Fotografare per narrare. La mostra di Joel Meyerowitz a Milano

I cinquanta scatti in mostra nel flagship store di Leica a Milano avvicinano il pubblico al genio della street photography Joel Meyerowitz, che ha introdotto per la prima volta il colore nella fotografia professionale

Il turbinio di piazza Duomo, a Milano, soffia oltre le porte del flagship store di Leica per rimanere intrappolato sulla pellicola: è un vortice fatto di persone e storie quello catturato dal maestro della street photography Joel Meyerowitz (New York, 1938). Nei cinquanta scatti dell’autore americano – amante dell’Italia al punto da passare buona parte dell’anno in Toscana – vive la missione del restituire la realtà così com’è, complice il guizzo fresco del colore. Quest’ultimo, che Meyerowitz ha usato là dove i colleghi ne disprezzavano l’applicazione (troppo “quattro stagioni”, dicevano), non è che un indicatore della capacità del fotografo di sperimentare senza giudizio, saltando da un formato all’altro pur di catturare nella sua più veritiera essenza la narrazione della vita. “Quello che importa è lo storytelling, che poi sia in bianco e nero o a colori non ha importanza”, ci racconta Denis Curti, curatore della mostra insieme al responsabile della galleria-negozio di via Mengoni, Maurizio Beucci.
Meyerowitz appartiene a quel novero di street photographer americani che, a differenza degli umanisti francesi e dei neorealisti, si fanno ‘sciamani contemporanei’, finendo per coinvolgere il pubblico con incredibile intensità”, spiega Curti. Un successo, quello della street photography – nota il direttore e fondatore di STILL –, cresciuto oltre ogni previsione negli ultimi dieci anni, nonostante sia un tipo di espressione “non professionalizzante: a differenza dello still life, del food, della moda e dei ritratti, non dà da mangiare. È proprio una passione”.

Joel Meyerowitz, Wyoming, 1964 © Joel Meyerowitz

Joel Meyerowitz, Wyoming, 1964 © Joel Meyerowitz

LE FOTOGRAFIE DI JOEL MEYEROWITZ IN MOSTRA A MILANO

I pois del Wyoming, la folla di volti e cappotti tra i grattacieli newyorchesi, i volti sfocati attraverso i finestrini: è cruciale per Meyerowitz l’utilizzo di uno strumento specifico, la sua Leica 35 mm. “Era una macchina molto agile, molto maneggevole”, racconta Curti, “avrebbe anche potuto nasconderla, cosa che però a differenza dei ‘fotografi fantasmi’ non faceva, e infatti in molti scatti i soggetti guardano in macchina. Il suo è uno dei pochi casi in cui parlare di attrezzature ha un senso: lo strumento segue il tipo adatto di narrazione, basta vedere fotografie come quella sull’autobus, con cosa la fai se non con una 35 millimetri?”.
Questa era per lui una “bacchetta da rabdomante”, che lo guidava quasi inconsciamente nel flusso di persone tra gli Anni Sessanta, Settanta, Ottanta. Il suo percorso muta, cambia direzione e forma al punto da essere definito quello di un “esploratore”, piuttosto che di un pioniere: a lui il merito di aver scoperto, indagato, sviscerato il nuovo, cambiando tono e prospettiva per ogni città in cui viaggiava. Diversissimi il sole di Malaga e quello californiano – lento e caldo il primo, filtrato dal parabrezza di un autobus il secondo –, così come è asciutto il clima metropolitano della Parigi del ’67, quella del celebre scatto dell’uomo svenuto nell’indifferenza generale, e colorato invece quello del grande cappello nella New York del ’74. Al cambiare degli sguardi delle persone – al centro delle indagini di Meyerowitz – cambiano l’inquadratura, la pellicola, il taglio (a un certo punto passa persino al cavalletto), sempre nel rispetto di una consapevolissima geometria compositiva.

Joel Meyerowitz, New York City, 1974 © Joel Meyerowitz

Joel Meyerowitz, New York City, 1974 © Joel Meyerowitz

GLI SPAZI DI LEICA IN DUOMO A MILANO

La fiducia che Meyerowitz ha dimostrato nei confronti dei curatori è stata tale da non interferire in nulla (se non in un paio di inviti personali): una rarità, nel mondo dell’arte, proporzionale a quello di questo allestimento integrale. La collezione di fotografie acquistate da Leica – probabilmente il miglior brand per le attrezzature fotografiche, di cui Meyerowitz è testimonial e amico – era stato pensato per la ben più grande Galerie Wetzlar, unica occasione in cui gli scatti erano stati esposti per la vittoria del fotografo del Leica Hall of Fame Award nel 2016. “È stato difficile portare le fotografie in questo spazio, soprattutto sul piano dello storytelling: forse alcune storie avrebbero avuto bisogno di uno sviluppo maggiore. Non è stato invece difficile condividere con lui l’impostazione narrativa, come si vede nell’accostamento tra foto in bianco e nero e a colori nell’installazione dedicata a New York”, racconta Curti. “Conoscendolo, so che apprezza questo tipo di scelte e non le vive come provocatorie. Semplicemente, le adora”.

Giulia Giaume

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Giulia Giaume

Giulia Giaume

Amante della cultura in ogni sua forma, è divoratrice di libri, spettacoli, mostre e balletti. Laureata in Lettere Moderne, con una tesi sul Furioso, e in Scienze Storiche, indirizzo di Storia Contemporanea, ha frequentato l'VIII edizione del master di giornalismo…

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