Un artista per una copertina. Giovanni De Francesco
Ha “respirato” l'arte sin da piccolo, quando il padre medico lo portava per mostre. Ma anche la moda, frugando fra le riviste patinate della madre. Dopo il liceo artistico voleva fare filosofia, ma ha scelto il pragmatismo del disegno industriale. Colleziona vecchie cartoline e fotografie di anonimi. Crea opere all'apparenza non finite, perché è certo di un'opera “proprio quando è possibile rimaneggiarla, quando suggerisce nuovi seguiti”. In attesa della forma perfetta.
Che libri hai letto di recente e che musica ascolti?
Ho riscoperto la scrittura di Cristina Campo ne Il mio pensiero non vi lascia. La raccolta delle sue lettere ha alimentato il desiderio di ricevere e inviare cartoline… vera passione. La leggenda di San Giuliano l’ospitaliere di Flaubert, Breve storia del giardino di Clément e Il Lupo e il filosofo di Mark Rowlands per indagare più a fondo lo studio sul rapporto tra l’uomo e la natura. Guardo le immagini di vecchie enciclopedie scientifiche. Ascolto dalla musica classica all’elettronica. In studio, silenzio. Cerco una colonna sonora quando cammino. In questi giorni, Chinawoman, Fan Death, Grimes, Beach House… fino a tornare a Love Will Tear Us Apart dei Joy Division.
I luoghi che ti hanno affascinato.
Il paesaggio urbano è il mio habitat ideale, nonostante l’incanto della natura selvaggia. Vorrei i Kew Gardens come giardino, ma ho già il mare della Sicilia a cui tornare tutte le estati, come in un rito.
Le pellicole più amate.
The Elephant Man di Lynch, M. Butterfly di Cronenberg, Opening Night di Cassavetes, Ludwig di Visconti, Institute Benjamenta dei fratelli Quay, La notte di Antonioni, Il mio vicino Totoro di Miyazaki. Tutto Pasolini… andrei oltre le battute disponibili.
Artisti guida?
Qualsiasi esclusione sarebbe un pentimento. Gli artisti e i “pensatori” con cui vivo il quotidiano sono i miei eroi e, con loro, gli anonimi di cui trovo tracce e segni in immagini e luoghi insperati.
Fai parte della compagnia teatrale Monstera, collabori con la moda e il design. Quanto influenzano la tua ricerca artistica gli studi in disegno industriale e le incursioni in altre discipline?
Design e teatro hanno metodi progettuali e tempi che quasi mai coincidono con le urgenze del mio fare artistico. Il confronto intellettuale e l’esperienza tecnica in questi campi sono il legante che arricchisce il mio immaginario, sono indispensabili strumenti di crescita culturale a cui credo qualsiasi artista dovrebbe attingere.
Un elemento ricorrente è la natura, anche se ne dai una versione edulcorata.
Ho individuato nella natura il migliore soggetto di indagine proprio perché estraneo, per natura, alle forme del pensiero artistico. Tutte le speculazioni formali ed estetiche applicate alla rappresentazione delle specie animali e vegetali fanno emergere il dato espressivo in sé. Non documento né analizzo la natura e i suoi processi, ma il linguaggio che scaturisce dall’osservazione.
Il tuo lavoro è molto istintuale ma c’è un’attenzione quasi maniacale verso la composizione.
Orchestro più elementi per modulare un’idea e non fissarla in un’unica forma, stato o senso. Come in un’immagine stereoscopica, raddoppio le parti per ottenerne la tridimensionalità. Nelle ultime opere spesso uso tavoli da lavoro come piedistallo per riprodurre quello che avviene in studio; dispositivi per esperimenti dove i prototipi e le matrici delle immagini e delle sculture descrivono l’attesa della forma perfetta.
Più che un’ideale perfezione sembri rincorrere l’imperfezione, l’errore. Molte delle tue opere sembrano non finite.
Sono certo di un’opera proprio quando è possibile rimaneggiarla, quando suggerisce nuovi seguiti. Come nella serie di sculture Bildung, cerco di descrivere sia ciò che è formato, sia ciò che è in formazione. Succede così che un’opera nel riallestimento subisca aggiunte e modifiche. Allo stesso modo la materia tende a geometrie finite ma trattiene l’immediatezza del gesto.
Ti interessa “tradire” il materiale e creare ambiguità tra più parti. In che modo?
Il gesso mescolato al pigmento appare cemento, la cera diventa gomma, la resina sembra flessibile e il legno smaltato simula la resina. C’è un gioco di mimesi che amplifica quello già messo in atto dalle forme e dalle immagini. Il soggetto è sempre più in là di quello che appare.
Emerge spesso uno spirito di negazione. Penso ai lavori con le maschere o alla serie work in progress dei video-ritratti, dove i veri ritratti che realizzi di tuo pugno li doni alle persone ritratte.
Nascondere, deformare, filtrare, tutto questo crea interferenze che, celando, amplificano l’attenzione sul soggetto stesso. Non censurare ma evidenziare, sedurre.
Com’è nata l’immagine inedita per la copertina di questo numero?
Ho guardato le riviste sparse per casa e ho pensato di costruire una scultura domestica che abitasse gli ambienti degli altri: un trionfo da tavolo.
Daniele Perra
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #11
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