ateliere, che per noi rimanda al tenersi vicini, al fare in modo di non sfuggirsi reciprocamente, facendo allo stesso tempo di noi stessi laboratorio.

Da cosa nasce il progetto Urban Spray Lexicon Project?
A. M. S.: Il progetto raccoglie i diversi capitoli di una nostra indagine sui muri delle città, intesi come spazio di separazione e al contempo di congiunzione fra pubblico e privato: superfici sulle quali alcune individualità desiderano incidere la propria richiesta, il proprio urlo. Siamo partiti analizzando i vari archivi esistenti sulle scritte murali legate a specifici spazi geografici o a momenti storici particolari (ad esempio a periodi particolarmente fecondi come il Sessantotto o il Settantasette). Ci interessava far sì che tra la fissità del trascrivere, documentare, fotografare queste scritte e la loro effettiva caducità si ponesse un collegamento di tipo performativo. In questo modo la scritta diventa verso: così è iniziata la prima tappa del progetto, Boia – concerto breve per imbrattamenti, voce e sintetizzatori, in cui Fiorenza accompagnata da una batterista attraversa – insieme al suo Roland SPV355 – centinaia di scritte componendole in un’unica incessante affermazione.
In Se la mia pelle vuoi ci siamo rivolti al momento precedente alla scritta: quello nel quale si genera la necessità di essere incisivi. Per farlo abbiamo costruito momenti di forte intimità tra gli attori in scena nei quali alle affermazioni battenti viene contrapposto un dialogo senza soluzioni di continuità che attraversa gli accadimenti del quotidiano facendo emergere la mancanza nelle sue molteplici forme.
Il prossimo capitolo del progetto – lo spettacolo 23:59, che debutterà a Torino nell’estate 2014 – ci porterà nel vuoto assoluto delle tag, nel gesto che rinuncia al logos per farsi pura affermazione di presenza.

Ateliersi, Se la mia pelle vuoi - photo Andrea Di Serio

Ateliersi, Se la mia pelle vuoi – photo Andrea Di Serio

Perché Lexicon?
Tihana Maravic: Lexicon è un termine che solitamente viene usato per descrivere le lingue lontane, o appartenenti alle scienze speciali. Da un lato, quindi, il lexicon dei muri rimanda a qualche cosa che è altro, l’espressione di un grido interiore. Dall’altro lato rappresenta un sistema linguistico con i propri vocaboli, regole, codici, ritmi e melodie. Nello spettacolo Se la mia pelle vuoi sono accostati due tipi di lexicon: quello pubblico murario, dove le scritte sono prese dai muri e portate in scena secondo un procedimento tipico di ready made; e quello privato e famigliare di un dialogo quotidiano. Con la parola lexicon volevo porre l’attenzione sulla drammaturgia originale, uno degli elementi cardini di questo lavoro. Con il macro titolo Urban Spray Lexicon Project – che designa un percorso che va dal 2011 al 2014 e si materializza in quattro oggetti teatrali – volevo valorizzare una modalità tipica di Ateliersi, di occuparsi di un tema a lungo, di fare della ricerca teatrale un esercizio di pensiero.

Come avete concepito lo spazio scenico di Se la mia pelle vuoi?
F. M.: Abbiamo scelto di fare la prima presentazione negli spazi del MAMbo lasciandoli come sono, senza immettere strutture o apparati tradizionalmente teatrali, mantenendo anche il tipo di luce che in quello spazio ha solitamente a disposizione il fruitore di opere di arte contemporanea. Cercavamo un luogo in cui pubblico e azione fossero per statuto nello stesso spazio, perché l’intenzione drammaturgica è stata sin dall’inizio quella di rimescolare tra ciò che è performato e ciò che non lo è. Non riuscendo più a concepire la scenografia come elemento a sé, abbiamo composto un ambiente in cui dal punto di vista visuale l’impianto scenografico si completa solo quando vi entra il pubblico.
Naturalmente ci interessava costruire un ambiente adatto ad essere circondato dai suoni elaborati da Alessandro Gulino e pronto a ricevere la luce delle immagini proiettate dalla videoartista Federica Falancia, con la quale da alcuni anni stiamo conducendo una ricerca che vede – tra gli altri aspetti – la videoproiezione come alternativa all’illuminazione teatrale, e da qui i libri…
A. M. S.:
Sì, nello spettacolo ci sono pile di libri sulle quali vengono proiettate una grande quantità di figure umane viste di spalle, come se fossero inseguite. Libri che proteggono gli attori dialoganti scaraventandoli al contempo in un esterno città popolato di donne e uomini che camminano. Libri che abbiamo intercettato nel momento in cui stavano per andare al macero, dunque nel passaggio fra una presunta utilità e un’effettiva distruzione. Questo lo sfondo.

Ateliersi, Se la mia pelle vuoi - photo Andrea Di Serio

Ateliersi, Se la mia pelle vuoi – photo Andrea Di Serio

Quali fonti hanno nutrito il lavoro?
F. M.: Durante la composizione di questo lavoro senz’altro un riferimento importante lo ha rappresentato il movimento Fluxus. Amiamo molto la capacità che avevano le loro performance di decontestualizzare le azioni semplici per spingerle in un luogo capace di generare meraviglia. E non si tratta di rendere straordinario l’oggetto ordinario, nel senso classico del ready-made, ma di permettere una relazione dinamica, una direzione tra quotidiano e non ordinario percorribile in entrambi i sensi. D’altronde i continui inviti di Fluxus ad attivarsi precipitano nella consegna delle scritte che nella scena finale dello spettacolo distribuiamo al pubblico: un invito esplicito a portare quelle stesse parole sui muri della città.
Per quanto riguarda la documentazione, poi, ci sono le decine di saggi, film, raccolte di immagini a cui abbiamo attinto nella fase di ricerca delle scritte e che con Andrea Alessandro La Bozzetta ci siamo divertiti a mettere in scena in Freedom has many forms: la lezione performance che accompagna Se la mia pelle vuoi e che presentiamo gli stessi giorni di replica – in un altro spazio della città – in orario diurno.
A. M. S.: E poi c’è Céline e il suo Voyage au bout de la nuit nel quale quel senso di apnea, di mancanza, di non appagamento del momento che precede il gesto che incide la superficie si condensa in ritratto umano. È il suo Bardamu che si presta nella scena finale ad un ultimo gioco che lo vuole poeta d’assalto, portatore di versi sull’intonaco dei muri cittadini, momentaneamente ridotto ai domiciliari, ma non vinto e per questo in cerca di complici. E allora le sole scritte che vengono davvero lette, quelle che il pubblico si trova davanti composte con tutti i loro caratteri, quelle che si porta a casa per farne buon uso, sono parole tracciate senza l’intenzione del muro che invece sui muri finiscono, così come testimoniano le foto che gli spettatori ci inviano i giorni successivi alle repliche.

Michele Pascarella

http://www.ateliersi.it

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Michele Pascarella

Michele Pascarella

Dal 1992 si occupa di teatro contemporaneo e tecniche di narrazione sotto la guida di noti maestri ravennati. Dal 2010 è studioso di arti performative, interessandosi in particolare delle rivoluzioni del Novecento e delle contaminazioni fra le diverse pratiche artistiche.

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