L’ex ospedale psichiatrico di Lecce nelle fotografie di Loredana Moretti

L’atrocità della segregazione manicomiale nell’ex ospedale psichiatrico di Lecce è protagonista delle fotografie di Loredana Moretti. Gli scatti sono in mostra negli spazi leccesi di Must Off Gallery

L’assenza come strumento narrativo, i luoghi che raccontano, attraverso un agghiacciante silenzio e una profonda desolazione, gli abissi di dolore di chi ‒ in un passato neanche tanto remoto ‒ li ha abitati, vivendo una condizione di aberrazione, di disumanità, di forte degrado. È questo il nucleo tematico di Ex Opis, la mostra della fotografa Loredana Moretti (Bari, 1966) presso Must Off Gallery, nell’ex Convento di Santa Chiara a Lecce.

LA MOSTRA DI LOREDANA MORETTI A LECCE

L’autrice, che si occupa di fotografia di ricerca e di impegno sociale, in particolar modo nell’ambito del disagio mentale, ha immortalato, nel 2000, i luoghi dell’Ex Opis, l’Ospedale Psichiatrico Interregionale Salentino di Lecce, chiuso nel 1998 in applicazione della legge Basaglia. Quarantatré scatti in medio formato e trentadue Polaroid originali si stagliano nella sala grande Must, mentre la piccola sala adiacente accoglie il ritratto fotografico del terrificante apparecchio per l’elettroshock, i disegni di un ex paziente dell’Opis, una poesia di Alda Merini e delle considerazioni di Franco Basaglia e Franca Ongaro Basaglia sull’atrocità della realtà manicomiale.

Loredana Moretti, Ex Opis, 2000

Loredana Moretti, Ex Opis, 2000

LA FOTOGRAFIA SECONDO LOREDANA MORETTI

Sulla scia della documentazione fornita nel 1968 da Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin, che per primi mostrarono al pubblico la terribile condizione vissuta dai pazienti degli ospedali psichiatrici, Loredana Moretti ha immortalato, in piena luce solare, i padiglioni, la cucina, la lavanderia, i bagni, ma anche le zone esterne della struttura e l’antica chiesa di San Giacomo, nucleo architettonico dell’Ex Opis fin dal 1901. Gli scatti della Moretti colgono la crudezza e lo squallore degli ambienti che sottraggono intimità, riservatezza, rispetto: una sedia posta di fronte a una finestra, docce, lavandini e water in comune, mura incrostate. Architetture del dolore, concepite per segregare e costringere. Come sottolinea l’autrice: “In questi spazi inseguivo la luce, quella stessa che disperatamente bramavano anche loro, i pazienti, ma la cercavo per disegnare e definire i contrasti, per comunicare la fine di un’epoca di abusi, d’ignoranza, di strazio”.

Cecilia Pavone

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Cecilia Pavone

Cecilia Pavone

Cecilia Pavone, storica e critica d’arte, curatrice indipendente, giornalista professionista, è nata a Taranto ed è laureata in Filosofia all’Università degli Studi di Bari. La sua ricerca verte sulla fenomenologia artistica contemporanea e sulla filosofia dell’arte. Scrive su riviste specializzate…

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