Un’astronave che sta mettendo radici

Inaugurato nel 2008, il CoCA di Torun è uno dei più attivi centri di arte contemporanea della Polonia. Dal 2010 è diretto da Dobrila Denegri, arrivata nella città gioiello del gotico polacco dopo una pluriennale esperienza italiana. Abbiamo parlato con lei dei risultati e delle sfide della sua direzione.

Siamo arrivati a metà del guado. I primi due anni del tuo mandato sono passati e ne rimangono altri due. Come sta andando?
Proprio in questi giorni sto cercando di fare un bilancio di questa esperienza. Quando sono arrivata, conoscevo già questo contesto dal punto di vista storico. Ma da subito sono rimasta colpita da quest’enorme slancio, dalla grande voglia di emergere della Polonia sul piano culturale. Ho capito subito che avrei dovuto proporre un programma che rendesse omaggio a queste ambizioni, senza dimenticare quello che offre la scena.
Ci siamo mossi su due piani: da un lato, con mostre che avvicinassero una vasta gamma di tematiche e approcci artistici; dall’altro, invitando curatori stranieri a svolgere una ricerca sul campo. Le mostre tematiche hanno avuto grande visibilità e una partecipazione inattesa. E nei programmi di promozione degli artisti polacchi all’estero siamo riusciti a coinvolgere istituzioni come il Mumok di Vienna o Botkyrka Konsthall e Iaspis di Stoccolma, e ora Marta di Herford.
Un bilancio abbastanza positivo, ma siamo ancora più ambiziosi per il futuro. Vorrei aumentare l’affluenza e coinvolgere pubblici più vari. Per questo stiamo ora lanciando un nuovo spazio con design di Ernesto Neto, che sarà aperto a una serie di format più piccoli con il coinvolgimento di giovani artisti, musicisti, designer, curatori…

Parliamo di questo nuovo spazio.
Durante la direzione precedente è stato lanciato Studio+Kitchen, diventato uno dei luoghi più amati dalla comunità di Torun. Era una sorta di salotto allargato, che accoglieva diversi tipi di contenuti. Dovendo reinventare un po’ il tutto dopo la sua conclusione, ho voluto implementare il più possibile questa sua caratteristica di apertura tematica. Tutto l’imprinting tematico del progetto di Neto e dell’attività di questo spazio chiamato LabSen – Laboratorio dei Sensi sarà in un intreccio tra i diversi linguaggi dell’arte, dando la possibilità di sentire, gustare, annusare l’arte, cercando di non farne solo un’esperienza cognitiva e visiva, ma anche sensoriale e soprattutto comunicativa.

Gianni Colombo, Curved Space, 1990

Gianni Colombo, Curved Space, 1990

Sulla multidimensionalità dell’arte si è insistito anche in alcune delle mostre, come Spaceship Earth e The Fourth State of Water, che riflettevano sul rapporto fra arte e scienza. Come sono nati questi progetti?
Qui siamo nella città natale di Copernico ed era quasi d’obbligo rendere omaggio a questa grande figura che aleggia su ogni cosa. Ma io stessa sono sempre stata affascinata dalle intersezioni tra diversi tipi di sapere. Mi interessano molto queste forme ibride e per ciò queste due mostre hanno insistito su cercare campi o piattaforme di comunicazione tra persone che operano in sfere diverse.
Dall’altra parte, penso che fosse necessario dare una linea al mio programma, trovare un filo conduttore che si differenziasse da quello della direzione precedente, che aveva un carattere più legato a tematiche politiche e sociali.

Come si caratterizza questo filo conduttore?
Quando ho ideato il programma quadriennale di direzione del CoCa avevo immaginato un percorso in quattro episodi che ripercorressero le ultime decadi del XX secolo. Spaceship Earth – la prima mostra, sul rapporto tra scienza e arte – era dedicata agli Anni Sessanta, quando ancora si viveva l’utopia del nuovo mondo tecnologico, tra Arte Programmata, Op Art e Nuove Tendenze, con la figura eclettica di Buckminster Fuller come protagonista principale. La seconda, Theatre of Life, che si è appena conclusa, era sugli Anni Settanta e la performance aveva come figura di riferimento John Cage, peraltro nel centenario della sua nascita. Il prossimo anno ripercorreremo l’esperienza di ritorno alla pittura negli Anni Ottanta, chiedendoci quali sono le modalità in cui si trascende oggi il campo pittorico. L’anno dopo vorrei dare spazio a un’analisi di ciò che sono stati gli Anni Novanta, con la Relational Art e un coinvolgimento maggiore sul piano sociale, per poi concludere con gli Anni Zero.
Il rischio di uno spazio come questo è sempre quello di essere percepito come un’astronave, come qualcosa che non si integra con la città, tanto più con una città così antica come Torun. Per questo è veramente importante sviluppare anche l’interesse di un pubblico che non ha familiarità con i linguaggi dell’arte contemporanea. Nel quadro complessivo sto cercando di avvicinare questa comunità ai contenuti della storia dell’arte e di far capire come l’arte possa essere qualunque cosa. In un ambiente dove ci sono due accademie e tanti giovani che si formano, mi sembrava importante dare una visione il più aperta e multidisciplinare possibile.

PRZE Projekt, 2012 - photo Tytus Szabelski / freepress.pl

PRZE Projekt, 2012 – photo Tytus Szabelski / freepress.pl

Come funziona il programma dedicato alla promozione dei giovani artisti?
Si chiama Focus Poland e contiene aspetti diversi. Stiamo creando un database sull’arte polacca emergente. Poi diamo la possibilità a curatori esterni di fare una ricerca sul campo, potendo conoscere gli artisti e la scena, per poi sviluppare un loro progetto, in cui lavorare con questi giovani artisti, presentando non solo lavori precedenti, ma anche qualcosa di pensato appositamente per questo spazio. Infine chiediamo ai curatori di integrare questi artisti nei programmi dei loro musei. Abbiamo cercato di dare un passo in più, in modo che il tutto non si esaurisca con la mostra, ma possa raggiungere un livello più internazionale.
All’inizio dell’anno abbiamo avviato una nuova iniziativa, che ha preso una bella piega. Il mio input iniziale è stato solo stabilire un budget, lasciando la più completa libertà. Con il coinvolgimento dei nostri curatori interni e del dipartimento educativo si è formato un gruppo aperto a studenti e giovani artisti che hanno fatto tutto da soli, inventandosi nome (Prze-Projekt), blog, modalità. Ogni mese fanno mostre, lecture o altri eventi. Quasi una sfida per farli sentire veramente dentro questo spazio, in modo da avere una carta in più per coinvolgere i più giovani.

E dal punto di vista dei rapporti istituzionali, con chi siete in contatto?
Abbiamo fatto una mostra su Robakowski insieme al Castello Ujazdowski di Varsavia, ma vere e proprie collaborazioni non sono ancora partite, anche se sto preparando un progetto per coinvolgere Cracovia. Magari è qualcosa su cui dovrei concentrarmi nel futuro, ma devo dire che in generale non trovo tanto sviluppato questo aspetto, non mi pare ci sia una rete, anche per innegabili problemi a livello di trasporti e comunicazioni.

Stefano Mazzoni

csw.torun.pl

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #11

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Stefano Mazzoni

Stefano Mazzoni

Stefano Mazzoni (Padova, 1979), critico e curatore, si interessa di estetica e di critica e storia dell’arte e del design. Tra le sue mostre: Giovanni Sacchi & Italian Industrial Design [Re-Edition] (Sesto San Giovanni, 2010), Reflux di Alex Bellan (Padova,…

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