La fotografia di Robert Mapplethorpe in mostra a Torino

Circa 100 scatti vanno in mostra nella galleria Franco Noero, ripercorrendo la carriera di un fotografo considerato scandaloso, ma in realtà capace di cogliere le potenzialità del corpo e il suo inesorabile destino

Morto di AIDS nel 1989, Robert Mapplethorpe ha saputo fino in fondo cosa volesse dire essere un corpo. Un corpo giovane e libero e poi un corpo infetto e fragile. Ogni esistenza umana andrebbe pesata sempre e soltanto alla fine della propria parabola esistenziale. Quella del fotografo, divenuto un’icona del suo tempo, è rimasta nell’immaginario popolare come lo scandaloso ritrattista di falli e coppie sadomaso, nonché di autoritratti capaci di épater les bourgeois statunitensi degli Anni Settanta. Ma Mapplethorpe (New York, 1946 – Boston, 1989) è innanzitutto un classicista, omosessuale e irriverente certo, ma in grado di far parlare i corpi: quelli umani come quelli dei tanti fiori solitari da lui fotografati come altrettante candide allusioni sessuali (in apparenza e per lo più, anche se il punctum è altrove). E ciò si evince bene dalla nuova retrospettiva che la galleria Franco Noero dedica, per la seconda volta, all’artista: questa volta con circa cento fotografie che coprono tutto l’arco della carriera, offrendosi come mostra “quasi museale” (mancano gli apparati critici).

Robert Mapplethorpe, _Lisa Lyon_, 1981 ©️ Robert Mapplethorpe Foundation. Used by permission. Courtesy Galleria Franco Noero. In collaboration with The Robert Mapplethorpe Foundation

Robert Mapplethorpe, Lisa Lyon, 1981 ©️ Robert Mapplethorpe Foundation. Used by permission. Courtesy Galleria Franco Noero. In collaboration with The Robert Mapplethorpe Foundation

CORPO E DECADENZA SECONDO MAPPLETHORPE

Esistono ragioni che non si possono concettualizzare. La presenza di un corpo nel campo asciutto della fotografia rappresenta una “grande ragione” (Nietzsche, Zarathustra) capace di porsi come elemento critico nei confronti della ragione astratta, incorporea, e per questo delirante, ovvero fissata sul proprio delirio di onnipotenza: se tagli via la vita dei corpi ti resta quella dei concetti e con essi puoi fare e disfare tutto. I corpi no, una volta disfatti non li rifai più.
Mapplethorpe lo sa bene e ce lo dimostra in ogni suo scatto, laddove il classicismo evidente, esagerato, cela ed esalta la decadenza a venire. Robert scatta sempre l’acme delle cose e dei corpi. Amici e fiori, icone e star, artisti e culturiste, modelle e sadomasochisti: la cosa importante è l’esaltazione michelangiolesca del corpo giunto al suo massimo di prestanza fisica: elasticità, muscolosità, levigatezza. Ognuno di essi, esposti in galleria secondo un ordine non cronologico, è l’annuncio di una disfatta. Nelle sue foto perfette si coglie il senso di un culmine che non può far altro che rappresentare l’inizio della fine. Con il passare del tempo che intercorre tra lo scatto che fu e l’esposizione dello stesso, che continua a essere, si misura il senso di questa decadenza appena annunciata e sempre rimandata, fissata dentro lo spazio atemporale di una fotografia.

Robert Mapplethorpe. Installation view at Galleria Franco Noero, Torino, 2022. Photo © Sebastiano Pellion di Persano. Courtesy Galleria Franco Noero

Robert Mapplethorpe. Installation view at Galleria Franco Noero, Torino, 2022. Photo © Sebastiano Pellion di Persano. Courtesy Galleria Franco Noero

CLASSICISMO E DISASTRO NEGLI SCATTI DI MAPPLETHORPE

Negli scatti si può cogliere quasi un’innocenza, un’armonia che annuncia il disastro. Disastro temporalmente procrastinato ad infinitum, continuamente rimandato e fissato nel mondo dell’immagine fotografica, non soggetta alla processualità del tempo. Il reale ideale che Mapplethorpe persegue nella sua fotografia lo si vede in mostra, costruito tessera dopo tessera, immagine dopo immagine: una galleria di corpi, fiori e organi sessuali disposta finalmente senza soluzione di continuità senza divisione per generi come dentro il caleidoscopio di un occhio liberato dalle categorie correnti. Un occhio che pone sullo stesso piano il desiderio d’amore, la perversione sessuale, il candore dell’eremita. Perché lo studio fotografico è come la colonna per lo stilita e per Mapplethorpe sembra essere il luogo di una completa astinenza, il tempio nel quale celebrare la potenza della vita e la tragedia che sempre incombe su di essa: Michelangelo è il suo riferimento naturale, e non a caso nel 2009 le sue fotografie saranno esposte presso le Gallerie dell’Accademia di Firenze, vicino a quei Prigioni infiniti perché inconclusi (l’opera più romantica dello scultore aretino).

Robert Mapplethorpe, Amanda Lear_, 1976 ©️ Robert Mapplethorpe Foundation. Used by permission. Courtesy Galleria Franco Noero. In collaboration with The Robert Mapplethorpe Foundation

Robert Mapplethorpe, Amanda Lear, 1976 ©️ Robert Mapplethorpe Foundation. Used by permission. Courtesy Galleria Franco Noero. In collaboration with The Robert Mapplethorpe Foundation

LA POETICA DI ROBERT MAPPLETHORPE

Nello studio il fotografo newyorkese si ritira dando forma al proprio mondo delle idee. Così, la luce che colpisce le forme perfette, spesso colte in pose semplici ma non banali capaci di esaltare la muscolatura (in un lavoro “geometrico”), istituisce la sua metafisica personale, realizza quella fotografia capace di cogliere le sommità, oltre le quali non si può andare, si può solo scendere. In una carriera intensa e breve il fotografo newyorkese ha espresso, a discapito delle critiche anche feroci riservategli da senatori repubblicani, una tensione verso l’alto, mostrandoci così le ragioni (spesso scandalose) di un corpo celebrato fino allo sfinimento e sfinito, infine, dalla vita. Nel suo caso, da quella una malattia che in un decennio maledetto è stata la condanna di una generazione, liberatasi ma anche prosciugatasi. Come se l’estasi (dei corpi) così ben descritta da Mapplethorpe celasse in sé la condanna di un peccato: non quello morale dell’amore “contro natura”, ma quello imperdonabile di essere, anch’esso tra ogni cosa, mortale.

Nicola Davide Angerame

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Nicola Davide Angerame

Nicola Davide Angerame

Nicola Davide Angerame è filosofo, giornalista, curatore d'arte, critico della contemporaneità e organizzatore culturale. Dopo la Laurea in Filosofia Teoretica all'Università di Torino, sotto la guida di Gianni Vattimo con una tesi sul pensiero di Jean-Luc Nancy, inizia la collaborazione…

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