La fotografia archeologica di Claudio Gobbi ad Agrigento

Il rapporto tra fotografia e archeologia, di solito documentaristico e poco creativo, conosce un risvolto nuovo e interessante in questa mostra al museo di Agrigento

In un momento storico in cui l’intelligenza artificiale costringe allo sviluppo di nuovi strumenti utili ad indagare l’immagine, si rivaluta la fotografia nella sua concretezza. È paradossale, considerando come per Benjamin la riproduzione dell’immagine fosse causa di perdita auratica per l’oggetto rappresentato. Eppure, il confronto con il digitale, ormai privo non solo di un corpo, ma anche di un’effettiva referenza nel mondo reale, costringe a ri-guardare alla fotografia in modo nuovo. Così accade ne La visione trasparente, la mostra di Claudio Gobbi (Ancona, 1971) curata da Giusy Diana presso il Museo Archeologico Regionale Pietro Griffo di Agrigento. 

Il progetto per la fotografia contemporanea del Museo Pietro Griffo di Agrigento

Il progetto, sostenuto dal bando Strategia Fotografia 2023 della Direzione Generale Creatività del MIC, ha l’obiettivo “di diffondere la conoscenza della fotografia contemporanea in un contesto archeologico, favorendone l’inclusione nelle collezioni pubbliche”. Prova tangibile di questo intento è sapere che la serie di venticinque fotografie – nonché il corpus della mostra – è stata acquisita dalla stessa istituzione archeologica. 

Fotografia e archeologia nella mostra di Claudio Gobbi ad Agrigento

Come chiarito dalla curatrice, la fotografia ha avuto spesso un rapporto vicario nei confronti dell’archeologia. Solitamente essa è considerata come strumento utile a fini documentari o propriamente didattici: la relazione tra i due domini non è considerata come fatto estetico autonomo. 
Altre volte è accaduto che l’interesse fosse concentrato sui frequentatori delle sale espositive. Si pensi a certi scatti di Bresson, o ancora di più a quelli di Thomas Struth, nei quali prevale un gusto quasi sociologico – e appena ironico. L’opera di Gobbi si inserisce invece in un discorso linguistico relativo alla compenetrazione di differenti codici: per mezzo di un processo che muove dalla ricerca d’archivio, il museo diviene oggetto di un’analisi attenta al suo duplice ruolo di contenuto e contenitore. Così, vengono risemantizzati gli allestimenti, i reperti, i dettagli che arredano il Griffo attraverso un recupero della memoria visuale del museo stesso. Su questo campo comune, archeologia e fotografia possono condividere medesime finalità e costituire insieme lo spazio di una meditazione intorno al tempo e alla sua azione.

Le opere di Claudio Gobbi in mostra ad Agrigento

La Visione Trasparente accoglie foto d’archivio e scatti dell’artista. All’origine del progetto è la visione di  Junotemple in Agrigent, di David Friederich, oggi al Museum für Kunst di Dortmund. Il tempio di Giunone raffigurato da Friederich è in realtà un’immagine negata: il dipinto, nella voga settecentesca del paesaggio con rovine, era in realtà la riproduzione di un’incisione. La stessa opera, compresa tra due spot di carattere scenografico, è presente al Griffo in uno scatto del fotografo, accostato a due foto della stessa veduta. Lo stesso soggetto è stato tradotto in formati differenti attraverso un processo di risignificazione. Sottoposto a diverse esposizioni o in forma di cronotipia (primo esperimento di trasformazione dal bianco e nero alla foto a colori), il paesaggio catturato risolve a distanza la relazione instituita tra pittura impressionista e fotografia, in un’immagine en plein air che mantiene il senso del tempo nel suo sviluppo atmosferico e museale. 
Nel loro insieme, le riproduzioni delle vetrine, dei ritrovamenti archeologici, dei dettagli di arredo del Griffo costituiscono una complessa stratigrafia dello sguardo che, attraverso l’oggetto, indaga l’oggetto su differenti livelli.

Il museo Pietro Griffo di Agrigento: nuove prospettive di tutela 

La visione trasparente è la visione che attraversa vetrine e specchi per osservare oggetti e ambiente. È la visione adottata da Franco Minissi nella progettazione del Griffo, una grande macchina di luce naturale costruita, come uno scrigno, intorno al grande Telamone esposto nell’omonima sala. 
Il museo, inaugurato alla fine degli anni Settanta, è uno tra i lasciti dell’architetto in Sicilia, ma non il solo. Si tratta sempre di strutture dallo stile fortemente connotato, che all’osservatore attuale possono apparire vagamente kubrickiane. In questa personale di Gobbi, il dialogo tra immagine fotografata e contenitore-museo determina l’instaurarsi di una relazione imprevista tra contemporaneo e antico. Attraverso gli scatti, l’architettura museale si rivela quale grande manufatto storicizzato, da sottoporre a forme di tutela specifica. Il Griffo sarà presto oggetto di un restyling curato da Aldo Accardi, auspicabilmente tenendo conto e preservando le caratteristiche proprie della struttura.  

Tiziana Bonsignore

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